Lorenzo Musetti è sulla strada giusta: intervista al suo coach, Simone Tartarini

Dopo la finale a Monte Carlo, la prima in un Masters 1000, Musetti è a un passo dalla Top 10 ATP. Abbiamo parlato di questo, e di tanto altro, col suo storico allenatore.

La stagione sulla terra rossa inizia sempre con la primavera, il clima mite e gradevole prepara i giocatori a un nuovo capitolo della stagione dove mutano le gerarchie e cambiano gli equilibri. Il Masters 1000 di Monte Carlo è stato la “prima-vera” volta di Lorenzo Musetti, che a 23 anni ha raggiunto la finale più importante della sua carriera. E ha ricordato a tutti che il tennis italiano non è solamente Jannik Sinner. Nel Principato è arrivato il terzo giorno più importante della carriera per Musetti, dopo la semifinale raggiunta a Wimbledon nel 2024 e la medaglia di bronzo conquistata alle Olimpiadi di Parigi. Per arrivare in finale contro il ritrovato numero 2 del mondo, Carlos Alcaraz, Musetti ha perso il primo set in tutte le partite giocate a Monte Carlo, a parte quella vinta con Berrettini 6-3 6-3 agli ottavi di finale. Ma il dato ancor più sorprendente è che ha vinto quattro partite dopo aver perso il primo set, di cui tre parziali persi 6-1: contro Jiri Lehecka al secondo turno e contro due top 10, Stefanos Tsitsipas nei quarti di finale e Alex De Minaur in semifinale. «Mi sembra di ripetere ogni giorno la stessa partita», ha detto Musetti in conferenza stampa. «Ma alla fine ho sempre avuto pazienza e questa è stata la chiave».

Allora Musetti non è solamente un talento grande ma incostante. Oltre a essere un grande atleta, con una velocità di piedi impressionante, è un uomo adulto, un padre di famiglia, che ha fatto sue le virtù dei più forti: coraggio e pazienza. E chissà che, se non si fosse infortunato al terzo game del secondo parziale nella finale contro Alcaraz, oggi avremmo un altro italiano vincitore del titolo a Monte Carlo dopo Fabio Fognini nel 2019. Lo spagnolo ha vinto 3-6 6-1 6-0 una finale giocata solamente per metà, ma Lorenzo gli ha dato tutti i meriti: «Quello che mi è successo non toglie nulla alla vittoria di Carlos, se l’è meritata pienamente», ha detto l’azzurro durante la premiazione.

Simone Tartarini, storico coach di Musetti da oltre 14 anni, ha vissuto ogni minuto del torneo al suo fianco. Il loro rapporto, che va ben oltre il tennis, negli anni è stato criticato e giudicato come un punto debole. Ma è proprio grazie alla fiducia che li lega, a quell’intesa senza paragoni, che oggi Musetti è a un passo da entrare nella Top 10 del Ranking ATP. E ha sviluppato le basi e le capacità per rimanerci a lungo. Abbiamo parlato di tutto questo proprio con Tartarini:

Ⓤ: Quello a Monte Carlo è stato il torneo migliore fatto insieme a Lorenzo fino a oggi?

Diciamo sì e no. Perché ovviamente è stato molto importante a livello di risultato, dopotutto è la prima volta che arriva in finale in un Masters 1000. A livello emotivo è stato sicuramente molto pesante perché, a parte la partita con Berrettini, per arrivare alla finale è sempre partito con un set di svantaggio. Però per me il miglior torneo in assoluto resta quello a Parigi, quello dei Giochi Olimpici. A Monte Carlo abbiamo preso degli spunti importanti per come sono avvenute le vittorie: c’è stata tanta sofferenza, ma ben ripagata.

Ⓤ: Mi racconti quale delle vittorie in rimonta  a Monte Carlo ha avuto più significato, per te?

Probabilmente quella con De Minaur. Un po’ per l’importanza della partita, semifinale vuol dire che sei quasi arrivato alla fine. E poi per come Lorenzo ha girato la partita nel terzo set. Il modo in cui è riuscito a rimettersi in gioco dopo aver perso il servizio da 5-4 a 5 pari. De Minaur, con le palle nuove, era molto avvantaggiato in quel momento ed era davvero difficile provare a invertire di nuovo la partita. È stata la vittoria più bella della settimana.

