Il Bayern è uno dei migliori club del mondo, e lo sta dimostrando ancora una volta

Dopo alcune stagioni difficili, la squadra bavarese sembrano aver ritrovato la strada giusta. Merito di una struttura societaria e di una cultura calcistica uniche al mondo, legate al territorio ma aperte al cambiamento.

Non importa se decimato dagli infortuni: il Bayern Monaco fa sempre paura. Il motivo? «Semplice: è il Bayern», direbbe qualsiasi tifoso dell’Inter, come se intorno alla squadra bavarese ci fosse un’aura che la rendesse inscalfibile, immune alle difficoltà. Una risposta che suona apparentemente banale e scaramantica. Ma che in realtà nasconde il segreto del suo successo. Cioè quell’inesorabile capacità di non disunirsi mai, facendo così fronte a errori di mercato, contrasti interni e intrecci di potere degni di House of Cards. Vicende puntualmente superate grazie a una struttura estremamente solida, che riesce a combinare tradizione e innovazione. Così, dopo la stagione 2023/24, una delle peggiori della sua storia recente, il Bayern Monaco è tornato a essere uno dei migliori club del mondo. 

Il Bayern è tornato a essere il Bayern

Il Bayern è di nuovo una squadra travolgente, che ha ambizioni europee e che non lascia alcuna speranza alle avversarie in Bundesliga. Oggi, la fine precoce dell’esperienza di Nagelsmann e il naufragio di Tuchel sembrano solo lontani ricordi. Come se la squadra bavarese rispondesse a logiche sportive uniche, diverse da tutti gli altri club. Per cui le classiche crisi di “fine ciclo”, per esempio, non esistono. Certo, il club non è esente da errori, ce ne siamo accorti proprio nelle ultime stagioni. Ma la società, abilissima a muoversi nelle fasi di transizione, riesce sempre a ricostruirsi in fretta, sapendo ogni volta a chi rivolgersi. Proprio al contrario di altri giganti come il Manchester United, risultato impreparato davanti allo scorrere del tempo. 

D’altronde, la grandezza del Bayern Monaco, fin troppo radicata per essere compromessa da una stagione poco brillante, è stata costruita accettando il cambiamento come condizione permanente. Cercando sempre di integrare nuove idee. Perché per vincere ci si deve rinnovare, bisogna evolversi. Perché l’adattamento al contesto circostante è un processo continuo, previsto, necessario. Ma soprattutto ben programmato. È per questo che la gestione Kahn-Salihmadzic, tra il 2021 e il 2023, è stata rimossa: dopo aver compiuto acquisti esagerati e poco pensati, quelli di De Ligt e Mané, ora il club bavarese ha ricominciato a funzionare. E i risultati lo dimostrano.

A giugno 2024, dopo tre lunghi mesi di ricerca, il Bayern Monaco ha consegnato le chiavi della propria squadra a Vincent Kompany, appena 38enne. Un profilo giovane, diverso, senza esperienza. Una scelta coraggiosa e controintuitiva, la «più strana decisione manageriale degli ultimi anni», almeno secondo The Athletic. In realtà si è trattato di una mossa in linea con l’identità del club. Dopo i rifiuti di Xabi Alonso, Löw e Rangnick, e persino dopo un tentativo disperato di riprendere Nagelsmann l’ex capitano del Manchester City sembrava l’ultimo nome della lista. Invece è stato preso per assecondare il cambiamento.

E così oggi il Bayern è primo in Bundesliga e ha la media gol a partita più alta nei principali campionati europei: 2.9 reti ogni 90 minuti. È una squadra che vuole imporre il proprio ritmo alle partite, che desidera controllare il tempo e lo spazio aggredendo gli avversari, liberando poi i propri talenti. Ha dimostrato di poter raggiungere livelli d’intensità e dominio davvero elevati, come nella sfida in Champions League contro il PSG e nell’ottavo di finale in cui ha demolito il Bayer Leverkusen. Ma ha anche alternato prestazioni più fragili, come la caduta per 3-0 al De Kuip di Rotterdam o la doppia sfida nel playoff con il Celtic – in cui ha sofferto soprattutto le transizioni avversarie, aspetto che non sarà di certo passato inosservato a Simone Inzaghi. 

Il coraggio di cambiare (e di Vincent Kompany)

A Monaco di Baviera pensano il gioco in modo unico: «Per avere successo nel calcio moderno serve versatilità. Siamo convinti di aver trovato la persona giusta: un allenatore capace di portare novità in campo, idee fresche e coraggio», ha detto a inizio stagione Max Eberl, direttore sportivo dei bavaresi. Se il Bayern avesse dato peso soltanto all’esperienza, spesso considerata l’unico vero criterio di giudizio utilizzabile nel calcio (e non solo), Vincent Kompany non avrebbe mai avuto una chance. Finora, infatti, aveva allenato solamente per quattro stagioni: due all’Anderlecht e due in Inghilterra, di cui una sola in Premier League, terminata per altro con la retrocessione del suo Burnley. Ma, con il passare delle partite, la scelta del coach belga sta rivelandosi quella più giusta, dando ragione a Eberl. 

