In Liga, quest’anno, il settimo posto varrà la qualificazione all’Europa League. Al momento, quindi, il Celta Vigo è pienamente in corsa per tornare a disputare una competizione europea. È un risultato straordinario, se pensiamo che un anno e mezzo fa la squadra galiziana era invischiata nella lotta per non retrocedere, aveva appena licenziato Rafa Benítez e le prospettive a medio termine non andavano oltre la difficilissima successione di Iago Aspas, capitano e monumento del club. Ora, come detto, le cose vanno meglio. Decisamente meglio. E il merito è di una società che ha fatto scelte forti, legate alla propria identità geografica e culturale, a un progetto chiaramente proiettato nel futuro.
In occasione dell’ultima partita vinta dal Celta contro il Villarreal, un netto 3-0 al Balaídos, il tecnico Claudio Giráldez (galiziano) ha convocato undici giocatori cresciuti nel vivaio del club di Vigo: si tratta di Yoel Lago, Carlos Domínguez, Damián, Hugo Álvarez, Fer López, Borja Iglesias, Alfon, Javi Rodríguez, Carreira, Losada e ovviamente Iago Aspas, che però ha iniziato la gara dalla panchina e quest’anno ha avuto un ruolo e un impatto un po’ più marginali rispetto alle ultime stagioni. A causa di alcuni infortuni dovuti ai 38 anni da compiere ad agosto, certo, ma anche perché Giráldez ha deciso di pescare a piene mani nel settore giovanile del Celta: non a caso, viene da dire, la rosa a sua disposizione ha un’età media di 27 anni nonostante ci siano altri ultratrentenni come Vicente Guaita (38 anni), Marcos Alonso (34), Borja Iglesias (32). L’idea era ed è quella di valorizzare il talento locale, come dimostra l’ampio minutaggio concesso ai 21enni Javi Rodríguez e Hugo Álvarez, entrambi promossi quest’anno direttamente dalla squadra filiale.
L’artefice di questa rivoluzione è Marco Garces, non esattamente un galiziano: è nato e ha giocato per tutta la sua carriera in Messico, poi è diventato dirigente al Los Angeles FC, in MLS. Da dicembre 2023 è arrivato a Vigo, per quella che lui stesso – durante un’intervista rilasciata nel programma Architects of La Liga – ha definito «una sfida monumentale». Il suo lavoro si è basato fin da subito sul fatto che «il Celta rappresenta un’identità forte, un’identità che non stiamo creando da zero ma vogliamo riaffermare. Perché il nostro obiettivo è fare grandi risultati, come tutte le squadre di calcio, ma dobbiamo cercare di farlo in modo che i nostri tifosi si sentano orgogliosi e rappresentati». È a partire da qui che il Celta ha deciso di dare fiducia ai giovani cresciuti nella sua cantera, di prendere Giráldez come nuovo allenatore: «È stata una scelta naturale», ha detto Garces, «perché è un tecnico esigente ma sa essere anche molto vicino ai giocatori».
Per quanto riguarda il lancio dei giovani direttamente in prima squadra, Garces ha snocciolato una metafora piuttosto eloquente: «Li abbiamo gettati in acqua quando non erano pronti, speriamo che imparino a nuotare più velocemente». Allo stesso tempo, però, non stiamo parlando di un direttore sportivo vecchio stampo, ma di un professionista moderno che basa gran parte del suo lavoro sulle statistiche avanzate, sui dati, insomma su strumenti moderni che in qualche modo motivano ogni sua scelta strategica.
Insomma, a Vigo sta succedendo qualcosa di speciale. Tutto parte dai risultati, ovviamente, ma in realtà ciò che emerge è un’assoluta identificazione tra la squadra, la società e la sua gente. Lo ha sottolineato anche Óscar Méndez, redattore di Relevo e tifoso del club galiziano, in un editoriale dai toni piuttosto appassionati: «Questa squadra è un’altra cosa, c’è un allenatore del territorio che guida un gruppo pieno di giovani. Potrà andare meglio o peggio, ed è normale che finisca male perché è così che è sempre stato per tutta la storia centenaria del Celta. Ma adesso, a Vigo, nessuno si sente di dire che sarà in grado di abbandonare la propria squadra».