La sintesi della semifinale

Ⓤ: Dopo questo torneo, tutti dicono che Lorenzo è maturato. Credi che lo fosse già prima e che magari la gente non se ne fosse accorta o pensi che gli sia effettivamente scattato qualcosa di diverso?

Credo che la maturazione sia un processo molto lento. Per tutti. Lorenzo non si è svegliato una mattina più maturo del giorno prima. Secondo me è un ragazzo già molto maturo, anche fuori dal campo. Durante le partite fa solo fatica a gestire certe emozioni, ma a Monte Carlo è stato capace di gestirsi meglio di altre volte. Sono anni che parliamo di come comportarsi di fronte a certi momenti. Spero che, dopo questo risultato, i momenti in cui saprà gestirsi siano sempre di più. Non mi aspetto che a Madrid sia per forza così, non necessariamente. Il suo modo di esprimere il tennis è molto estroso, quindi non è facile. Ma i risultati danno sicurezza sia a lui che a me. E dopo Monte Carlo è più consapevole di quello che deve fare.

Ⓤ: C’è stato un momento particolare nel quale hai capito che questo torneo si stava trasformando in qualcosa di grande?

Dopo la sconfitta a Miami con Novak Djokovic, doveva giocare a Marrakech ma ha preferito non andare per allenarsi bene in vista di Monte Carlo. Ci teneva in modo particolare. Ma più si avvicinava l’inizio del torneo e più giocava male, era molto nervoso. Dopo la vittoria al primo turno contro Bu, non c’erano segnali che si potesse arrivare in fondo. Prima della sfida con Tsitsipas invece, la speranza era molto viva perché Lorenzo sapeva come giocarla tatticamente. Anche se aveva sempre perso contro il greco, erano state tutte partite lottate. Sapevamo cosa fare ed eravamo tranquilli. Ma la verità è che non c’è una formula per arrivare in finale, questa settimana si è incastrato tutto e, a volte, anche le coincidenze aiutano. Guarda Jakub Mensik a Indian Wells, voleva ritirarsi al primo turno e poi ha vinto il torneo. Era un po’ il suo destino.

Ⓤ: La mattina della finale lui si è svegliato con tanti acciacchi e sentiva già di avere male alla gamba. Come si affronta un momento del genere sapendo che c’è la finale dopo poche ore?

Durante il riscaldamento fisico della mattina si sentiva molto stanco. Aveva anche male al braccio, per questo ha giocato con la gomitiera, e i suoi adduttori erano molto contratti. Ha preso del Voltaren e altro paracetamolo, per togliere il dolore. Per un po’ sono durati e Lorenzo ha giocato un primo set straordinario. Ma al terzo game del secondo set ha sentito una fitta alla gamba e non riusciva più a correre. Gli ho detto di ritirarsi ma lui non voleva. Lunedì abbiamo fatto una risonanza a caldo (anche se bisognerebbe sempre aspettare qualche giorno) e sembrerebbe che abbia uno stiramento di primo grado quindi faremo sicuramente almeno cinque o sei giorni di stop.

Ⓤ: Voi comunicate dopo ogni punto, o quasi. Lui mi ha confermato che durante i match ha bisogno del dialogo perché ha molta fiducia in te. Mi racconteresti un po’ come gestisci la comunicazione in campo?

Premetto che tutti mi chiamano “joystick”. Scherzi a parte, abbiamo un rapporto che va oltre il tennis. Lorenzo ha sempre avuto una fiducia incredibile in me e ha bisogno della mia energia a livello emotivo. Ci sono situazioni in cui lo devo sgridare e gli parlo quasi male per riprenderlo, si critica troppo. Lui è un ragazzo molto educato e non mi ha mai risposto male durante una partita. Deve essere incoraggiato per restare focalizzato sulla partita. I nostri dialoghi sono tanti, ma sono un vantaggio davvero grande per lui. Per esempio, quando Lorenzo entra in campo ha un piano tattico in mente che abbiamo preparato in allenamento. Ma durante il match capita spesso di dover cambiare strategia e io lo aiuto a capire quando e come farlo. I miei consigli sono sempre rivolti a farlo stare tranquillo, senza pressione.