In fin dei conti, il Bayern ha sempre seguito il ritmo evolutivo del gioco, riadattandosi costantemente alle idee più moderne, coinvolgendo i protagonisti più innovativi, plasmando la novità al proprio contesto. Com’era successo negli anni Settanta, quando Beckenbauer e compagni avevano trasformato il modello olandese del Total Voetbal in una forma più pragmatica e solida. Oppure, più recentemente, come è accaduto con Guardiola. Allo stesso modo, ora la società tedesca ha individuato nella ritualità del gioco di posizione – la corrente tattica che si ispira proprio all’allenatore catalano – lo spirito del tempo del calcio contemporaneo, ovvero un metodo quasi scientifico, replicabile con effetto immediato. Da qui ha deciso di ricominciare. E Kompany è indubbiamente un perfetto interprete di questa filosofia di gioco, come aveva dimostrato in Belgio e nel Regno Unito.

Ma nella decisione di affidare la direzione tecnica a Kompany ha anche influito il lato umano. Per allenare il Bayern uno dei requisiti è infatti riuscire a inserirsi nella struttura del club, entrando in simbiosi con l’intera società. Una prova non da poco. Come ha detto Philip Lahm: «Tutti sanno che Hoeness e Rumenigge (oggi membri del consiglio di sorveglianza, ndr) sono sempre presenti. Ciò significa che, se vuoi essere un allenatore di successo in Baviera, non basta conoscere bene la tattica. Devi essere anche un buon diplomatico. E Vincent sembra averlo capito». Il tecnico dei bavaresi deve inserirsi all’interno dei complicati meccanismi di potere che contraddistinguono il Bayern Monaco, senza stravolgerne gli equilibri. Deve assecondare un modello vincente, che da decenni ha reso la squadra tedesca un top team europeo, senza interruzioni. Un modello che affonda le sue radici nei primi anni del club, o quasi. Perché dal 1964 fino a oggi, almeno uno dei componenti della triade Beckenbauer-Rumenigge-Hoeness, i creatori del Bayern Monaco moderno, ha sempre fatto parte del club. 

Dentro e fuori la Baviera

Un sistema tanto complesso quanto inscalfibile, che si fonda sulla coesistenza di due anime diametralmente opposte: «respiro internazionale e localismo autarchico», come le aveva descritte Sandro Modeo in questo articolo. Il Bayern assomiglia più a una multinazionale che a un club, a partire dai circa 400mila soci registrati (più di ogni altra organizzazione sportiva) che mantengono il 75% della proprietà. Mentre il restante è ugualmente diviso tra Audi, Allianz e Adidas, tutte imprese con sede principale in Baviera. Un modello che rimane ciecamente fedele a tre comandamenti: risultati sportivi, centralità dei tifosi e crescita economica, come è scritto nella sezione “strategia” del sito ufficiale. 

Insomma, il Bayern Monaco è come un’azienda, che vive cercando l’equilibrio tra autosufficienza e importazione. È guidato dal CEO Jan-Christian Dreesen – che ha sostituito Oliver Kahn – e dal vice-chairman Michael Diederich, entrambi ex amministratori delegati di UniCredit, dirigenti d’azienda senza un reale passato nel pallone. Due uomini che hanno dato sempre più importanza a esportare il loro brand nel mondo. Non a caso il Bayern è ormai uno dei marchi sportivi dominanti nel mercato asiatico, dove ha due uffici: uno a Bangkok e uno a Shangai. Una multinazionale che, però, a differenza di altri settori, deve fare i conti con il lato emotivo del calcio, imprevedibile ma essenziale, senza il quale non può esistere il successo. 

Agisce quindi come un club, inseguendo i risultati. Combinando le risorse del territorio, i suoi tanti talenti cresciuti nelle giovanili, con una visione cosmopolita, alternando allenatori tedeschi e nuovi volti stranieri. Trovando in questa soluzione la forza che gli impedisce di disgregarsi nelle difficoltà, che gli permette di continuare a vincere. Per questo il Bayern Monaco è tornato ancora una volta a fare paura. Ha rivisitato la propria identità senza mutarla, rimanendo una squadra che vuole travolgere gli avversari in ogni maniera, atleticamente e non solo. Ma anche riadattandosi sempre al contesto, con lo sguardo verso il futuro, stavolta insieme a Vincent Kompany.

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