I migliori allenatori al mondo hanno trasformato la Premier League in un grande laboratorio tattico

Da anni, ormai, il campionato inglese attrae i tecnici più brillanti, quelli con le idee più innovative. E così il vecchio calcio kick and run non esiste più: è stato sostituito da un gioco velocissimo, sofisticato, sempre in evoluzione.

Il calcio inglese non ci era abituato. Per anni l’Inghilterra era la casa delle palle lunghe, del 4-4-2, di un anti-intellettualismo orgoglioso. Nessuno chiedeva consigli tattici al campionato. La tattica era per gli italiani e gli olandesi, i Paesi che parlavano di calcio in un modo completamente diverso. Il calcio per gli inglesi era invece un gioco semplice, dove a vincere era chi aveva quelle virtù meno definibili in assoluto: orgoglio e passione. Ci limitavamo a giocare. Ma la Premier League, pompata da enormi accordi televisivi e alimentata da un ipercapitalismo a bassa regolamentazione, è il campionato più ricco al mondo, capace di permettersi i migliori giocatori e i migliori allenatori in circolazione. È diventato perciò una piattaforma d’eccellenza, un grande laboratorio in cui culture diverse si mescolano per creare effetti interessanti.

Il meglio contro il meglkio

È il meglio contro il meglio: i migliori giocatori allenati dai migliori tecnici contro i migliori giocatori allenati dai migliori tecnici, il tutto supportato dalle migliori strutture, tecnologie e strumenti di analisi. E questo vuol dire che l’evoluzione è accelerata, lì dove le menti più brillanti competono per assicurarsi un vantaggio. La compiacenza è punita alla velocità della luce. Tutti sono costantemente sotto sforzo, tutto il tempo. E la conseguenza è che, forse per la prima volta nella storia, la Premier League rappresenta la grande fonte di innovazione: questo è il posto da dove arrivano nuove idee. Una di queste, un giorno, potrebbe arrivare persino da un allenatore inglese. Questa è la terribile ironia del calcio inglese di oggi.

La Premier League è certamente il miglior campionato al mondo, ma è un campionato mondiale giocato in Inghilterra – la gran parte dei calciatori arriva dall’estero, così come la maggior parte degli allenatori e dei proprietari. E anche il seguito degli appassionati cresce sempre di più fuori dai confini nazionali. I giocatori inglesi, almeno, stanno iniziando a svilupparsi, come dimostrano i risultati dei tornei internazionali degli ultimi dieci anni, sia a livello senior che giovanile. Ma l’ultimo allenatore inglese capace di vincere il campionato è stato Howard Wilkinson con il Leeds nel 1992, l’ultima stagione prima della nascita della Premier League.

La condanna del 4-4-2

Chissà cosa sarebbe successo se Alf Ramsey fosse stato carismatico ed estroverso. Ma era introverso e sospettoso e, mentre sviluppava il pressing e il 4-4-2, si assicurò che il minor numero possibile di persone sapesse cosa stesse facendo. Così, mentre l’Inghilterra vinceva la Coppa del Mondo con un approccio rivoluzionario, quasi nessuno in patria ne era consapevole – figuriamoci celebrarlo. La gente si lamentava semplicemente del fatto che sembrasse noioso: il calcio inglese era istintivamente conservatore e non si era ancora ripreso dall’idea che le ali alla Stanley Matthews potessero essere superate.

«Ci parlano dall’alto in basso, come se il calcio fosse un nuovo gioco a quiz televisivo che i nativi vedono per la prima volta», scriveva il columnist reazionario J.L. Manning sul Mail durante la Coppa del Mondo del 1966. «Sapete a chi mi riferisco, ai sapientoni. Quelli che dicono, con arroganza ovviamente: alcuni pensavano fosse noioso, ma noi nel mondo del calcio siamo rimasti affascinati dalla tattica. È un vero peccato che il pubblico calcistico non sia istruito adeguatamente. Si divertirebbero molto di più… Istruiti? Sul calcio? Per capire il calcio serve l’intelletto di una zanzara…».

Ramsey non era solo. Faceva parte di un movimento generale che includeva anche figure come Bill Shankly, Don Revie, Brian Clough e Bob Paisley, che sistematizzarono il calcio inglese e fecero del 4-4-2 lo schema di riferimento. Anche quando parlavano di tattica sembravano un po’ imbarazzati, terrorizzati all’idea di essere visti come intellettuali in un gioco da lavoratori, forse così condizionati dal pragmatismo della loro cultura da non rendersi conto appieno delle implicazioni teoriche di ciò che stavano facendo. La rivoluzione fu attuata così silenziosamente che l’adozione quasi universale del 4-4-2 con pressing non fu vista come la rottura radicale che era, ma come qualcosa di sicuro e solido, il modo naturale in cui una squadra inglese doveva giocare. E così fu fino agli anni Novanta.

Ci furono eccezioni: un centrocampista esterno avanzato a fare l’ala in un 4-3-3, forse, l’adozione di un terzo difensore centrale o, più spesso, un attaccante arretrato a centrocampo per creare un 4-5-1, specialmente nelle trasferte europee. Ma tutto era così rigido e basilare che, quando iniziarono ad arrivare giocatori stranieri come Eric Cantona, Gianfranco Zola e Dennis Bergkamp, ebbero un enorme successo non solo per la loro tecnica, ma perché giocavano tra le linee, un’area del campo che le difese inglesi faticavano a coprire. Negli anni ’90, giocare tra le linee era sufficiente per mandare in tilt una difesa della Premier.

