È passato solo un anno da quando si lamentava l’eccessivo conservatorismo delle scuderie, tutte con i piloti confermati dalla stagione precedente, e la storia si è capovolta, con ben sei esordienti (o quasi) nel Mondiale di Formula Uno che sta per partire da Melbourne. Il più giovane, Andrea Kimi Antonelli, è anche il capofila, e non per ragioni di partigianeria, ma solo perché potenzialmente alla guida della macchina migliore delle sei, la Mercedes W16, quella con il potenziale più alto, se non di vittoria, almeno di podio. Certo, ci sarebbe anche Liam Lawson sulla Red Bull RB21, ma viste le difficoltà patite dal team di Milton Keynes dalla metà passata stagione, tamponate da uno straordinario Max Verstappen ma emerse con prepotenza con l’altra guida, Sergio Pérez, la cautela è d’obbligo. Antonelli eredita anche il sedile che scotta di più, quello di Lewis Hamilton, dal quale lo separano 18 stagioni, 356 Gran Premi, 4.862,5 punti e 21 anni. Numeri da far tremare i polsi.
Il percorso di formazione di Antonelli
Numeri che però certificano la grandissima fiducia che, in Mercedes, Toto Wolff e il suo staff nutrono nei confronti di Antonelli, tanto da avergli permesso di compiere in appena due anni un salto da canguro che lo ha portato dalla Formula 4 alla Formula Uno. Ma, come ha detto una volta Dino Chiesa, titolare del team Kart Republic che accolse tra le sue fila un giovanissimo Kimi nel 2018, nonché in passato mentore di Lewis Hamilton e Nico Rosberg nella categoria: «Non dico che un ottimo kartista possa passare direttamente alla Formula Uno, ma concettualmente non ci va lontano».
Dipende moltissimo, oltre che dal talento del pilota, dalla sua capacità di trovare il proprio limite e di gestire questo delicatissimo equilibrio. Doti alle quali va aggiunto un percorso pensato e strutturato passo dopo passo, proprio come quello predisposto da Gwen Lagrue, responsabile del programma junior della Mercedes, e da Wolff, che in un primo momento hanno stoppato la volontà di Antonelli, vincitore nel 2022 del campionato italiano di F4, di quello tedesco (la serie Adac) e dei FIA Motorsport Games, di saltare l’anno successivo la FRECA (la Formula Regional europea) per passare direttamente alla Formula 3. Ma, dopo aver trionfato nella FRECA 2023, aggiungendo anche il titolo nella Formula Regional Middle East, gli hanno consentito di saltare una categoria approdando direttamente in Formula 2, in quello che è stato l’anno di preparazione al suo sbarco nella massima categoria.
Nel 2024 Antonelli ha concluso l’anno senza titoli per la prima volta dal 2018, quando era ancora nei kart e vinse la WSK Champions Cup nella classe 60 mini – con il cruccio però di aver mancato, negli anni successivi, il titolo mondiale kart, e a chi gli ha fatto notare che nemmeno Senna e Michael Schumacher lo hanno vinto, ha risposto di «essere disposto a riprovarci, tornando indietro, e se mi capiterà l’occasione lo farò». Quella del 2024 è stata una stagione di adattamento alla nuova realtà della F2 con il team Prema che, a dispetto della lunghissima striscia di successi nelle tre categorie sottostanti la Formula Uno, ha vissuto un’annata difficile, piena di problemi tecnici che hanno limitato le proprie monoposto. Antonelli ha chiuso la stagione sesto con due vittorie, a Silverstone nella sprint race e all’Hungaroring nella feature race, e un podio, comunque staccando decisamente in classifica – e nei tempi – il compagno di squadra Oliver Bearman. La sua è stata una stagione propedeutica in tutti i sensi, caratterizzata da un graduale ma deciso avvicinamento alla Formula Uno attraverso un mirato programma di test stabilito da Mercedes, e favorito anche dal precoce annuncio dell’addio di Lewis Hamilton, che ha creato un’opportunità unica.
I primi assaggi in Formula Uno
La prima volta è arrivata nell’aprile 2024 allo Spielberg, una giornata e mezzo di test con la Mercedes W12 del 2021, per un centinaio di giri percorsi. Quindi due giornate a Imola con la W13 a effetto suolo del 2022, con la quale è poi sceso in pista anche a Montmelò. Spentesi le voci di una possibile deroga della FIA per sostituire Logan Sargeant in Williams a stagione in corso, a Monza è arrivato il debutto ufficiale nel primo turno di prove libere con la W15 di George Russell, caratterizzato da un ottimo passo nei giri iniziali prima di uscire alla Parabolica e conoscere il rovescio della medaglia che caratterizza il percorso di tanti giovani sportivi italiani: gli haters del web.
Ufficializzato l’ingaggio in Mercedes proprio il giorno seguente, a testimonianza della grande attenzione, anche comunicativa, del team tedesco nella crescita del suo pupillo, Antonelli è sceso in pista ancora due volte prima della fine dell’anno: in Messico nelle libere 1 e ad Abu Dhabi per i test collettivi programmati all’inizio della settimana successiva alla conclusione del Mondiale. Negli Emirati Arabi Uniti, Antonelli ha fatto registrare il quinto miglior tempo assoluto, a 84 millesimi da Russell, e il primo tra i rookie. A metà gennaio è sceso in pista a Jerez de la Frontera con la W10 che, essendo una vettura vecchia di quattro anni, non rientra nel limite dei 1000 chilometri di test per i piloti titolari. Infine, la tre giorni in Bahrain per i test pre-stagionali, che lo hanno visto realizzare il settimo tempo assoluto, risultando anche in questo caso il migliore tra i rookie.
