In Premier League gli arbitri e i dirigenti arbitrali sono reduci da un weekend a dir poco complicato: il Tottenham ha battuto il Liverpool per 2-1, ma nella stessa gara i Reds si sono visti annullare un gol di Luis Díaz che invece era da convalidare. La Federazione si è scusata ufficialmente con i Reds ammettendo il «chiaro ed evidente errore umano» che ha portato alla segnalazione sbagliata non solo degli arbitri in campo, ma anche – e soprattutto – alla mancata correazione da parte del Var. Il punto, però, è che questo errore – per quanto grave, soprattutto ai tempi della tecnologia applicata al calcio – è solo un sintomo di una crisi molto più profonda. Di una crisi di sistema. Inficiata anche da contingenze esterne, cioè da situazioni che vanno oltre l’Inghilterra: Darren England, l’assistente Var in servizio durante Tottenham-Liverpool, era infatti reduce da una partita da assistente Var negli Emirati Arabi Uniti. E lo stesso discorso vale anche per il suo AVar durante la gara a New White Hart Lane, vale a dire Dan Cook. Inoltre, come se non bastasse, la partita in questione si era disputata giovedì sera a Dubai: il venerdì i due assistenti avevano volato per otto ore per tornare in Inghilterra, e poi sabato erano belli freschi (?) per i loro impegni in Premier League.
In questo caso, dunque, si può dire che il mancato intervento del Var sia un errore viziato, se non addirittura causato, dalla stanchezza di chi doveva supportare l’arbitro al monitor. E il vero problema è che il PGMOL (acronimo di Premier League Match Officials Limited), guidato dall’ex arbitro Howard Webb, sembra voler addirittura favorire questo “scambio di competenze” con altri Paesi. Si tratta di una scelta sconveniente da qualsiasi punto di vista, soprattutto quando gli altri Paesi in questione sono gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita: i due club più ricchi della Premier League, Newcastle United e Manchester City, sono infatti posseduti da istituzioni inestricabilmente legate ai governi di – sarebbe meglio dire a coloro che regnano in – quelle stesse nazioni, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.
Ovviamente è tutta una questione di soldi. Nel senso: gli arbitri (ma anche gli assistenti Var) inglesi vengono “comprati” come freelance dai dirigenti della Saudi Pro League e dell’UAE Pro League. Nell’ultima giornata, oltre ai già citati England e Cook, anche Michael Oliver è volato negli Emirati per dirigere la partita tra Sharjah e Al-Ain. Secondo Webb, come riporta The Athletic in questo articolo, le gare dirette all’estero «permettono agli arbitri britannici di acquisire esperienze e maggiori competenze». Insomma, in pratica Webb sostiene gli arbitri in queste loro trasferte in Paesi lontani (e ricchi). Di certo non li scoraggia. Non a caso, viene da dire, anche altri direttori di gara inglesi hanno diretto delle gare all’estero, e non solo nella Penisola Araba: Craig Pawson ha arbitrato in Grecia a maggio 2023, un mese dopo Andrew Madley è volato in Giappone.
In realtà l’emigrazione degli arbitri britannici non è un fenomeno nato soltanto oggi: Mark Clattenburg, lo ricorderete sicuramente, ha diretto la finale degli Europei 2016 e due anni dopo è diventato direttore degli arbitri in Arabia Saudita. Proprio Clattenburg, intervistato qualche giorno da dal Times in merito alla sua esperienza, ha spiegato che «se gli arbitri si trasferiscono definitivamente nei Paesi Arabi, rischiano di non poter essere designati per le gare di Champions League o di Coppa del Mondo. Questo, però, non fermerà i dirigenti: non si fidano degli arbitri locali, perciò si rivolgono all’estero, anche per delle singole partite». E lo fanno offrendo delle cifre decisamente più elevate rispetto a quelle che si guadagnano in Premier League: secondo la ricostruzione di Goal, Micheal Oliver ha incassato circa 3mila sterline per dirigere una gara dell’Al-Hilal giocata lo scorso aprile, un compenso doppio rispetto a quanto garantito per un match del massimo campionato inglese. E non è tutto: Oliver avrebbe volato in business class per e da Riyad, e ovviamente il viaggio sarebbe stato a carico dell’organismo arbitrale dell’Arabia Saudita. Niente male, a pensarci bene.