Brahim Díaz, il comprimario di lusso che decide le partite di Champions League

Per il terzo anno di fila, l'ex rossonero decide l'andata degli ottavi di Champions: soltanto il Real ha delle riserve così.

Lo squarcio su Real-Atlético è un paso doble in area di rigore. Minuto 55: il più basso fra i ventidue in campo punta l’uomo, lo inganna con un repentino cedimento della caviglia sinistra – il fermo-immagine sembra anticipare un brutto infortunio – e poi magia, col destro, e il pallone che rispunta in fondo alla rete sul secondo palo. L’ha fatto bellissimo, Brahim Díaz. Ed è un gol pesante come un macigno in chiave qualificazione: il Real Madrid, parola di Ancelotti, cercava «un piccolo vantaggio da poter gestire al ritorno» e grazie al suo numero 21 l’ha trovato.

È una specie di talismano, Brahim Díaz. È il terzo anno di fila che segna il gol decisivo nella gara d’andata degli ottavi di Champions: due stagioni fa castigò il Tottenham con la maglia del Milan, l’anno scorso fu decisivo per i blancos in casa del Lipsia. Se tre indizi fanno una prova, è molto più di un jolly. È complicato inquadrare il suo ruolo – non tanto in campo, sguardo creativo su tutto il fronte d’attacco, quanto nelle gerarchie in organico – sin dai tempi rossoneri. Almeno è così per osservatori e avversari: prima del derbi madrileño, Simeone aveva azzardato che non sarebbe stato Brahim a sostituire gli infortunati Bellingham e Ceballos: «Non credo toccherà a lui, perché in casa Real c’è uno schema preciso e verrà rispettato». Voilà.

La reazione di Díaz non s’è fatta attendere. Prima sul campo, con quel gol da antologia – l’unica beffa è che gli altri due all’interno del match non sono da meno, anzi forse lo sono ancor di puà – a fissare il punteggio sul 2-1. Poi però è andato oltre: letteralmente, superando le transenne e tuffandosi in un bagno di folla blanca per il più dolce dei cartellini gialli. A fine partita, la piccata risposta al Cholo: «Hai parlato ieri? Parla ora».

Meglio il gol o l’esultanza? Forse l’esultanza

Per i suoi allenatori però, da Pioli ad Ancelotti, Díaz non è mai stato un problema. Spesso un’opzione di lusso, talvolta una prima scelta, ma sempre con la privilegiata consapevolezza di poter contare su un gran colpo in canna per i momenti che contano. Il valore aggiunto di Brahim è saper farsi trovare pronto, sempre, ma senza spasimare per mettere la sua faccia in copertina. Se si pensa all’ultimo scudetto rossonero, i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Leão, Theo, Tonali. Magari Maignan e Giroud. Eppure il peso silenzioso del fantasista in quella squadra era decisivo: dove Pioli lo metteva, lui funzionava. Rientrato a Madrid, dopo il prestito triennale, per Brahim la musica sarebbe stata ancora più chiara. Eppure ha deciso di restare e giocarsi le sue carte, da comprimario in una rosa di fenomeni. 80 partite e 18 gol più tardi ha avuto di nuovo ragione lui. Nel frattempo ha anche vinto una Liga e una Champions League.

E forse è proprio questo il fascino della storia. Un trucco d’autore, come quella gamba che cede in area un attimo prima di scagliare in rete: a sorprendere, profilo basso e aspettative pure, il nativo di Malaga ci sguazza. Sa stare al gioco e al calcio. Soltanto in chiave Nazionale ha fatto un percorso diverso, scegliendo il Marocco – paese d’origine del nonno paterno – al posto della Spagna. Ha debuttato meno di un anno fa e viaggia già alla media di quasi un gol a partita, lì sì, da autentico leader e trascinatore. Da qualche parte bisognava pur provare. Metti caso che un giorno il Real si presenti da lui e gli consegni la dieci. Brahim, nel dubbio, si prepara anche a questo.

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