Nel corso di un’intervista postpartita rilasciata direttamente sul campo della Cartuja, subito dopo aver vinto la Copa del Rey, Lamine Yamal indossava due paia di occhiali da sole: uno sugli occhi e uno sulla testa, come se volesse rendere ancora più luccicante la chioma bionda che ha esibito per la finale tra Barcellona e Real Madrid. Questo modo di farsi immortalare rende quasi marginali le parole che ha detto, anche se si tratta di parole abbastanza forti: «Non importa quanti gol riusciranno a segnare [il Real Madrid, ndr] contro di noi. Uno, due, tre, quest’anno non possono batterci».
Sono esattamente le frasi che ti aspetteresti da un ragazzo di 17 anni dopo che ha vinto il torneo a cui ha partecipato, e a pensarci bene le cose stanno proprio così. Solo che Yamal, come dire, è il miglior teenager nella storia del calcio, è uno dei giocatori più forti del mondo ed è destinato a segnare un’epoca. Lo farà comunque vada la sua carriera: essendo già ora un fuoriclasse assoluto, quello che riuscirà a fare sarà un successo strepitoso o un tonfo clamoroso, non ci saranno – perché non potranno esserci – vie di mezzo.
In realtà, se ci fermiamo un attimo a riflettere, scopriamo che Lamine Yamal ha già cambiato il gioco. Non in senso tecnico o tattico, ma nel modo in cui viene percepito e quindi raccontato. Proprio quello che è successo nella finale di Copa del Rey tra Barcellona e Real Madrid – una partita dai ritmi folli e in cui è vista una qualità sublime, da parte di entrambe le squadre – è una testimonianza perfetta di questa metamorfosi in corso: Yamal non ha segnato, eppure è stato decisivo. Con i due assist serviti a Pedri e Ferran Torres, soprattutto il secondo è un capolavoro di lettura e sensibilità tecnica, e poi con tantissime giocate raffinatissime fatte a velocità supersonica. Non solo dentro o a ridosso dell’area di rigore avversaria, ma in tutte le zone del campo. Se non ci credete, sarebbe il caso di guardare questo video:
Lamine Yamal vs Real Madrid
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— 𝙵𝚊𝚝𝚒𝙴𝚁𝙰¹⁰ (@FatiPrime_) April 26, 2025
Per molti anni, diciamo gli ultimi dieci o quindici, siamo stati quasi costretti a “misurare” la forza dei grandi fuoriclasse con il numero dei gol che segnavano – numeri sempre più alti, sempre più alieni. Prima Cristiano Ronaldo e Messi, poi anche Mbappé e Haaland: tutti questi fenomeni sono stati messi a confronto tra loro come se fossero dei titoli azionari, come se il loro rendimento fosse un fatto essenzialmente numerico. Per carità, non c’era e non c’è niente di male: il fatto che Ronaldo e Messi si siano trasformati in realizzatori senza pari deve essere considerata una fortuna, una grande intuizione da parte di chi li ha guidati in questo sviluppo, in fondo si tratta di un banale efficientamento; e poi, con loro e dopo di loro, il numero di gol è rimasto un parametro oggettivo e quindi affascinante, un rifugio sicuro per poter dirimere i dubbi sulla qualità dei giocatori, della serie Mbappé è più forte di Haaland perché ha vinto un Mondiale e ha segnato una tripletta nella finale dell’edizione successiva, Haaland è più forte di Mbappé perché ha vinto la Champions e ha una media gol più alta, ognuno può tirare fuori il numero che vuole.
Con Yamal, l’abbiamo già anticipato tra le righe, le cose stanno funzionando diversamente. Perché il giovane fuoriclasse del Barcellona segna pochino (21 reti in 99 gare ufficiali con la maglia del Barcellona, quattro reti in 19 partite con la Nazionale spagnola) e in realtà non serve neanche tantissimi assist (33 col Barça, quattro con la Spagna), eppure è un giocatore sempre determinante, sempre impattante. Lo è a livello tecnico-tattico, lo abbiamo visto durante la finale di Copa del Rey, e non solo per i due passaggi decisivi serviti a Pedri e Ferran Torres. Lo è anche a livello puramente narrativo: grazie a lui, tanto per dirne una, la Trivela è tornata a essere una giocata utile, non un meme che riporta alla mente il talento sprecato di Quaresma.
E allora, in virtù di tutto questo, è giusto dirlo con forza e con gioia: Lamine Yamal è il fuoriclasse che aspettavamo, quello che ci libererà – ha già iniziato a farlo – dalla schiavitù delle statistiche, che cancellerà il nostro bias cognitivo per cui un fuoriclasse è tale solo se realizza un gol a partita, o magari due. Certo, questo non vuol dire che stiamo parlando di un giocatore che non segna: per informazioni in questo senso basta chiedere alla Nazionale francese, a cui Yamal ha rifilato una rete indimenticabile e pesantissima agli ultimi Europei. Il punto, però, è che lo scintillio accecante di questo campione non è un fatto esclusivamente realizzativo e dal sapore vagamente industriale, è vario ed estemporaneo, è arte che si accende anche a centrocampo, con un tunnel improvviso dopo uno stop di suola. O in tanti altri modi. Magari tra due o tre anni le cose saranno cambiate, pure Yamal avrà subito un efficientamento, pure Yamal sarà diventato un attaccante letale da 50 gol all’anno. Oggi, però, non è così: Yamal ci sta facendo vivere e assaporare qualcosa di diverso, un talento gigantesco che non si misura solo attraverso il numero dei gol o degli assist. Avevamo dimenticato che si potesse fare, o forse non avevamo mai visto un giocatore del genere.
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