Il 4 agosto 2024 i due pretendenti scendono in campo sotto un sole alto e splendente, ma per fortuna, non così bollente. Parigi è la destinazione perfetta per i Giochi estivi, le temperature sono calde ma non torride, e il pubblico in tribuna è pronto a fare la sua parte. L’ultimo dei francesi a lasciare il tabellone è stato l’insolente giocoliere Corentin Moutet, incenerito dal cowboy Tommy Paul, a sua volta poi sculacciato per bene da Carlitos il murciano. Da quel momento in poi, la scelta dei parigini è stata chiara, come da previsioni. Il loro mood è solo uno: forza Nole, vogliamo la fiaba. Sul piano della «narrazione», una finale Djoković-Alcaraz propone anche un altro tema mediatico piuttosto succulento, ovvero lo scontro generazionale, giacché che tra Nole e Carlos passano ben sedici anni di differenza. Chi è meglio? Il sopravvissuto della vecchia scuola, il saggio capobranco che gronda esperienza e può attingere a un bagaglio di conoscenze ampio quanto la vita, o il giovane millennial che sembra uscito da un laboratorio?
Già qualche mese prima, alla vigilia delle Atp Finals di Torino, Djoković aveva sparso un po’ di peperoncino sulla questione generazionale, tra il serio e il faceto: «Forse l’età è un vantaggio per certi versi, qui poi c’è un contrasto tra vecchia e nuova generazione… E non so a quale delle due io appartenga. Per me, competere con i più giovani è uno stimolo in più, perché so che hanno fame di successi, e vogliono arrivare al numero uno del mondo». «Penso che in un certo senso risvegliano una bestia dentro di me» aveva aggiunto qualche settimana dopo, perché quella bestia, in effetti, si era manifestata piuttosto ruggente agli Us Open del 2023 contro il giovanissimo idolo locale Ben Shelton. L’americano, grande sorpresa del torneo e idolo della folla a New York, si era fatto strada fino alle semifinali tenendo vivo il sogno di una nazione intera, che sperava di rivedere un connazionale trionfare nello Slam di casa, vent’anni dopo Andy Roddick. Shelton serve come un cannone di precisione e sa giocare un tennis efficace e spettacolare, e in più in quel momento vola sulle ali dell’entusiasmo. I giornalisti lo adorano, anche perché lui sa solleticarli in mille modi: con il look, ostentando valori come semplicità e purezza che ben si riflettono attraverso il rapporto che ha con il papà allenatore. Sa anche come creare meme sui social, e infatti durante il torneo accompagna ogni sua vittoria con un’esultanza rituale che i media hanno chiamato «phone celebration», ovvero un gesto forse un po’ sbruffone ma dalla grande risonanza, che consiste nel mimare con la mano l’atto di mettere giù la cornetta del telefono per chiudere una chiamata molesta. Comunicazione interrotta è il messaggio per chi guarda, gioco, partita, incontro e a mai più risentirci, io vado avanti.
E cosa fa Nole, dopo che incontra e straccia Shelton in semifinale? Cosa fa dopo aver chiuso il match in tre set per 6-3 6-2 7-6 senza mai soffrire? Ruba a Shelton, per sempre, la phone celebration, così come aveva rubato l’aura divina e all’apparenza inattaccabile di Federer e Nadal. Incamera l’ultimo punto e poi, con aria di sfida e sguardo da bullo rivolto alla folla, si guarda la mano destra chiusa come una cornetta, la alza accostandola all’orecchio, e mette giù con una certa prepotenza. Communication off, in finale ci vado io. Ancora una volta è lui il distruttore di sogni, il villain perfetto che colpisce e non perdona. L’immagine fa il giro del mondo, i giornali non parlano d’altro, il gesto «rubato» da Nole diventa persino una Gif su WhatsApp. Per tanti è l’ennesima trovata volgare del serbo, un gesto scorretto e gratuito che ha l’esito di ridicolizzare un giovane, per i suoi fan è una goliardata da antologia, una lezione a un novellino arrogante. Per la cronaca Djoković vincerà ancora una volta gli Us Open, chiudendo in tre set la finale contro Medvedev. Per ora, quello è il suo Slam numero 24, l’ultimo in cui ha trionfato.
Ma intanto il ricordo del finale del match con Shelton è quello che attraversa la mente di tutti i tifosi del mondo quando vecchi e giovani si sfidano su un campo da tennis. Carlos Alcaraz, a Parigi, intanto, l’arroganza non sa nemmeno cos’è. Sin dalle primissime battute, il giocatore più emozionato e contratto in campo sembra proprio il giovanissimo murciano, quasi che sia in grado di avvertire empaticamente la potenza del desiderio che brucia in Nole. Tra i due nel primo set è Alcaraz a concedere più palle break, otto contro cinque, tutte annullate. Ma il match è soprattutto una guerra di nervi, giocata muscolarmente da fondo in attesa dell’occasione propizia per mettere i piedi dentro il campo e provare a essere più aggressivi di dritto. Nole capisce di essere nella sua comfort zone, un match punto a punto in cui conta servire bene e fare le scelte giuste nei momenti decisivi, sbagliando il meno possibile, e in effetti l’andamento è esattamente quello che lui si aspetta. Il tie-break del primo set, di fatto, si decide su uno scambio soltanto, quello che si gioca sul 3-3. La seconda palla di Alcaraz in slice è più corta e meno penetrante di quello che dovrebbe e potrebbe essere, e Djoković mette a segno una splendida e imprendibile risposta di dritto angolatissima. Poi, dopo aver tenuto i suoi servizi, Nole s’inventa una sorprendente discesa a rete sul 6-3, che chiude con una magnifica volée in allungo. Djoković incamera quel piccolo vantaggio, ma sa che la strada verso la medaglia è lunghissima e piena di ostacoli.
