Italia
Il giorno del suo insediamento da ct della Nazionale, Luciano Spalletti disse che «nel calcio contano due cose, la pressione e la costruzione: tutto il resto viene di conseguenza». Negli occhi di tutti scorrevano ancora le immagini del Napoli campione d’Italia, e allora pareva che bastasse la sola presenza di Spalletti per credere che anche la sua Italia, con il tempo, sarebbe riuscita a giocare in quel modo. «Partiremo con il 4-3-3», aggiunse Spalletti. «Poi se avremo bisogno di un modulo più offensivo si può andare a mettere qualcuno alle spalle della punta e passare al 4-2-3-1». In questo modo, come dire, il ct aveva alimentato la narrazione dell’uomo forte – dal destino forte, naturalmente – che viene, impone le mani e trasforma la Nazionale a sua immagine e somiglianza. Anche Spalletti, però, a un certo punto ha dovuto fare i conti con l’impossibilità di replicare sul campo l’Italia che aveva in mente: un po’ per il materiale tecnico e umano a disposizione, un po’ per le indicazioni provenienti da una stagione in cui l’Inter di Simone Inzaghi ha imposto una visione diversa e ulteriore del 3-5-2 all’italiana. E così le due amichevoli contro Venezuela ed Ecuador sembrano aver sancito il passaggio a un 3-4-2-1 in cui la centralità del blocco nerazzurro (Bastoni e Darmian braccetti, Barella che si alza a comando sulla linea dei trequartisti, Dimarco regista aggiunto “bilanciato” da un esterno destro di corsa e inserimento) è stata modellata sulla necessità di avere i vari Chiesa, Pellegrini e Raspadori in condizione di ricevere fronte porta alle spalle della seconda linea di pressione: «Questo sistema è ideale per non subire ripartenze e può esaltare i giocatori come Chiesa che saltano l’uomo e che fanno gol. Ma anche quelli come Frattesi, che per corsa, intensità e qualità è uno che sa attaccare come pochi la linea difensiva». Così aveva parlato il ct prima del faticoso 2-1 al Venezuela, quando solo la doppietta di Retegui aveva dato un senso tangibile a quegli esperimenti. Euro 2024 dirà, perciò, fino a che punto Spalletti sarà riuscito a cambiare l’Italia e sé stesso. In ogni caso, non come e quanto avrebbe detto all’inizio del suo mandato. Non ancora, almeno.
Croazia
Da quando The Last Dance è uscito su Netflix, ad aprile 2020, ogni occasione è buona per riutilizzare quel titolo. Nel caso della Croazia, però, la campagna a Euro 2024 si presta perfettamente a quel tipo di narrazione: basterebbe fare il nome del 38enne Modric, ma in realtà anche Brozovic (31), Vida (35), Kovacic (30) e Kramaric (32) sono quasi alla fine del loro percorso. Certo, nel frattempo sono arrivati dei talenti che promettono bene, a cominciare da Stanisic e Gvardiol, ma il ct Dalic non può che ripartire dai suoi veterani. Con quale obiettivo? Essere lì fino alla fine, per l’ennesima volta. Magari questa è quella buona, per vincere.
Albania
La Nazionale albanese, a meno che non siate appassionati di calcio italiano e quindi seguite con fervore le partite dei vari Asllani, Ramadani, Kumbulla e Hysaj, non ha grandi attrazioni: tra quelli che giocano all’estero, forse una citazione la merita soltanto Armando Broja, talento inespresso – per usare un eufemismo – di proprietà del Chelsea. E allora i riflettori si spostano inevitabilmente sulla panchina: Sylvinho si appresta a diventare il secondo ct brasiliano alla fase finale di un Europeo dopo Felipão Scolari, ha già ottenuto la cittadinanza albanese per meriti sportivi e in Germania proverà a rilanciare una carriera da tecnico che, come dire, finora è stata un po’ deludente.
Spagna
«Se c’è qualcuno che conosce il presente e il futuro del calcio spagnolo, quel qualcuno si trova di fronte a voi». Così Luis de la Fuente si presentò alla stampa quattro giorni dopo la clamorosa eliminazione della Spagna di Luis Enrique agli ottavi di finale del Mondiale contro il Marocco. Il nuovo ct disse che avrebbe introdotto «nuovi concetti» e, a un anno e mezzo di distanza, la sua Spagna in effetti è una squadra più verticale rispetto al recente passato. Ma lo è diventata per necessità, più che per scelta: l’infortunio di Gavi e le incognite legate allo stato di forma di Pedri hanno costretto De la Fuente a passare dal 4-3-3 a un 4-2-3-1 spurio incardinato attorno alla velocità di piede e di pensiero di Rodri e alla qualità dei tre trequartisti alle spalle di Morata (Nico Williams, Olmo e Yamal). In difesa il punto fermo è Robin Le Normand, in attesa di capire se l’impossibilità di tener fuori lo strepitoso Grimaldo di questa stagione imporrà l’impiego in pianta stabile di Carvajal sul lato opposto in modo da trovare l’equilibrio perfetto tra le due catene laterali.