Quando si guarda la Bundesliga, si pensa – immediatamente, inevitabilmente – al Bayern Monaco che sta per vincere il suo decimo campionato consecutivo. Un’impresa solo sfiorata dalla Juventus due anni fa, e che non è mai riuscita a nessuna squadra delle cinque leghe top in Europa. Capita spesso quindi che l’intero movimento tedesco venga assimilato alla tirannia del club bavarese, e che la Bundesliga venga derubricata troppo in fretta a campionato non molto interessante, o almeno non quanto quello inglese, spagnolo o italiano. C’è qualcosa di vero, ovviamente, in queste teorie: il cosiddetto modello tedesco – fondato sulla regola del 50+1, che obbliga tutti i club a essere posseduti dai loro stessi tifosi per la maggioranza delle quote azionarie – ha determinato una Bundesliga a due velocità, il Bayern da una parte e le altre 17 società dall’altra. È un discorso economico – secondo la Deloitte Football Money League 2021, il club bavarese ha prodotto ricavi per 634 milioni, unico club tedesco della top 10; il Borussia è 12esimo con un fatturato di 365 milioni – che diventa tecnico: i club possono crescere fino a un certo punto, visto che gli investitori esterni non possono rilevare la maggioranza delle azioni.
Questo contesto ha reso la Bundesliga un campionato fondato su un certo modello di reclutamento, sulla valorizzazione dei giovani. Lo dimostra uno studio del CIES, secondo il quale la Bundesliga è la seconda lega europea con l’età media più bassa (26,5 anni), dietro soltanto alla Ligue 1 (26,3). Quasi inevitabilmente, per tre volte negli ultimi quattro anni il campionato tedesco è risultato quello in cui si segna di più, con una media gol per match di 3,03. Perché questi due dati sono strettamente collegati? Perché un campionato più giovane significa partite più dinamiche e aperte, più libere nell’estro dei singoli e meno legate alla tattica. E anche più attraente per chi vuole mettersi in mostra, per i calciatori che non riescono a trovare spazio altrove. Per esempio in Premier League. È per questo che, negli ultimi anni, abbiamo assistito a una vera e propria invasione di giovani talenti inglesi in Bundesliga.
Ora, però, si è aperta una nuova frontiera: quella francese. In Bundes oggi ci sono ben 36 calciatori transalpini, ed è il contingente straniero più nutrito. Inoltre nessun’altra lega top in Europa, escludendo ovviamente la Ligue 1, ne conta di più. Molti di questi sono nomi piuttosto rilevanti: Christopher Nkunku, Marcus Thuram, Kingsley Coman, Dayot Upamecano, Moussa Diaby, Amine Adli, Dan-Axel Zagadou. Ma oltre all’opportunità di valorizzazione offerta dal contesto, come si spiega questa tendenza? Lo ha spiegato So Foot in questo articolo, che ovviamente parte dalla prossimità geografica, ma anche da alcune evidenti differenze – culturali e strutturali – tra calcio tedesco e francese: Alexandre Gontran, ex agente di calciatori diventato consulente di mercato, spiega che «i giocatori francesi vengono dalla strada, hanno una creatività e un istinto che un loro coetaneo tedesco non può padroneggiare, visto che gioca a calcio solo in accademie specializzate. Quando in Germania hanno iniziato a capire questa differenza, è iniziato un processo di apertura verso l’estero che oggi si percepisce chiaramente nelle strategie di mercato dei club di Bundesliga».
Da qui in avanti, il passo è breve: come spiega Patrick Guillou, un ex giocatore di Friburgo e Bochum che segue la Bundesliga per conto di beIN Sports, gli osservatori dei club tedeschi «hanno iniziato a seguire delle competizioni giovanili come il torneo di Montaigu, che coinvolge giocatori fino ai 19 anni, ma anche in Ligue 2. Uno dei migliori esempi, in questo senso, è quello che riguarda Ibrahima Konaté, passato dal Sochaux a Lipsia e oggi titolare nel Liverpool di Klopp». Come Konaté, diversi talenti allevati in Francia sono passati dalle squadre giovanili – o minori – a club che militano in Bundesliga. Uno di questi è Georginio Rutter, 20enne attaccante dell’Hoffenheim cresciuto nel Rennes: è stato proprio lui a spiegare che «quando ho ricevuto l’offerta dalla Germania, i dirigenti mi hanno spiegato che inizialmente sarei entrato nella squadra riserve, ma poi sarei stato aggregato anche alla prima squadra. È andata esattamente in questo modo. In qualsiasi altro club, sarei rimasto confinato nell’Under 23».
Un’esperienza simile l’hanno vissuta anche Amine Adli e Moussa Diaby, solo che si tratta di due calciatori leggermente più grandi (hanno 22 e vent’anni) e che quindi avevano già avuto esperienze con Tolosa, Psg e persino Crotone (nel caso di Diaby). Quando hanno dovuto scegliere la loro nuova destinazione, hanno optato per il Bayer Leverkusen, e questo gli ha permesso di diventare titolari in una squadra che lotta per entrare in Champions League. Che pratica un gioco offensivo e dà fiducia ai giovani. Jérémy Hazan, uno dei procuratori di Adli, ha spiegato che « con Amine cercavamo il palcoscenico giusto, e la Germania era una meta perfetta: la Bundesliga è un campionato aperto, in cui si gioca un calcio fondato sull’attacco. Per un giocatore offensivo, è molto interessante. Il bilancio dei suoi primi mesi al Leverkusen è positivo, ha avuto un ottimo minutaggio, questa è la cosa più importante. La stessa cosa è successa ad Alexis Tibidi e a Kouadio Koné, anche loro ex Tolosa: entrambi non avevano avuto un ruolo da protagonista in Ligue 1, quest’anno sono titolari con lo Stoccarda e il Borussia Mönchengladbach». Non abbiamo sentito ancora parlare di loro, magari è ancora troppo presto, ma anche loro sono i frutti di un trend troppo evidente per essere ignorato.