Tra Atalanta e Juventus, in questo momento, c’è un abisso

Come gioco, come progetto, come percezione dall'esterno. Lo 0-4 dello Stadium è soltanto la sintesi di uno scambio di gerarchie epocale

Fine delle illusioni. E pensare che, alla vigilia del big match di domenica, in casa Juventus si respirava una strana ari di grandezza: quel sentimento, molto fortuito e un po’ sornione, di chi sa benissimo di aver collezionato brutte partite in serie – Psv più Empoli nel giro di due settimane – e che pure, nonostante tutto, sta lì. A contatto con l’alta classifica, a flirtare con lo scudetto senza quasi farlo notare alle altre. Perché le altre avevano tutte perso terreno, mentre i ragazzi di Motta inanellavano cinque vittorie di file proprio mentre vivevano il periodaccio nelle coppe (che forse tale non era, o forse sì: per risolvere l’arcano identitario servirà la psicanalisi a domicilio brutalmente offerta dall’Atalanta). Fatto sta che quei sei punticini dal primo posto sono stati improvvisamente reali. E a Vinovo – senza mai dirlo, ma mai si dicono queste cose – si era perfino cominciato a notare che una remota analoga situazione, a marzo, a -6 dall’Inter, fu foriera di una sempiterna sbornia societaria. Kolo Muani come Trezeguet, il 5 maggio 2002 che si ripete. Metaverso. Sono bastati 90 minuti al cospetto degli altri nerazzurri, per far capire al mondo bianconero di trovarsi nel più bradburiano degli equivoci. Dove a cadere, forte e male, è soltanto la Juve. Stelle e chimere annesse.

Il poker rifilato dall’Atalanta allo Stadium è ben più di un’onta sugli annali (in ogni caso notevole: era dal 22 ottobre 1967 che la Juventus non perdeva in casa per 0-4, all’epoca per mano del Torino). Sa di lezione di calcio che in un colpo ha spazzato via tutto. Protagonisti, collettivo, progetto tecnico e dubbi amletici: ora sappiamo tutti che la Juve semplicemente non è. Mancano l’anima e il corpo. Il gioco e l’atteggiamento, sentire i decibel dei fischi dagli spalti. Più che guardare in alto – abbaglio che acceca, la corsa scudetto – bisogna tenere la testa bassa e i piedi per terra, o sfuggirà pure il treno Champions. La vera illusione era semmai quel che di buono sembrava essere emerso fin qui: una notevole tenuta nervosa, se non altro, specchio di una sola sconfitta e della miglior difesa del campionato (21 gol subiti, fino a ieri), tradizionale prerogativa bianconera. Un’occhiata al secondo tempo contro la squadra di Gasperini e niente più.

Perché l’Atalanta ha fatto tutto quel che voleva – letteralmente: basta rivedere l’assist di tacco di Kolasinac, difensore centrale, al limite dell’area piccola – e ha perforato la difesa avversaria con una facilità disarmante. Una squadra che per altro non si presentava in particolare salute: pure eliminata dalla Champions League con enormi rimpianti, apparentemente vacillante nel dietro le quinte – il caso tra Gasperini e Lookman aveva agitato le ultime settimane – e incapace di segnare una singola rete nelle ultime due gare interne contro Cagliari e Venezia. Erano finite in goleada invece le precedenti due trasferte, contro Verona (peggior difesa del torneo, 58 gol subiti) ed Empoli (peggior compagine del momento: unico sorriso del 2025 proprio in casa della Juve in Coppa Italia). Può mica essere questa la dimensione bianconera? Certo che no. Ma il campo ha detto altro. Spietata l’immagine della disfatta: Vlahovic che scivola (pagato 70 milioni, sarà un’impresa rivenderlo alla metà), mandando involontariamente in porta Lookman (costato 12, oggi ne vale 50) per la rete che ha chiuso la contesa sullo 0-4.

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L’altra faccia della medaglia è infatti il sorriso di De Roon e compagni. Quell’ola profanatrice sotto il settore ospiti, mentre lo Stadium si svuotava frastornato. Ben oltre il verdetto finale, l’Atalanta in quanto club incarna e realizza tutto ciò che alla Juve, nella sua interezza, non riesce. Il sorpasso tecnico-societario è avvenuto da anni: se la scorsa finale di Coppa Italia – altra illusione – poteva aver fatto credere il contrario, quella di Europa League e lo scontro diretto di domenica hanno messo a nudo la realtà una volta per tutte. Quello dei Percassi è un esempio europeo di gestione sana, valorizzazione dei talenti e invidiabile attenzione economica: nel 2024 ha chiuso il proprio bilancio in positivo per il nono esercizio di fila. I bianconeri invece rincorrono su tutto. Sintomatico il punto di domanda attorno all’operazione Koopmeiners (oltre 60 milioni, a Bergamo ancora ringraziano). Più in generale, il piano di rigenerazione sportiva e aziendale orchestrato da Giuntoli si è rivelato caos. Thiago Motta era arrivato per portare un gioco più ricercato, in rottura con l’epoca unoazzerista targata Allegri, che pure portava risultati: non si è visto né l’uno, né gli altri. La rosa è stata senz’altro ringionvanita, rinnovata. Ma a che prezzo? Oltre 250 milioni di euro nelle ultime due sessioni di mercato, con le cessioni a compensare per meno della metà. Se non sarà nemmeno quarto posto, sipario.

Al contempo, ogni ulteriore rivoluzione dimostrerebbe ancora di più la mancanza di una visione di lungo periodo all’interno del club bianconero. Che la batosta contro l’Atalanta rappresenti allora un benefico spartiacque: più in fondo di così, difficile. Era capitato anche al Milan, altri tempi e simili goleade: fu un 5-0 targato Ilicic, dicembre 2019, a sentenziare il de profundis rossonero. E insieme la genesi della riscossa. Che quella stessa squadra e guida in panchina (Pioli) avrebbero posto le basi per il 19esimo tricolore meno di due anni più tardi, all’epoca era parso impensabile. Il bello e il brutto del calcio è che non si sa mai. Chiedere a uno juventino qualunque, ieri sera, al fischio d’inizio.