Il secondo set, infatti, rimane equilibrato. Il serbo è attentissimo, concede pochissimi vantaggi allo spagnolo, che al contrario alterna grandi punti a molti errori non forzati. Di nuovo, con una sola palla break annullata da Nole in tutto il set, si arriva al secondo tie-break della giornata: come il primo è tutto giocato sui nervi, come una partita a scacchi, e Nole lo porta subito dalla sua parte grazie a un minibreak al primo punto. A garantirglielo è la combinazione di giornata che gli riesce meglio, e su cui, in tutta evidenza, si è preparato. Attendere l’attacco di Carlitos sul proprio dritto in corsa, per poi spigionare dei mortiferi fendenti in diagonale, ancora più potenti di quelli del murciano. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, ma Djoković sa bene che il livello di gioco che il match richiede in certi frangenti dev’essere celestiale, e dà il meglio di sé. Alcaraz incassa il colpo e si fa ancora più aggressivo, recuperando lo svantaggio, ma Nole resiste con difese strenue e poi mette a segno un altro dritto incrociato alla Iron Man, che finisce all’incrocio delle righe e buca il campo dopo uno scambio lungo e facinoroso. È un punto chiave, fantastico, il punto dei Giochi probabilmente.
Commosso da tanta bellezza, il pubblico va in estasi, anche perché quel capolavoro è il minibreak del 3-2. Djoković trema ma si controlla, vede i primi bagliori della medaglia che ormai si può quasi toccare. E infatti, grazie a uno smash e a un dritto in rete dello spagnolo, Nole si porta in un battibaleno sul 5-2, a soli due punti dal sogno. Alcaraz sembra non vedere spiragli. Di fronte ha un muro che ribatte tutto, un uomo la cui voglia di ottenere la vittoria che brama da sempre è travolgente, una sorta di campo magnetico che immobilizza, e così lo spagnolo spara in rete un altro colpo facile che sposta il punteggio sul 6-2.
Ci siamo. Nole ha a disposizione quattro match point, ma ne basterà uno. Il serbo risponde bene di rovescio, poi, sul palleggio interlocutorio di Carlitos il nuovo fenomeno, Nole spara un poderoso dritto in topspin lungolinea lanciando il suo urlo di guerra, ed è un colpo che porta con sé trent’anni di tennis. Il colpo perfetto, una bordata tesa, chirurgica, piena d’odio e d’amore insieme, che termina la sua corsa in un punto imprendibile per chiunque, al solito incrocio delle righe. È fatta. Nole è campione olimpico, ha vinto 7-6 7-6, e se già prima era a tutti gli effetti eroe nazionale, ora è diventato un supereroe. Tra i suoi record che non si contano più, c’è anche il Career Golden Slam.
Non resta che gioire, e simile a quella di un supereroe è anche la sua esultanza. Nole si gira verso il suo angolo in festa, tutti hanno addosso t-shirt o indumenti che richiamano la bandiera serba. Lui lascia cadere la racchetta e si adagia in posizione rigida, come se dovesse fare uno squat. Poi lancia un grido di gioia e le lacrime scendono copiose. In quello stesso istante si piega, guarda il cielo e si ricongiunge a esso, poi, soltanto dopo, raggiunge il suo avversario per i saluti di rito. Dentro di sé, Nole aveva accumulato una tensione enorme, da lasciar andare via tutta insieme con l’impeto di un’eruzione vulcanica.
Per Djoković è uno dei giorni più belli dell’intera vita sportiva, anche se questa speciale classifica nella sua carriera è stata aggiornata decine e decine di volte. Con i giornalisti, la sua felicità si taglia con il coltello ed è dolce come crema chantilly. «È la sensazione più bella. Quando feci da portabandiera alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra 2012 dissi che era l’emozione più grande. Lo pensavo, fino a oggi. Rappresentare la mia nazione è sempre stato un grandissimo onore, che si tratti di Olimpiadi, Coppa Davis, o altro… Nelle ultime tre/quattro Olimpiadi non sono mai riuscito a superare l’ostacolo delle semifinali, e farlo ora, a trentasette anni, vincendo contro un ragazzo di ventuno che forse al momento è il miglior giocatore al mondo, capace di vincere Roland Garros e Wimbledon uno dopo l’altro, che sta giocando un tennis fantastico, rende questo il miglior traguardo della mia carriera».