E se la barriera fosse diventata un problema per i portieri?

La doppietta di Rice contro il Real Madrid ha aperto un nuovo dibattito. Anche perché gli stessi estremi difensori non sono sempre convinti dell'utilità di questa pratica.

Si è parlato spesso, negli ultimi anni, della riduzione dei gol su calcio di punizione diretto. I dati, in questo senso, sono eloquenti. Al punto che Opta ha definito gli specialisti dei piazzati come «una specie in via di estinzione». Le motivazioni di questo calo vanno ricercate in tre aspetti fondamentali: la preparazione sempre più specifica dei portieri, l’istituzionalizzazione del coccodrillo e l’aumento dell’altezza media dei calciatori – e quindi delle barriere predisposte dagli estremi difensori – in campo. Proprio quest’ultimo aspetto, quello relativo alle barriere, viene recepito e raccontato in tanti modi diversi. Nel senso: alcuni tiratori e alcuni portieri si sono espressi in modo non del tutto convinto sul concetto stesso di barriera. L’ultimo in ordine di tempo è stato proprio Declan Rice, che in Arsenal-Real Madrid ha segnato una (meravigliosa) doppietta grazie a due calci di punizione: «Se non ci fosse stata la barriera», ha detto il centrocampista dell’Arsenal, «non sarei mai riuscito a segnare in quel modo».

E allora viene da chiedersi: non è che la barriera stia diventando un aiuto per chi tira in porta su calcio di punizione? Il magazine francese So Foot ha chiesto un po’ in giro, soprattutto a chi ha fatto e/o fa il portiere. E le risposte sono state molto interessanti: Jerome Alonzo, ex estremo difensore di Marsiglia, Saint-Etienne, PSG e Nantes, ha detto che «tutti i miei colleghi sono d’accordo: a volte posizionare la barriera può diventare un problema. Ma ormai è una prassi consolidata: se dici di non volerla e subisci gol, faresti una figura davvero da idiota». Ma quando e perché la barriera potrebbe finire per sfavorire i portieri? Alonzo ne fa una questione di distanza: «Su una punizione ravvicinata, la barriera crea un ostacolo a chi sta andando a calciare. Quando invece il tentativo arriva da lontano, magari da 30 metri, il portiere è costretto a sbilanciarsi da un lato, a spostarsi. E questo potrebbe penalizzarlo».

Anche i giocatori di movimento concordano che la barriera, a volte, può favorirli. Una volta Juninho Pernambucano – probabilmente il miglior tiratore da fermo degli ultimi 25 anni – disse che «la barriera è una mia alleata, perché la metà delle volte è piazzata male». È lo stesso concetto espresso a So Foot da Frédéric Meyrieu, ex giocatore del Metz che spesso batteva le punizioni: «Quando calciavo da fermo, il fatto che ci fosse una barriera mi spingeva a correre più rischi. Durante la rincorsa, a volte mi fermavo un attimo, guardavo dove erano posizionati i giocatori e il portiere: quando mi accorgevo che era posizionata male, cercavo di tirare in modo da sorprendere tutti. Senza la barriera, non avrei potuto farlo».

Insomma: come in tutte le cose del mondo, quindi anche nelle cose di calcio, non c’è una verità assoluta. È evidente che, per quanto riguarda le punizioni ravvicinate, la barriera e il coccodrillo rappresentino un ostacolo per chi calcia. Da lontano, invece, le cose possono cambiare. E molto – se non tutto – dipende dalla bravura di chi va a calciare, come ha dimostrato anche una ricerca scientifica che risale al 2021. In fondo, a pensarci bene, una barriera posizionata male diventa un vantaggio quando colui che tira riesce ad aggirarla. In caso contrario, ha comunque raggiunto il suo scopo.

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