Il Giappone è sempre più forte, e il merito è anche di un graduale processo di integrazione

La Nazionale nipponica è la prima qualificata alla Coppa del Mondo 2026. E guarda sempre di più verso giocatori con radici miste.

La Nazionale giapponese di calcio sta vivendo il miglior periodo della sua storia. Lo ha dimostrato agli ultimi Mondiali del Qatar, lo ha dimostrato dominando il girone di qualificazione alla Coppa del Mondo 2026 e strappando il primo pass in assoluto tra le rappresentative non ospitanti. Sì, di mezzo c’è stata un’edizione della Coppa d’Asia (2023) che non è andata benissimo, ma la sconfitta ai quarti contro l’Iran – per altro arrivata a causa di un rigore segnato al minuto 96′ – non ha cambiato la percezione della squadra allenata da Hajime Moriyasu. Che, infatti, è stato confermato come ct dei Samurai Blues e ha condotto la squadra con mano sicura lungo tutto il percorso di qualificazione: la vittoria decisiva contro il Bahrein è stata la 12esima su 13 gare disputate, solo l’Australia è riuscita a non perdere contro il Giappone.

C’è tanto lavoro dietro questa crescita esponenziale. Sì, perché non si tratta di un exploit: tra un anno il Giappone affronterà il suo settimo Mondiale consecutivo, la striscia è stata aperta con la qualificazione all’edizione del 1998 – la prima in assoluto – e non si è ancora chiusa. Più che altro, a sorprendere tutti è stato il dominio esercitato su un girone finale in cui erano state sorteggiate anche squadre di alto livello come Australia e Arabia Saudita, oltre a Indonesia, Bahrein e Cina.

Ma, come detto, la Federcalcio giapponese ha fatto un lavoro mirato e dilatato nel tempo: tutto è iniziato nel 2016 con l’avvio del Project DNA, un visionario programma che si poneva l’obiettivo di costituire di 100 club professionistici e di alimentare una progressione continua della Nazionale, fino ad arrivare a vincere la Coppa del Mondo entro l’edizione del 2092. Col tempo, Project DNA ha iniziato a dare dei frutti piuttosto rigogliosi. E non solo per la Nazionale: nella lista dei convocati compilata dal ct per la l’ultima gara contro il Bahrein, ci sono 22 giocatori (su 27 complessivi) che militano in squadre europee.

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Questo è un discorso importante: il Giappone si trova nel mezzo di un grande processo di contaminazione calcistica, nel senso che la presenza di altre scuole si fa sempre più percettibile. Sia nell’ambito dei club di J-League, in cui militano 91 giocatori stranieri, che della della Nazionale. Esiste una parola giapponese, haafu, per indicare delle persone che hanno la nazionalità ma hanno genitori provenienti da altri Paesi. Ecco, gli haafu stanno assumendo un peso sempre più significativo, nello sport e nel calcio nipponico. Basti pensare a Naomi Osaka e a Zion Suzuki, entrambi figli di un’unione mista. Guardando solo al calcio, quello del portiere del Parma non è un caso isolato: dal 2014 a oggi, il Giappone ha sempre portato almeno un haafu alle fasi finali dei Mondiali, mentre nell’ultima squadra inviata ai Giochi Olimpici ce n’erano addirittura quattro.

In passato, le influenze straniere sulla Nazionale giapponese derivavano soprattutto dalle naturalizzazioni, si pensi ai casi di Wagner Lopes e Alessandro dos Santos, che tra il 1998 e il 2006 hanno partecipato alla Coppa del Mondo coi Samurai Blues pur essendo nati in Brasile. Ora la situazione è diversa, la demografia del Paese è cambiata – le nascita di haafu sono costantemente aumentate negli ultimi 35 anni – e quindi anche le rappresentative sportive sono decisamente più integrate e multiculturali rispetto al passato. Lo stesso ct Moriyasu, interrogato sulla questione, ha detto che «i calciatori convocati possono avere radici diverse, ma non importa: che siano naturalizzati o nati all’interno del Paese, giocano tutti per il Giappone e tutti hanno l’obiettivo di portare la Nazionale giapponese in cima al mondo». Sono parole significative, soprattutto se pensiamo che, secondo una ricerca condotta un anno fa all’Università di Toronto, addirittura il 68% degli haafu residenti in Giappone ha dovuto fare i conti con episodi di discriminazione e/p di bullismo. Il calcio e lo sport, in questo senso, possono aiutare a cambiare in meglio la società.