Antonelli batterà un record di precocità, o quasi
A Melbourne Antonelli diventerà il terzo pilota più giovane di sempre a correre in F1, all’età di 18 anni e sei mesi. Più precoci di lui solo Max Verstappen (17 anni e cinque mesi, primato diventato imbattibile perché nel frattempo sono subentrate nuove regole FIA riguardanti l’accesso alle gare, vietato prima della maggiore età) e Lance Stroll. Premessa ogni impossibilità di paragone, giochino oltretutto legittimamente poco amato da Antonelli (quando fu paragonato a Oscar Piastri per la sua precocità nella scalata, rispose: «Piastri è Piastri e io sono io, perché lui è arrivato in F1 e sta esprimendosi alla grande, io sono solo agli inizi, quindi si tratta di due situazioni diverse»), con il pilota olandese condivide il fatto di essere rappresentato dal padre, Marco Antonelli, un uomo di motorsport (pilota, meccanico, tecnico), pur lontano dagli spigoli, veri e presunti, di Jos.
Rispetto a Stroll, invece, nessuno può sostenere che Antonelli sia arrivato in F1 grazie ai soldi della famiglia, che da sola non avrebbe potuto permettersi nemmeno i costi della categoria inferiore. Nessuna corsia privilegiata, quindi, se non quella di essere entrato da giovanissimo in un’Academy importante come quella della Mercedes e di aver superato tutti gli step di crescita previsti. Trattasi quindi di puro merito, con buona pace delle stroncature preventive arrivate in tempi recenti da commentatori quali Jacques Villeneuve e Juan Pablo Montoya.
Kimi Antonelli e l’Italia
In Italia Antonelli non è, né probabilmente sarà mai, il pilota di tutti, stile Valentino Rossi, del quale oltretutto sembra un opposto a livello caratteriale. L’Italia è un paese monocolore a livello di tifo, non è come l’Inghilterra dove c’è sempre stata più concorrenza tra i team ai vertici, né come l’Olanda che, essendo quasi priva di cultura motoristica, ha stretto Verstappen in un abbraccio incondizionato e totale, supportandolo fin dall’inizio a pieno organico. In Italia esiste solo la Ferrari, e già negli anni Ottanta gli appassionati meno giovani ricordano a Imola il gesto dell’ombrello rivolto dalla gente all’indirizzo di Riccardo Patrese, uscito di pista con la sua Brabham alle Acque Minerali. Preferivano la vittoria del francese Patrick Tambay su Ferrari, come infatti accadde.
Tralasciando la becera deriva del web dove il solo fatto di possedere talento e aver successo sembra essere una colpa, per molti Antonelli rimane il pilota dei tedeschi (oltretutto il secondo italiano di sempre nella storia della Mercedes dopo Piero Taruffi, due GP nel 1955 con la casa tedesca). Un italiano “sospeso”, più rivale che pilota di casa, e potenziale vittima di un tribalismo di derivazione calcistica, il cui primo assaggio è già arrivato, con picchi di livore altissimi, dopo le citata uscita a Monza. Certo, se vincesse si vedrebbe tributati i giusti onori ma, sotto sotto, provocherebbe anche qualche rosicata. Come se, a differenza dell’Italia delle moto, quella della Formula Uno possa permettersi di fare la schizzinosa in tema di grandi piloti tricolori.
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C’era una volta il biennio 1989-1990, quando erano addirittura 15 i piloti italiani ai nastri di partenza di un Gran Premio. Altri tempi, ma anche l’appassionato più pessimista non avrebbe potuto ipotizzare un così profondo declino dei nostri colori in Formula Uno. Una caduta quantitativa ma soprattutto qualitativa, precisando che quest’ultimo aggettivo non vuole essere una valutazione sull’effettiva stoffa dei piloti (mai mancata, a scanso di equivoci), ma riguarda le opportunità, ristrettesi sempre di più, soprattutto nelle scuderie di vertice. A un primo sguardo, Antonelli ha interrotto un’assenza nemmeno troppo lunga: tre anni e tre mesi. Tanto è passato dall’ultima corsa disputata da Antonio Giovinazzi, il 12 dicembre 2021 ad Abu Dhabi, alla guida dell’Alfa Romeo C41. Anche l’ultimo miglior piazzamento è stato appannaggio dell’attuale pilota di riserva (ma titolare nel WEC) Ferrari, nel 2019 in Brasile.
Ma quando si comincia ad alzare l’asticella, lo iato temporale si dilata: ultimo podio appannaggio di Jarno Trulli su Toyota nel 2009 in Giappone; pole nel medesimo anno di Giancarlo Fisichella in Belgio su Force India; ultima vittoria ancora del pilota romano, il 19 marzo 2006 a Sepang su Renault; ultimo titolo nel lontanissimo 1953, griffato Alberto Ascari su Ferrari.
Vincere un Gran Premio non significa però lottare per il titolo: in questo caso bisogna tornare indietro di quasi quarant’anni, quando Michele Alboreto su Ferrari illuse i propri tifosi di potersela giocare fino alla fine contro la McLaren di Alain Prost, e invece dall’agosto di quell’anno, dopo il GP d’Olanda, solo problemi per la Rossa del pilota italiano. Dopo di lui, ci sarebbe stato anche il secondo posto di Riccardo Patrese nel Mondiale 1992 con la Williams, in quello che però di fatto fu un assolo del primo pilota del team inglese, Nigel Mansell. Morale della favola: un po’ di tifo trasversale farebbe bene a tutti, non solo a Andrea Kimi Antonelli.