Hansi Flick sta diventando una sentenza. Se va in finale, in qualche modo la vince. Anche soffrendo, anche soffrendo e riemergendo dopo aver quasi buttato via la partita, come nel Clásico che ha deciso la Copa del Rey 2025. Finora il suo score è rimasto immacolato: sette finali sette trofei: 100% di realizzazione. Il suo percorso da vincente è iniziato ufficialmente nel 2020, quando ha guidato il Bayern Monaco alla conquista della Champions League. Nella finale di Lisbona, i bavaresi hanno il Paris Saint-Germain di Neymar per 1-0 grazie a un gol di Kingsley Coman. Un successo non scontato, ottenuto in una gara equilibrata, dove il PSG ha messo più volte sotto pressione la difesa tedesca, ma ha trovato sulla sua strada un muro chiamato Manuel Neuer.
La familiarità di Flick con i grandi palcoscenici risale però a qualche anno prima, quando è stato assistente di Joachim Löw nella vittoriosa spedizione mondiale della Germania nel 2014: in quella finale contro l’Argentina, la Mannschaft si è imposta per 1-0 ai tempi supplementari con il famoso gol di Mario Götze. Anche in quel caso, la Germania ha dovuto sudare fino all’ultimo, rischiando di capitolare di fronte a un’Argentina combattiva. All’extra time è finita anche la Supercoppa Europea del 2020, in cui il Bayern, reduce da un treble nella stagione precedente, ha rimontato un Siviglia tostissimo andato in vantaggio con Ocampos dopo neanche un quarto d’ora. In quell’occasione a mettere la situazione a posto per i bavaresi ci hanno pensato Goretzkae Javi Martínez.
Stesso discorso anche per la Coppa di Germania 2020 (vittoria per 4-2 contro il Bayer Leverkusen), per il Mondiale del Club 2020 (1-0 al Tigres UANL) e per la Supercoppa di Spagna dello scorso gennaio (5-2 contro il Real Madrid). Di nuovo il Real, ma stavolta a Siviglia le cose sono andate diversamente: Vinícius, Bellingham e poi Mbappé non sono stati spazzati via come in Supercoppa, soprattutto nel secondo tempo erano decisamente dentro la partita. Ma Flick e il suo Barça hanno vinto comunque, con pazienza e strategia: il tecnico tedesco sapeva sapeva che i suoi giocatori stavano peggio dei blancos, almeno dal punto di vista atletico, e ha sfruttato gli spazi e la velocità dei tre davanti in transizione. Ha avuto soprattutto il merito di tenere in mano la squadra nel momento più complicato, dopo il 2-1 di Tchouaméni. In contropiede è nato il pareggio del 2-2 di Ferran Torres che ha portato all’84esimo e da un recupero alto è scaturito il definitivo 3-2 di Koundé al 115esimo.
Se è vero che in alcune finali Flick ha dovuto stringere i denti e affidarsi anche alla solidità mentale della sua squadra, è altrettanto vero che la sua capacità di preparare le sfide decisive si è sempre rivelata un fattore determinante. Non sempre dominandole, ma quasi sempre controllandole, Flick ha dimostrato di sapere come si vincono le finali. Ovvero le partite che, di fatto, contano di più. Un record immacolato che lo consacra tra i migliori allenatori della sua generazione.
Leggi anche: