Il mio tennis è creativo e di altri tempi, intervista a Mattia Bellucci

Il tennista italiano, reduce dalla semifinale a Rotterdam, racconta la sua carriera, i suoi modelli d'ispirazione, la sua passione per il vintage e per la moda.

Mattia Bellucci è un’altra bella – anzi: bellissima – storia del tennis italiano. Il 23enne di Busto Arsizio si definisce un ragazzo socievole, «international», che ama viaggiare e conoscere persone provenienti da tutto il mondo. Appassionato di storia, cultura orientale e di calcio, ma solo quello dell’Inter. A Rotterdam, Bellucci ha eliminato agli ottavi di finale la testa di serie numero due, Daniil Medvedev, annullando 11 palle break su 12, poi ha battuto anche Stefanos Tsitsipas; la semifinale raggiunta gli ha permesso di fare un salto da 24 posizioni in classifica. Una favola, quella dell’azzurro – che solamente un anno fa era il numero 200 del mondo e oggi tocca il suo best ranking di numero 68 – finita per mano di un avversario ostico come Alex De Minaur, ma che ha lasciato un segno indelebile nel cuore di tanti appassionati. Anche per il modo in cui Bellucci interpreta il gioco.

Mai un punto uguale all’altro, ace con la seconda di servizio, imprevedibile, coraggioso, a tratti artistico: così è il tennis di Bellucci, spettacolare per quasi una settimana contro avversari che sognava di incontrare da tempo, figuriamoci di battere. Quando va in campo, Bellucci sembra ispirarsi alla sua passione per la moda vintage: serve and Volley abbinati alla bandana anni Novanta, slice di rovescio in pendant con le magliette oversize indossate duranti gli allenamenti. Mattia ha dimostrato di avere uno stile, così come un gioco, più unico che raro tra i tennisti moderni: «Ci tengo molto, voglio ricordare un po’ lo stile di Ivanisevic e Agassi», ha detto.

Per questo, la strada dell’azzurro e quella di C.P. Company, che dalla fine del 2024 è entrato per la prima volta nel mondo del tennis insieme a lui, erano destinate a incontrarsi. E così è nata una delle collaborazioni più interessanti di tutto il circuito. Adesso è già tempo di rifare i bagagli e Bellucci rivela che porta sempre due passioni in valigia: quella per il tennis e quella per le scarpe. Mattia e C.P. Company continueranno questo viaggio con l’obiettivo di evolversi senza mai dimenticare il passato. Magari raggiungendo un giorno la Coppa Davis di Jannik Sinner, da conquistare insieme agli amici: Flavio Cobolli e Andrea Vavassori.

Ⓤ: Vorrei partire dal principio: dove e quando è nata la tua passione per il tennis? 

Ho iniziato a giocare a tennis con papà perché era maestro di tennis, inizialmente in un campo del condominio a Castellanza dove ho sempre vissuto, vicino a Busto Arsizio, e poi nel circolo che gestiva a circa 10 km da casa. Mi sono legato al tennis fin da subito perché provavo un grande divertimento, avevo tanta voglia di competere e di confrontarmi già con gli altri bambini; direi che la mia forza attuale è la stessa di quando ho iniziato: competere, quindi aver voglia di vincere, ma divertendomi sempre.

Ⓤ: Tu hai fatto la scuola normale, mentre tanti tennisti a un certo punto sono spesso costretti ad abbandonare gli studi per dedicarsi solo al loro sport. Come hai fatto a gestire entrambe le cose?

Diciamo che metà giornata era dedicata alla scuola e l’altra metà al tennis. La mattina andavo a scuola e nel pomeriggio mi allenavo. Per questo motivo ho giocato molti meno tornei dei miei coetanei quando ero piccolo, ma allo stesso tempo accumulavo diverse assenze anche a scuola. Mi capitava di stare via per due o tre settimane di fila a causa dei tornei nazionali e poi dovevo recuperare i compiti, le interrogazioni. Ho ricordi di certe mattinate davvero intense per provare a studiare il più possibile e prepararmi alle interrogazioni. Delle volte saltavo la scuola e altre volte rinunciavo ai tornei per studiare.

Ⓤ: Quali erano le tue materie preferite? 

Ho fatto il liceo linguistico e l’inglese mi è sempre piaciuto, era abbastanza prioritario. Storia è un’altra materia che mi appassionava molto.

Ⓤ: Prima di Rotterdam, quali sono state le tappe più significative della tua carriera? Quelle che hanno segnato il tuo percorso in maniera particolare? 

Ti citerei le due vittorie Challenger nel 2022, seguite da un 2023 scoppiettante con la qualificazione in Australia. Nel 2024 mi sono ritrovato a dividere il campo con giocatori importantissimi negli Slam: Goffin, Wawrinka, Tiafoe e Shelton. E poi Zverev, al Masters 1000 di Shanghai. Questi appuntamenti sono stati molto importanti perché mi hanno dato informazioni preziose oltre che emozioni forti: ho capito che il livello c’era.

Ⓤ: A Rotterdam ormai sappiamo tutti com’è andata. Quello che vorrei sapere è quale vittoria ti ha reso più orgoglioso o felice: battere la testa di serie numero due (Medvedev) in tre set, o la testa di serie numero sei (Tsitsipas) in due set?

Scegliere tra le due partite è una bella sfida. Ma per le emozioni provate in campo ti direi la partita con Medvedev. È stato un match dov’era necessario essere creativo, che per me vuol dire semplicemente essere me stesso. Ovviamente anche confermarsi contro un grande giocatore come Tsitsipas, il giorno successivo, è stato significativo. Però contro Medvedev ho dato veramente il massimo, ho cercato di creare qualcosa a ogni punto e rimarrà una partita davvero speciale per me.

