L’aveva detto lui stesso, Gian Piero Gasperini, non più tardi di un mese fa: «Servirà un’impresa, ancora una volta oltre i nostri limiti». L’allenatore dell’Atalanta parlava di scudetto, un orizzonte ormai cancellato dal ko contro la Lazio ha archiviato – anche se, a parole e di fatto, Gasperini aveva già abbandonato ogni speranza dopo la deludente sconfitta nello scontro diretto contro l’Inter. Una volta sfumato l’estremo obiettivo – quello più dolce, non richiesto, ma anche il più difficile – ora ai nerazzurri non resterà che blindare il discorso Champions, salvo suicidi sportivi, e guardare oltre. Magari anche al di là del decennio più glorioso della propria storia.
Che l’era di Gasperini all’Atalanta sia alle battute finali non è certo la novità del giorno. Soltanto il patron Percassi, con irriducibile attaccamento all’allenatore, ancora nel weekend ha detto di sperare che Gasp «possa continuare con noi». Ma difficilmente succederà. Non soltanto perché l’ha detto e ridetto il diretto interessato, scartando ogni discorso di rinnovo. Ora i segnali arrivano anche dal campo. Sono quelli di una fisiologica stanchezza, anche mentale, culminata nel qui pro quo avvenuto nel secondo tempo della partita contro la Lazio: al 74esimo entra Samardzic, esce Ademola Lookman con l’Atalanta sotto nel punteggio. Eppure il giocatore designato era Éderson, e quando la panchina nerazzurra se ne accorge ormai è troppo tardi. “Ade-Ede”, l’equivoco nasce dall’assonanza dei soprannomi. Gasperini stesso a fine partita rincara la dose: «Ci siamo sbagliati pure coi numeri, non era giornata».
Mai sarebbe successo se l’Atalanta fosse stata davvero tuttora aggrappata al tricolore. E certo non è successo per sufficienza o errori nell’approccio: semplicemente è normale che, dopo mesi e anni vissuti a mille, la squadra stia iniziando a fare i conti con la realtà. E cioè col fatto che tutte le storie sportive, per quanto possano essere straordinarie, a un certo punto finiscono. Nonostante l’ultimo, spaventoso scossone alle tradizionali gerarchie della Serie A: mai come stavolta, a un certo punto della stagione, l’Atalanta aveva dato l’impressione di poter vincere il campionato. Andando di nuovo oltre i propri limiti, senza per lunghi tratti farlo capire agli altri, almeno fino al poker profanatore in casa della Juve.
È l’ennesimo capolavoro della gestione Gasp. Capace di rilanciarsi e rilanciare la sua Atalanta sempre, a prescindere dagli interpreti e dai mini-cicli tecnici che si sono susseguiti in queste nove stagioni. Un caso su tutti: ripartire ancora più forti dopo l’epilogo della fantasia Gómez-Ilicic è stata una prova eccezionale, culminata in un’Europa League vinta da dominatori. Ed è questo spirito che l’allenatore di Grugliasco lascerà in dote al club che l’ha fatto grande. Ma quest’anno c’erano anche altri segnali: malumori sul mercato, incomprensioni coi giocatori, scelte sul futuro esternate con inconsueto anticipo. Quello di chi ha già dato tutto, perfino un po’ di più. Ed è il primo a saperlo.
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