La super stagione del Barcellona ruota intorno al concetto di intensità. Quella che mancava lo scorso anno con Xavi, spesso nei finali di partita, sanguinolenti e decisivi nel perdere La Liga. Non solo nei Clásicos contro il Real Madrid, in cui i blaugrana hanno preso gol nel recupero, ma anche con squadre di medio-bassa classifica, che per tutto il campionato hanno aspettato il Barça nei propri trenta metri, consci di poter ripartire in transizione, soprattutto negli ultimi venti minuti di partita, quando Lamine e compagni non ne avevano più. È stato Pedri, per primo, a marcare la novità in termini di condizione fisica. «Adesso ci alleniamo molto più duramente di prima, i nuovi preparatori atletici sono davvero bravi. La squadra non cala più dopo il 70esimo o l’80esimo, mantiene gli stessi livelli di forma fisica», ha ammesso il centrocampista a settembre.
Gli uomini del miracolo sono Julio Tous, Rafa Maldonado, Pepe Conde e Germán Fernández. Il primo, responsabile della preparazione atletica, è semplicemente tornato a casa dopo aver girato il mondo. Da catalano doc aveva cominciato come assistente nel Barça nel 2003, per poi trasferirsi alla Sampdoria e al Saragozza. A cambiargli la carriera è l’incontro con Antonio Conte: la Juve dei due settimi posti come base per costruire il suo capolavoro. Una squadra trasformata che sembrava mangiarsi gli avversari, capace di centrare lo scudetto al primo anno. L’allenatore leccese se l’è tenuto stretto e se l’è portato dietro anche in Nazionale, all’Inter, dove insieme hanno vinto un altro titolo, e al Tottenham. Poi Julio ha sentito nostalgia della Costa Brava e ha accettato la chiamata del presidente Laporta, che da tempo voleva cambiare lo staff fisico. «Caliamo atleticamente dopo il 60esimo», aveva dichiarato Laporta alla fine della stagione ai media ufficiali del club. «Non abbiamo terminato le partite come volevamo».
Ha quindi scelto probabilmente il preparatore più duro in circolazione. Tous si è affidato a Madonado e Conde, rispettivamente ex Real Sociedad e Siviglia, per gli esercizi di campo e Germán Fernández, nel 2024 all’Udinese, per la sezione di forza neuromuscolare, in palestra e a corpo libero. Il trainer spagnolo ha un’autentica ossessione per la prevenzione degli infortuni. «Negli ultimi cinque anni il calcio è cambiato molto», ha raccontato a Barça Tv. «Gli sforzi fisici hanno raggiunto dei livelli spaventosi, dobbiamo quindi abituare il fisico dei calciatori. Lavorando giorno per giorno sulla costruzione muscolare, sull’elasticità, sui cambi di direzione, si rafforzano le fibre che in questo modo possono sopportare una maggior velocità».
Sembra facile a dirsi, ma richiede un’applicazione costante. «È un metodo quotidiano», continua Tous, «che si fonda sull’allenamento neuromuscolare, sulla reattività, la performance e l’incremento del consumo calorico». Le base del sistema, però, resta il pallone: «Al Barcellona c’è un grado di coordinazione e di abilità cognitiva fuori dal comune, i giocatori pensano la giocata rapidamente, non dobbiamo perdere questo aspetto appesantendoli. L’intensità deve crescere parallelamente alla velocità di palleggio, perché non è importante tanto il primo minuto, quanto il 97esimo. I match si decidono spesso nei finali».
La differenza nell’approccio si è notata fin da subito. Il Barcellona, in testa al campionato, è imbattuto da 17 gare. Domenica proverà a difendere il record al Métropolitano, in uno scontro diretto contro l’Atlético che da tre potrebbe ridurre a due le contendenti per la Liga. Il Real, infatti, è sempre lì. Ma per restare in corsa in tre competizioni (il Barça è ai quarti di Champions e alle semifinali di Copa del Rey), dopo essersi impossessati anche della Supercoppa a gennaio, vuol dire che devi saper correre. E bene. Non è un caso che, come riporta Espn, i catalani guidino le statistiche nazionali per per sprint (14.367 in 26 partite) e si piazzino secondi negli sprint ad alta velocità (6.872), dietro solo al Rayo Vallecano. Considerando la media per partita, il Barça ne effettua 264,3 ad alta velocità. Una crescita importante rispetto ai 230,2 della scorsa stagione o ai 199,6 nel 2019-20.
Era un Barcellona completamente diverso, che non faceva del pressing alto e della riconquista un mantra di esistenza. Flick invece vuole una squadra corta che sappia riconquistare il pallone nell’ultimo terzo di campo, che vada in raddoppio sistematico e che mandi gli avversari in fuorigioco il più possibile. Uno stile rischioso che, se da una parte espone a continui uno contro uno e alla lettura dell’inserimento del terzo uomo, dall’altra permette di riaggredire la palla persa e puntare dritto verso la porta con le frecce del tridente, Yamal e Raphina su tutti.
Il risultato finora? 128 gol a marzo, un dato mai neanche immaginato, il migliore nei top cinque campionati europei. In questo contesto diventa fondamentale la comunicazione tra staff e allenatore. «Con Flick condividiamo la stessa visione di calcio», ha confessato Tous. «Ci intendiamo al volo e abbiamo tanta fiducia l’uno nell’altro. Non ha mai messo in discussione il nostro processo, neanche quando qualcosa non funzionava». L’allenatore, dal canto suo, ha sempre riconosciuto il grande impegno dietro le quinte. «Fanno un lavoro fantastico», ha detto a febbraio. Poche parole, dritte al punto, ma di stima sincera. In pieno stile tedesco.