Mateo Retegui, Marcus Thuram, Ademola Lookman: se guardiamo alle rose delle squadre che occupano i primi cinque posti della classifica di Serie A dopo 23 giornate, solo questi tre attaccanti sono arrivati in doppia cifra. Retegui, come se non bastasse, è l’unico ha superato quota 13 gol. Questi dati spiegano molte cose sull’andamento di questo campionato. Tanto per dirne una: per la prima volta dopo due anni, la/e squadra/e in testa non ha/hanno un centravanti che domina la classifica dei cannonieri – per capirci: non ci sono il Lautaro del 23/24 e l’Osimhen del 22/23. E allora forse bisogna guardare un po’ più indietro, a un altro reparto, per trovare i veri protagonisti della lotta al vertice: il Napoli di Conte respira e corre e rende al ritmo di McTominay e Anguissa, l’Inter gira alla grande quando Barella e Cahlanoglu riescono a esprimersi al meglio; il motore dell’Atalanta sta nell’ubiquità e nella qualità di Éderson, Lazio di Baroni viene governata dal fosforo di Rovella. E infine c’è la Juve di Thiago Motta, in cui Manuel Locatelli sta tornando ad alti livelli dopo anni di equivoci tattici.
Rileggendo i nomi di questi centrocampisti e collegando mentalmente le loro caratteristiche a quelle delle loro squadre, ci si ritrova di fronte a una perfetta corrispondenza/sovrapposizione. Nel senso: il Napoli 2024/25 è una squadra letteralmente fondata sulla fisicità debordante delle sue mezzali, su Anguissa e McTominay, molto più che sulle geometrie sinuose di Lobotka; l’Inter di Inzaghi è una sorta di mix tra il dinamismo di Barella e la regia illuminata di Cahlanoglu; Éderson è in grado di giocare e di essere decisivo ovunque, e questo lo rende il giocatore perfetto per il sistema fluido di Gasperini; Rovella è probabilmente l’unico centromediano in grado di orientarsi nell’elettricità che si genera quando gioca la Lazio, anzi è cresciuto al punto da riuscire a gestire un calcio così rapido e dispendioso; Locatelli ha ripreso a fare da metronomo, ora è l’organizzatore di un possesso palla che cerca di essere vario, sofisticato: il ruolo che gli è sempre riuscito meglio.
Sciorinando una delle sue solite frasi iperboliche, una volta Guardiola disse di essere «innamorato dei centrocampisti: sono i giocatori più intelligenti, nella mia squadra ne vorrei mille». È chiaro, questo sentimento nasce anche dal vissuto di Pep, dal fatto che pure lui fosse un centrocampista. Ma la realtà, al di là della retorica, è che i centrocampisti contemporanei hanno un’influenza enorme. Prendiamo il caso di Rovella, probabilmente il meno appariscente tra tutti i giocatori che abbiamo citato finora: dopo la gara contro il Monza, Baroni ha detto che è «un tuttocampista», qualche settimana fa l’aveva definito «un giocatore che ha molta mobilità, sa coprire gli spazi e il campo come pochi».
Solo qualche anno fa era difficile pensare che il cosiddetto regista di una squadra potesse coordinare e impostare il gioco muovendo il corpo prima che il pallone, e invece adesso l’evoluzione tattica sta andando in quella direzione. Certo, ci sono squadre che hanno un’altra impostazione: il Napoli di Conte, per esempio, ha una costruzione un po’ più classica, l’azione si sviluppa quasi sempre a partire dai centrali e da Lobotka; Anguissa e McTominay, però, interpretano il ruolo di mezzali con in modo estremamente offensivo e quindi estremamente moderno, praticamente sono i due giocatori che si affiancano a Lukaku, che gravitano nella sua zona e attaccano l’area di rigore su ogni pallone crossato o imbucato. Non è un caso, insomma, che mettano insieme undici gol (sei McTominay, cinque Anguissa): due in più di quanti ne abbia segnati Lukaku.
C’è varietà, ma soprattutto c’è qualità: a novembre, tanto per tornare un attimo nel recinto di Guardiola, un media importante come ESPN ha scritto che il Manchester City avrebbe messo nel mirino Éderson come rinforzo per il centrocampo; anche Barella è stato accostato più volte a club di Premier League, ma nessuna operazione è mai decollata davvero – anche per la riluttanza del giocatore, che pare deciso di voler rimanere all’Inter ancora a lungo. Tutte queste indiscrezioni, al di là della loro veridicità o invenzione, sono assolutamente realistiche: parliamo infatti di due calciatori da Premier League, fisicamente superbi, forti e resistenti, ma dotati anche di grande tecnica e di una spiccata intelligenza tattica.
Gasperini e Inzaghi hanno lavorato su di loro con i tempi e con i modi giusti, di fatto li hanno trasformati in due perfetti interni del 3-5-2 o del 3-4-3, in due moti perpetui in grado di leggere la miglior posizione da assumere in ogni manovra, di aggredire gli avversari come di scartarli palla al piede, di attaccare l’area centralmente come di aprisi sulla fascia, di sovrapporsi ai terzini come di andare ad aggiungersi agli attaccanti. E infatti Barella è il miglior centrocampista della Serie A per assist serviti, cinque, mentre Éderson è il centrocampista numero uno del campionato nel rapporto tra contrasti vinti con gli avversari e recuperi palla che portano a un tiro verso la porta.
È chiaro, ora all’orizzonte si vede già la parte decisiva della stagione e quindi l’impatto degli attaccanti via via assumerà un peso sempre più elevato. La verità, però, è che i centrocampisti rappresentano – e quindi sono – l’anima delle proprio squadre. Le caratterizzano, anzi si può dire che ne determinano l’identità. In questo senso, la Serie A è un laboratorio tattico di grande pregio: tutti i giocatori che abbiamo citato sono nella top 50 dei giocatori più costosi dell’intero campionato, almeno secondo gli algoritmi di Transfermarkt, e oltre a loro ci sono anche Koné, Lobotka, Ricci, Fofana, Guendouzi, Frattesi, Douglas Luiz, Reijnders. Va detto anche che siamo su valori elevati, che nessuno scende sotto i 25 milioni di euro. Insomma, non ci sono dubbi: questa Serie A è un campionato che forse è meno opulento rispetto ad altre ere calcistiche, ma che a centrocampo non manca certo di talento, anzi.