Subito dopo aver segnato il gol che ha permesso all’Inter di battere il Bayern Monaco, Davide Frattesi si è tolto due maglie e ha urlato fortissimo. Aveva tanti motivi, personali e professionali, per far esplodere tutta la sua gioia. Negli istanti successivi, i compagni della panchina sono corsi ad abbracciarlo, lo hanno sommerso, nel frattempo la regia aveva già inquadrato Simone Inzaghi: il suo volto era serio e concentrato, stava già pensando a come gestire gli ultimissimi minuti della partita. Non che fosse triste, ci mancherebbe altro, ma l’allenatore dell’Inter sapeva che il gol di Frattesi e la vittoria a Monaco erano solo l’ultimissima parte di un percorso ancora in divenire, ancora da definire, un apice meritato e non casuale per una serata che la sua squadra ha approcciato e vissuto in modo irreprensibile, in modo esemplare. Anche, se non soprattutto, nei momenti difficili.
Quello che non c’era sul volto di Simone Inzaghi, ed è giusto che sia così, era un’espressione sorpresa. L’allenatore dell’Inter era cosciente che la sua squadra avrebbe potuto battere il Bayern, ed è andata esattamente in questo modo. Intendiamoci: per buona parte della gara il risultato è stato in bilico, in diversi momenti l’Inter ha sofferto la freschezza e l’intensità dei suoi avversari, ha rischiato seriamente di andare in svantaggio in due o tre occasioni, ma alla fine ne è venuta fuori alla grande. Calhanoglu, Lautaro, Thuram e tutti gli altri sono riusciti a stare dentro una partita aperta ai massimi livelli, poi hanno saputo tirar fuori la tecnica e la personalità che servono per segnare un gol che restituisce un senso assoluto di rotondità, di simmetria, di qualità individuale e collettiva:
Da vedere e rivedere
Thuram e Lautaro aprono e chiudono l’azione, azione che viene definita con tre tocchi preziosissimi, di prima, tentati e riusciti grazie a un grande lavoro fatto tutti i giorni, allenamento dopo allenamento. Riguardando il secondo gol, quello di Frattesi, emerge la stessa percezione di assoluta padronanza del gioco: così come quella del gol di Lautaro, anche l’azione del 2-1 viene costruita e rifinita con tre tocchi di prima, i due di Barella – che squarciano la difesa altissima del Bayern – e poi quello di Frattesi, abilissimo a leggere il cross teso di Carlos Augusto. Lo stesso Carlos Augusto che aveva innescato il tacco di Thuram in occasione del primo gol, e che ha sostituito alla grande Federico Dimarco.
Ecco, questi sono tutti segnali chiari: l’Inter è una squadra forte, è una contender credibile per la semifinale e quindi per la vittoria della Champions League, lo è da inizio anno così come lo è stata nelle stagioni precedenti. Anche il modo in cui ha resistito al forcing del Bayern per tutta la ripresa è una chiara manifestazione di forza, ma soprattutto va sottolineata la reazione istantanea dopo il pareggio – anche meritato, va detto – di Thomas Müller: mentre l’Allianz Arena era ancora in festa, la squadra di Simone Inzaghi ha ricominciato a tessere la sua tela in modo razionale, ordinato, Sommer non ha buttato via la palla e così ha dato il via all’azione decisiva. È così che si comporta una squadra forte e consapevole di esserlo.
Guardando la serata di Monaco da questa prospettiva, le parole pronunciate da Inzaghi in una delle interviste postgara – «Non abbiamo mai smesso di credere alla vittoria» – assumono un’importanza ancora maggiore: l’Inter in questo momento è una squadra che non solo si sente in missione, ma si sente anche all’altezza della missione che sta svolgendo. Non stiamo parlando del Triplete, o forse sì, ma il punto è che i nerazzurri possiedono la qualità, l’esperienza e – perché no? – anche la sfrontatezza che serve per poter affrontare chiunque occhi negli occhi, anche e soprattutto ai quarti di finale di Champions League. Poi le partite possono andare anche male, come del resto è successo soltanto pochi giorni fa a Parma, ma ciò non toglie che Inzaghi e i suoi uomini abbiano tutto quel che serve per compiere imprese proibitive, almeno sulla carta. E allora forse sarà il caso di aggiornarla, questa carta. Magari scrivendoci sopra che l’Inter non era e non è la favorita numero uno per vincere la Champions, questo no, ma chi vuole vincerla dovrà fare i conti anche con Inzaghi e i suoi uomini. Non è poco, anzi è tantissimo.
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