Ⓤ: A Rotterdam sei arrivato, per scelta, senza sponsor tecnico. Però è chiaro come il tuo stile sia molto tendente al vintage. Potresti parlarmene?

Sono molto appassionato di maglie vintage e non solo di tennis; avere l’opportunità di portarle in campo durante gli allenamenti è qualcosa che desideravo fare da tempo. Il richiamo della bandana mi diverte perché mi fa sentire diverso sul campo. La usavano un sacco di giocatori mancini anni Novanta come Goran Ivanisevic o giocatori come Andre Agassi. È un richiamo a quello stile lì. Prima giocavo con la fascia, ma mi disturbava prima dello smash e allora ho deciso di essere ancora più vintage con la bandana.

Ⓤ: In compenso hai portato C.P. Company per la prima volta nel mondo del tennis. Com’è nata la collaborazione? È un brand che conoscevi bene già prima?

È stato un incontro tra percorsi affini legati dalla passione per lo sport vintage. C.P. Company rappresenta bene il mondo del tennis grazie alla ricerca e alla continua innovazione dei materiali utilizzati nei loro capi d’abbigliamento. Di recente, ho avuto l’occasione di andare a Bologna a visitare il loro archivio ed è stata una grande emozione, come fare un viaggio nel tempo. Gli ho mostrato le loro giacche che compravo già da ragazzino. La cosa bella di C.P. Company, secondo me, è che si ritrova un po’ nel mio gioco. Entrambi uniamo il passato all’evoluzione. Nel mio modo di giocare a tennis credo che tradizione e innovazione si incontrino, per esempio attraverso i miei serve and volley o i cambi di ritmo con lo slice di rovescio. Un altro aspetto molto interessante scoperto nell’archivio di C.P. Company a Bologna è che la cartella colori della collezione Spring Summer 1990 si chiamava Bellucci. Trovarla lì è stato incredibile.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Rivista Undici (@rivistaundici)

Ⓤ: In allenamento a Rotterdam usavi le scarpe come obiettivi da mirare per il servizio. È una cosa che fai spesso? Solitamente hai così tante scarpe in valigia? 

Si, di solito porto almeno tre paia di scarpe oltre a quelle specifiche per giocare, mentre la maggior parte dei tennisti ne porta soltanto un paio in più o addirittura usa quelle da atletica per girare. Le scarpe, così come i vestiti, sono una delle mie più grandi passioni, quindi buona parte dello spazio in valigia lo lascio a loro. Quello che ho fatto a Rotterdam in allenamento lo faccio spesso, non mi piace provare il servizio con qualcuno dall’altra parte della rete, preferisco mirare degli obiettivi.

Ⓤ: Il tuo stile e il tuo gioco ti rendono abbastanza unico nel tuo genere. Fuori dal campo invece come ti definiresti? Sei una persona solitaria o ti piace stare in compagnia? 

Sono abbastanza socievole, mi piace stare in compagnia. Viaggiare per piacere mi piace anche farlo da solo. Sono un po’ entrambe le cose.

Ⓤ: Chi sono i tuoi amici nel circuito? 

Con gli italiani ho un buon rapporto ma non solo. Per esempio, ho un ottimo rapporto con l’americano Aleksandar Kovacevic contro cui ho perso a Montpellier. Mi alleno spesso anche con giocatori asiatici e soprattutto giapponesi, mi piace molto la loro cultura. Apprezzo il fatto di stare un po’ con tutti ed essere un giocatore “international”. Tra gli italiani invece ho un buon rapporto in particolare con Flavio Cobolli, Andrea Vavassori e Luca Nardi. Sono i ragazzi con cui ho condiviso la maggior parte dei tornei Challenger e momenti importanti.

Mattia Bellucci è nato a Busto Arsizio il primo giugno del 2001. Conquista il primo titolo ITF nel 2021, il primo Challenger arriva invece nel 2022 (Rene Nijhuis/MB Media/Getty Images)

Ⓤ: Il tuo allenatore Chiappini ha detto che sogni la Davis. Chi vorresti con te in squadra? 

Gli ultimi due anni di Davis sono stati incredibili quindi andare a scindere quella squadra è molto difficile. Diciamo che per me, anche solo partecipare alla squadra insieme a Cobolli e Vavassori sarebbe un enorme piacere. La presenza di Jannik Sinner sarebbe oltre che un grande piacere anche un onore.

Ⓤ: Quando ci siamo sentiti lo scorso ottobre mi hai detto che il tuo obiettivo era proprio quello di spingere nei primi mesi del 2025 perché avevi pochi punti da difendere. Qual è il prossimo torneo dove punti a ripeterti? 

Tutti i tornei che andremo a giocare da qui alla fine dell’anno saranno importanti e gli slam sono ovviamente prioritari. Mi piacerebbe giocare bene a Indian Wells e fare meglio di quanto io abbia fatto due anni fa. Poi sicuramente vorrei essere presente a Roma, è un appuntamento molto importante per tutti noi italiani, lì vorrei giocare con grande qualità. Mi sono particolarmente affezionato anche al torneo di Tokyo, il pubblico lì è stato incredibile. A fine anno vorrei tornarci.

Ⓤ: Questa attenzione mediatica che ti ha travolto nelle ultime due settimane come ti ha fatto sentire? 

Devo dirti che sono stato contento, è una conseguenza di una buonissima prestazione e di ottimi risultati. È qualcosa per cui lavoriamo davvero tanto. Nella mia vita quotidiana non è cambiato nulla, rimango aperto ad affrontare nuove sfide future e predisposto a situazioni come queste. Non mi tirerei indietro.