La nostalgia è un’utopia

Per qualcuno sono i calciatori degli anni Novanta, per altri la lira o le dogane.

Sullo 0 a 0, in una fase di gioco che sembrava non portare a nulla, improvvisamente ho visto Stefan Schwoch scattare largo dalla sinistra sul filo del fuorigioco, e correre verso il centro. La palla gli è arrivata in profondità, lui era in grosso anticipo sui difensori, poche falcate e si è trovato solo davanti alla porta. Piattone in anticipo sul portiere in uscita e rete. Ha anche allargato le braccia per festeggiare, appena appena, come faceva quando giocava da professionista.

Era tutto quello che chiedevo alla giornata raduno della pagina Facebook di “Serie A − Operazione Nostalgia” che si è tenuta sabato 23 al Tardini di Parma e ha visto partecipare più di ottomila persone per assistere a una sfida tra vecchie leggende della Serie A e stelle del Parma degli anni d’oro. Schwoch (che ha segnato una doppietta anche se la sua squadra ha perso, per quel che conta, 5 a 2) era tutto quello che chiedevo io, ma credo che chiunque tra i presenti fosse lì per il suo o i suoi “fuoriclasse” e li abbia trovati. C’erano Crespo, Veron, Asprilla, Fuser, Morfeo, Ballotta, Stanic, Apolloni, Lentini, Giacomazzi, Hubner, Maniero, Morfeo, Frey, Fiore, Mussi, Dino Baggio, Benarrivo, Stanic, Benito Carbone (in forma smagliante), Zauli, Valtolina, Poggi e ne dimentico altri. C’era anche André Cruz che stava quasi per segnare su punizione (altra madeleine dell’adolescenza), non fosse stato per un gran tuffo di Luca Bucci.

Quello delle partite tra vecchie glorie è un mercato in grande ascesa, ultimamente si è parlato moltissimo del tutto esaurito allo Stamford Bridge (con annesso successo economico) per Inter Forever contro Chelsea Legends in occasione del ventennale della Coppa delle Coppe 1998, ma l’evento di Parma aveva qualcosa in più o, quantomeno, di diverso: non voleva celebrare una squadra, ma un momento del calcio italiano. Forse un momento che non esiste neanche davvero se non nei nostri ricordi, nella nostra nostalgia per l’appunto, visto che molti calciatori citati appartengono poi a epoche leggermente diverse.

Gli anni Novanta sono gli anni del boom del fantacalcio che, per come la vedo io, è il momento in cui abbiamo davvero cominciato a tifare − non simpatie sparute, proprio tifare − per i calciatori che non facevano parte della nostra squadra del cuore. I 24 gol di Hubner al Piacenza, i sei di Alessandro Parisi da difensore al Messina, Morfeo che compravi come centrocampista ma poi giocava attaccante… hanno reso felici molte più persone dei gol di Pacione o Palanca. E, a distanza di anni, tutto quell’affetto resiste ancora fortissimo. C’è poi il ricordo della propria giovinezza che spesso si sovrappone al ricordo dei calciatori, un po’ lo stesso processo per cui quasi tutti ricordano quando hanno visto, per la prima volta, giocare in Serie A un giocatore più piccolo di sé. Ma gli anni Novanta sono per tutti, ovviamente, legati alla nostalgia anche perché in quegli anni il campionato italiano era, e di molto, il migliore del mondo. Gli ultimi senza euro, l’apoteosi della provincia quando Brescia poteva permettersi Hagi, Verona Stojkjovic e Reggio Emilia Futre. E non conta come, tanto che Calisto Tanzi − cioè colui che a Parma ha portato praticamente tutti i campioni delle Parma Legends − non è neanche un convitato di pietra, come si dice in queste occasioni. È meno di un convitato di pietra, sembra proprio non ricordarlo più nessuno. Soprattutto adesso che il Parma è tornato in A.

