Pernacchie dal passato. In ogni contesto mediatico possibile: bordocampo, talk show, commenti tecnici e via social. Le vecchie glorie del Manchester United non danno pace al club dove hanno trascorso i loro anni migliori – talvolta un’intera carriera. L’ultima bordata è arrivata da Wayne Rooney, che in questi giorni ha messo in ridicolo Ruben Amorim chiamandolo «naif» (sempliciotto, ingenuo, sprovveduto: fate voi). Sì, certo: gli allenatori sono ben avvezzi a convivere con le critiche. Ma se arrivano dal top-scorer di sempre per la squadra di cui sono al timone – nel mezzo di una pessima congiuntura di risultati, per altro – è difficile non sentire minacciata la propria credibilità professionale.
«Non ci sto», ha replicato il portoghese, dopo il rimprovero dell’ex attaccante per aver dichiarato di voler vincere la Premier League, quando oggi lo United si trova a -36 punti dal primo posto. «Siamo consapevoli del momento. Sarebbe naif credere di conquistare il campionato nella stagione in corso, o di diventare i pretendenti numeri uno alla prossima. Ma la Premier deve restare il nostro obiettivo». E in effetti, se in termini assoluti stava parlando, quando si tratta di uno dei club più vincenti del calcio mondiale ormai ridotto alle briciole, sarebbe una dichiarazione talmente lapalissiana che ben si comprendono le ragioni di Rooney.
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Il problema, per lo United odierno, è che quella di Wazza non è una voce fuori dal coro. Anzi. Passando in rassegna il grande Manchester – quello dei 49 trofei in 27 anni di era Ferguson – emerge che tutti la pensano più o meno come Rooney. Se non sull’allenatore di certo sulla squadra, allestita ogni anno sborsando cifre esorbitanti e puntualmente un fiasco sul campo. E se non direttamente sulla squadra, sulla proprietà americana, che in oltre un decennio targato Glazer ha racimolato più proteste dei tifosi che coppe in bacheca. Gary Neville, ex capitano e ora opinionista su Sky Sports, fa da sentinella perenne. Roy Keane la settimana scorsa si è detto «disgustato nel constatare che i nostri avversari hanno più fame di noi: non mi riconosco più in quella che non sono nemmeno sicuro sia ancora una squadra». Paul Scholes prosegue la carrellata di disapprovazione e Rio Ferdinand storce il naso davanti alle strategie di mercato. Il tutto è amplificato dalla loro regolare presenza su The Overlap, un noto podcast calcistico che conta quasi due milioni di ascoltatori tra YouTube e Spotify. Ogni puntata diventa l’occasione di una nuova filippica: tra le più recenti si annovera la demolizione controllata di Bruno Fernandes, «capitano inadeguato», ancora secondo Roy Keane.
Il minimo comun divisore è che nessuno dei ragazzi di Ferguson è mai stato coinvolto all’interno dell’attuale struttura societaria. Non un ruolo ufficiale, né sostanziale né da semplice ambasciatore di colori smarriti. E se l’intera rappresaglia degli ex campioni dà la sensazione di sparare a zero sui Red Devils – o meglio sulla croce rossa, di questi tempi da 12 sconfitte in campionato – va inserita nel disperato contesto del pubblico locale. «Il Manchester United sta lentamente morendo», l’appello diffuso prima dell’ultimo match all’Old Trafford: domenica scorsa contro l’Arsenal, interi tratti di tribune si sono così vestite a lutto per contestare ancora una volta la controversa gestione dei Glazer. Il megafono di Rooney e compagni serve anche a questo. Se il presente non basta, rivolgersi agli anni d’oro.