Il laboratorio tattico di oggi, da Guardiola a Klopp

Oggi, invece, il discorso è tutto sulla tattica. Ogni allenatore ha una filosofia da evangelizzare, al punto che Russell Martin al Southampton sembra aver messo il “giocare nel modo giusto” al di sopra della semplice salvezza, forse ispirato da Vincent Kompany, che ha portato il Burnley alla retrocessione predicando così bene il suo stile da essere assunto come allenatore del Bayern Monaco. Ci sono eccezioni, ma sembra che la maggior parte dei migliori allenatori del mondo siano già in Premier League o cerchino un club in Premier League. Per un periodo, la grande rivalità tattica era tra Pep Guardiola al Barcellona e José Mourinho al Real Madrid, con scontri epici e velenosi. Ma negli ultimi otto anni le sfide chiave, anche se il Real Madrid ha continuato a vincere Champions League, sono state tra Guardiola e Jürgen Klopp. La loro rivalità non è mai stata aspra come quella tra Guardiola e Mourinho. C’era un chiaro rispetto reciproco, e entrambi preferivano limitare la battaglia al campo piuttosto che condurla sui media.

Inizialmente, il divario era netto: da un lato, il maestro spagnolo del juego de posición, che controllava il gioco con il possesso; dall’altro, il re tedesco del Gegenpress, la cui squadra spingeva furiosamente per riconquistare il pallone il più avanti possibile. Ma col tempo, il rapporto è cambiato. Adattandosi, l’uno ha imparato dall’altro. La forza di entrambi, come allenatori, è stata la capacità di evolversi. Klopp ha iniziato a cercare un maggiore controllo delle partite, arrivando persino a ingaggiare il centrocampista archetipico di Guardiola, Thiago Alcântara. Ma anche Guardiola è cambiato. Ogni stagione sembrava esserci un nuovo accorgimento tattico. Far rientrare un terzino a centrocampo per formare una struttura difensiva 3-2 in fase di non possesso era un concetto già visto ai tempi del Bayern, ma la situazione si è complicata quando ha avuto problemi con João Cancelo.

Allo stesso tempo, l’arrivo di Erling Haaland, che si è dimostrato incapace o non disposto ad arretrare per fornire una presenza aggiuntiva a centrocampo come facevano le precedenti punte di Guardiola, ha reso necessario trovare un uomo in più per garantire la copertura centrale. Guardiola ha trovato il suo giocatore in John Stones, che è avanzato dalla difesa al centrocampo. Per quattro decenni i terzini erano diventati sempre più offensivi; con un colpo solo, quella tendenza si è arrestata, forse perché erano diventati così offensivi da non poter fare altro che tornare indietro, assumendo nuovamente un ruolo più difensivo.

Ci sono stati momenti in cui Guardiola ha schierato quattro difensori centrali sulla linea arretrata, un approccio che un tempo era considerato tipico del decisamente poco progressista Tony Pulis. Klopp ora se n’è andato, e l’Arsenal di Mikel Arteta è emerso come il principale rivale del City. Arteta ha trascorso tre anni al fianco di Guardiola e ha chiaramente imparato da lui, ma il suo Arsenal è una squadra molto più difensiva, parte di una generale transizione dai sistemi ultra-offensivi che hanno dominato dal 2008. L’arrivo di Arne Slot ha reso il Liverpool più prudente e orientato al possesso rispetto all’aggressività sfrenata di Klopp.

La media-borghesia

Ma il fascino della Premier League non si trova solo ai vertici. Thomas Frank ha compiuto miracoli al Brentford, combinando pressing e gioco diretto e sfruttando al massimo le situazioni da palla inattiva. Enzo Maresca, un altro discepolo di Guardiola, si sta facendo notare. Unai Emery ha trasformato l’Aston Villa. Roberto De Zerbi ha ottenuto un grande successo all’inizio della scorsa stagione provocando il pressing avversario per poi colpire negli spazi lasciati scoperti, una tattica che sembra rappresentare la prossima evoluzione del gioco, un modo per contrastare il pressing alto che era diventato egemonico. Tuttavia, nella seconda metà della stagione, il rendimento è calato; in parte forse a causa della personalità spigolosa di De Zerbi e del deterioramento del suo rapporto con il proprietario del club, Tony Bloom. Ma rientra anche in un modello comune.

Molti allenatori – Gary O’Neil, Oliver Glasner, Eddie Howe, Ralph Hasenhüttl – partono bene in Premier League per poi calare. Dire che sono stati “studiati” e neutralizzati sarebbe troppo semplicistico, ma il livello generale in Premier League è così alto che gli allenatori devono evolversi costantemente: restare fermi equivale a regredire. Ci sono molte cose che non vanno nella Premier League moderna. Il denaro l’ha distorta e i proprietari dei club sono così ricchi e potenti che il campionato fatica a regolamentarli.

Ma, in mezzo alla disillusione e alla sensazione che il calcio sia stato strappato di mano a coloro che lo hanno coltivato per un secolo e mezzo, la qualità resta indiscutibilmente altissima. È una cosa insolita da dire per il calcio inglese, ma in questo momento la Premier League è il crogiolo tattico del gioco

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