Ⓤ: Tu sei il suo coach da almeno 15 anni, in pratica sei uno di famiglia. Quali sono i pro e i contro di un legame così forte sul lavoro?

Fortunatamente fino a oggi non ho mai avuto problemi veri con Lorenzo in allenamento. L’ho spronato e ho sempre avuto rispetto di quello che fa. Non c’è mai stata una partita di tennis durante la quale abbiamo litigato o in cui lui mi ha risposto male. Quando lavoriamo lui sa quello che voglio e non si permette di parlarmi male, non ci diamo del “lei”, ma insomma ci siamo molto vicini. Io credo in lui come giocatore e non ho mai avuto fretta nel farlo crescere, un errore che purtroppo fanno in tanti.

Ⓤ: Qual è stato fino a oggi il momento del vostro percorso che ti ha reso più orgoglioso?

Per noi è ancora un sogno quello che stiamo vivendo oggi. Siamo partiti che Lorenzo aveva otto anni, io facevo il maestro in un circolo. Ma se dovessi sceglierne uno, direi la medaglia olimpica. Quello è stato un traguardo importantissimo. Le Olimpiadi sono l’evento sportivo più importante del mondo e averlo vissuto insieme a campioni come Djokovic e Alcaraz è stato davvero un momento speciale. Anche Monte Carlo è stato emozionante, ma a Parigi ho provato cose diverse.

Ⓤ: Mi diresti un pregio e un difetto di Lorenzo? I primi due che ti vengono in mente

Il suo pregio è quello di essere un bravissimo ragazzo. Forse a volte anche troppo bravo, quindi non so se sia un pregio o un difetto (ride). Mentre il suo difetto è quello di essere un po’ troppo esigente. Certe volte non si accetta e non accetta i suoi errori. Quindi cerco sempre di smuovere un po’ il suo modo di pensare, gli dico spesso che non esiste solo bianco o nero, c’è anche il grigio. Altrimenti migliorare diventa un’ossessione e giocare a tennis non è più divertente.

Ⓤ: Secondo te tutta l’attenzione mediatica che è stata messa su Jannik Sinner, può averlo condizionato in qualche modo in passato?

Sono più o meno coetanei e forse anche per questo sono stati fatti dei paragoni inutili. Tra di loro non c’è un dualismo, non esiste proprio. Sono molto distanti anche come tipologia di gioco. Uno è il numero uno del mondo ed è proprio una cosa che non puoi paragonare a nessuno. Forse, in qualche situazione ci si aspettava un po’ di gratificazione in più per i risultati di Lorenzo, che finivano per passare in secondo piano perché intanto Jannik vinceva gli Slam. Ma Lorenzo non credo che abbia mai sofferto questa situazione.

Ⓤ: Entrare in Top 10 è un conto. Restarci è un altro. Pensi che bisognerà cambiare qualcosa o rimanere sulla stessa strada di adesso?

Secondo me non c’è da cambiare nulla. Ha giocato bene fin da inizio anno, ha perso poche partite ed è sulla strada giusta. Ora vince anche giocando peggio di prima e questo è il cambiamento che gli serviva. I problemi grossi non erano i rendimenti contro i giocatori migliori di lui. L’anno scorso ha battuto Zverev, Fritz, De Minaur quindi quel livello ce l’aveva già. Il problema era che perdeva contro giocatori di livello inferiore e questo per fortuna non sta più succedendo. Se continuerà a sporcarsi le mani e ad accettare che si può vincere anche quando le cose non vanno bene allora ci resterà.

Ⓤ: Questa domanda forse ti farà sorridere ma è una mia grande curiosità. Posso chiederti come gestisci la questione bestemmie/parolacce in campo? Lo sgridi o lo lasci fare?

Mi arrabbio sempre ma lui fa fatica a contenersi. A volte gli dico proprio di stare zitto. Lui sa che le bestemmie sono inaccettabili ma anche quello farà parte un po’ del suo percorso nel migliorarsi. Piano piano arriveremo anche a togliere quella parte lì. Questa settimana a Monte-Carlo, per esempio, si è contenuto molto, quindi anche quello lo sta capendo.

Leggi anche