Un amico quando ha saputo che avevo preso il biglietto per la partita mi ha domandato se fossi diventato matto perché, secondo lui, la nostalgia è strettamente collegata al sovranismo. Ci siamo dimenticati che il successo del calcio italiano si fondava su operazioni finanziarie spericolate e invece di guardarci Belgio-Tunisia o Svezia-Germania ai Mondiali (le partite che si giocavano in contemporanea all’evento), ce ne andiamo allo stadio. L’Italia non è ai Mondiali, ma ci esaltiamo per l’acquisto di Pastore (non convocato) o di Nainggolan (non convocato neanche lui) e invece di guardare il calcio migliore che c’è ci rifugiamo nel ricordo della rovesciata di Bressan in Fiorentina-Barcellona (Bressan c’era a Parma, ma infortunato). Il rifiuto della complessità, la chiusura alle frontiere, la ricerca del piccolo mondo antico, anche negando a se stessi che quel piccolo mondo antico, allora, ci stava stretto. Mica ci piaceva così tanto. In fondo, anche allora, vincevano sempre gli stessi.

L’impressione è che il sovranismo non sia l’anima della nostalgia, ma siano invece due aspetti di quella che Bauman chiama la retrotopia, cioè aver trasformato il passato in un’utopia. Per qualcuno la retrotopia sono i calciatori degli anni Novanta, per altri quando c’era la lira o quando c’erano le dogane o quando c’era assistenzialismo per tutti nella Prima Repubblica cantata da Checco Zalone. Forse anche noi, o io almeno, cediamo alla retrotopia quando vogliamo analizzare sociologicamente e in maniera compatta gruppi di persone che sono invece solo individui alla ricerca di qualcosa a cui appassionarsi, alla ricerca di un messaggio che li convinca, prima ancora per forma che per sostanza.

I responsabili della pagina (che conta circa 800mila follower) hanno costruita curiosità attorno all’evento molto bene in questi mesi, svelando un calciatore alla volta, e l’atmosfera di allegria è un loro grande merito. Posso dire di aver visto davvero realizzarsi uno di quei fanta-luoghi comuni che viene sempre ripetuto: vedere persone con maglie di squadre avversarie andare assieme allo stadio. L’allegria è riuscita anche a tenere a bada il razzismo e il machismo che hanno fatto capolino (ai miei occhi, almeno) giusto in un paio di occasioni, prima di tornare rapidamente a nascondersi come meritano. La partita non è stata un granché, ma forse era sciocco pensare che potesse esserlo. Il futuro per questi campioni potrebbe essere quello di giocare mini partite prima di partite ufficiali di Serie A. Un po’ come quando vai al Roland Garros e sai che su un altro campo sta giocando Henri Leconte, non andresti a Parigi per vedere un’esibizione, ma se sei lì per il torneo ufficiale può scapparci anche un’occhiata.

Lo spettacolo più divertente l’ha offerto la gara per la maglietta più nostalgica che si è svolta alla fine del primo tempo. Quasi tutti, nello stadio, indossavano magliette di calcio. I migliori indossavano magliette di calciatori i cui nomi credevi di aver dimenticato e invece erano lì, sepolti chissà dove. Pedros, Zampagna, Piangerelli, Biava, Pinga, Rapaic, Kaviedes (che sulla maglietta aveva scritto Nine non potendo indossare la numero 9 come avrebbe voluto − perché ricordo quest’informazione? Non è la cosa migliore del calcio? Lo spreco di tempo e cervello per ricordare che Kaviedes si faceva chiamare Nine?). Io avrei fatto vincere Beierdosfer, ma forse che un calciatore della Reggiana vincesse a Parma era davvero troppo. Ha vinto Jorge Campos. Che aveva una maglia davvero particolare, ma che non ha mai giocato in Serie A e dunque non era una maglia nostalgia della Serie A. Ma forse la sua vittoria è davvero significativa di cos’è questa nostalgia. Quando Campos giocava non c’era ancora Youtube, il campionato messicano non lo trasmetteva nessuno, anche i migliori di noi, insomma, non l’avranno visto giocare più dieci volte tra Mondiali e, forse, la Coppa America su Telemontecarlo. Però lo ricordiamo con nostalgia. Una nostalgia che, mai come in questi casi, è solo state of mind.

 

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