Come si fa a fare gli osservatori di calcio, nell’era digitale

Database e video-analysis sono sempre più importanti, ma lo scouting diretto resta ancora una risorsa fondamentale. Soprattutto per i club meno ricchi.

Si è appena conclusa la sessione invernale di calciomercato, quella definita di riparazione. Ma si sa, per rinforzare una rosa si deve lavorare tutto l’anno. Le nuove forze in gioco – fondi d’investimento privati e sovrani, miliardari asiatici, sceicchi e magnati vari – hanno reso il calciomercato ancor più competitivo, il cartellino dei calciatori di prima fascia è quasi sempre inarrivabile per i club della nostra Serie A, per cui il sistema di addestramento e di selezione dei talenti calcistici dovrebbe essere centrale anche in Italia. Non a caso, viene da dire, la stessa FIGC ha puntato sullo sviluppo di una rete di scouting a beneficio di tutte le rappresentative nazionali, dai giovanissimi alla nazionale maggiore. L’attività di scouting, del resto, può rappresentare un asset per creare valore. Di fronte alle spese folli del calcio business, per molte società professionistiche la priorità, ormai, non è il risultato sportivo, ma la maturazione di talenti da cui ricavare plusvalore. Si pensi al blasonatissimo Ajax o alla nuova academy Red Bull; qui in Italia, società come Atalanta, Udinese o Empoli (lo furono anche l’Avellino o il Palermo) sono sempre state una fucina di talenti da rivendere a prezzi più che triplicati a Juve, Milan, Inter e agli altri club di primissimo livello.

Il problema è che non è (ancora) possibile installare telecamere in tutti i campetti d’Italia e del pianeta, quindi resterà impossibile monitorare tutti gli eventi calcistici di qualsiasi categoria d’età a livello mondiale. E allora è rimasta immutata l’importanza del networking, che genera segnalazioni quotidianamente attraverso scout territoriali, Academy, società satellite, referenti locali di fiducia, direttori sportivi che lavorano in più società e offrono “soffiate” a club di livelli più alti. L’Atalanta, per esempio, vanta circa 80 scuole calcio affiliate sparse in tutta Italia. Il Bologna sta potenziando e consolidando la sua rete con Loris Margotto, una lunga esperienza nei vivai e nello scouting giovanile in società come il ChievoVerona e la stessa Atalanta: «La collaborazione con le società satellite è all’insegna della reciprocità», spiega Margotto. «Noi mettiamo a loro disposizione il nostro know-how organizzando numerosi corsi di formazione diretti dai nostri tecnici. Che però sono anche i nostri primi segnalatori, poiché hanno la possibilità di visionare settimanalmente avversari giovanissimi di società locali, in ambito regionale ed extra. Stiamo cercando di coprire il più possibile almeno il territorio nazionale, avvalendoci anche di collaboratori a contratto orientati specificatamente allo scouting, disponibili a qualche ora di training per assimilare le modalità operative, i codici di comportamento e i valori della nostra società. Abbiamo bisogno di persone di cui fidarci pienamente».

Quello dello scout è un duro mestiere e, come vedremo, riservato (ancora) a pochi. Del resto, nel nostro Paese, solo un bambino sui 5000/6000 che giocano a pallone (sono stati pubblicati diversi studi e statistiche al riguardo) è destinato a diventare un calciatore professionista, per cui è inevitabile che la carriera di ogni osservatore di calcio sia costellata di errori e di previsioni disattese. Gli strumenti da affinare sono differenti, soprattutto a seconda del target di riferimento. Un conto è seguire giocatori già formati, tutt’altra storia è monitorare i giovanissimi. Come spiega Filippo Galli, responsabile dell’area metodologica del Parma, il fiuto consiste nell’«individuare le potenzialità, oltre la prestazione sul campo. Un ragazzo può giocare benissimo, perché già “fisicato”, ma potrebbe nascondere ulteriori margini di miglioramento. Viceversa, con altri giovanissimi si deve magari avere la pazienza di aspettare la maturazione fisica e atletica. Quando invece si tratta di selezionare e proporre giocatori già formati , è indispensabile conoscere lo stile e la “cultura” che contraddistinguono storicamente un club e le tipologie di gioco adottate dai coach delle varie categorie di quel club».

Anche per Riccardo Guffanti, guru dello scouting nostrano, selezionare giovanissimi e chi è già pronto per una prima squadra sono due mestieri differenti: «Solo pochi riescono a vedere in prospettiva, anche perchP a 12/13 anni un ragazzo si deve ancora formare sia a livello strutturale che comportamentale». Grazie a Wyscout e InStat, Guffanti analizza almeno due partite al giorno, un’attività non certo stressante per uno che, nei tanti anni vissuti all’Udinese, ha valutato le prestazioni di migliaia di calciatori registrate sui nastri VHS. Il sistema di scouting dell’Udinese è ancora oggi uno dei migliori esempi di continuo avanzamento tecnologico, non solo sul panorama italiano: non a caso, di recente la Federazione giapponese si è affidata proprio al club friulano per la ricerca di portieri). Famosa è la sala di analisi video in cui venivano trasmesse le partite di qualsiasi campionato italiano ed estero, allestita ancor prima dell’esplosione del digitale.

Per Andrea Ritorni, scopritore di Michael Kayode, è fondamentale la rete (di contatti) che fornisce costantemente feedback e segnalazioni da verificare con l’osservazione diretta sul campo. Rino D’Agnelli, invece, consiglia sempre «di vedere il “prospetto” almeno tre volte in gara e un paio di volte in allenamento. Se i riscontri sono buoni, si passa a un provino». Non di rado, ci si siede sugli spalti per visionare un certo giocatore, ma, nel corso del match, se ne scopre un altro ancora più interessante. L’avvocato Christian Marianiello, specializzato nell’osservazione delle categorie «Under», è per uno scouting «settoriale e specifico, che intervenga laddove la “territorialità” non abbia fornito risultati soddisfacenti. Io sono per privilegiare la valorizzazione del territorio e l’emergere dei talenti regionali; solo in caso di scarsità di precise caratteristiche, attitudini e propensioni, il raggio di ricerca deve essere ampliato».

In base alla sua esperienza, Gabriele Cioffi – ex allenatore di Crawley Town, Udinese e Verona – propone un altro approccio: «Per quel che mi riguarda, in questo settore non esistono regole rigide. Le segnalazioni possono arrivare da agenti, direttori sportivi e scout. Successivamente, grazie a strumenti come Wyscout, si opera un’analisi approfondita dei profili suggeriti. Per i giovani e giovanissimi che non appaiono su Wyscout, bisogna muoversi e raggiungerli sui campi». Sempre per esperienza diretta, Cioffi ritiene che l’attività di scouting in Inghilterra abbia raggiunto un livello di professionalizzazione più elevato: «Si pesca molto nelle categorie minori. Io stesso mi sono attivato per far rientrare nel giro calciatori di indubbio talento che, per vari motivi, si erano un pò persi o che non erano stati più considerati dai club di prima fascia». Un modus operandi che stanno adottando anche alcuni club di Serie A, in primis Empoli e Udinese. Per tutti gli intervistati, una struttura interna di scouting rappresenta certamente un asset e dovrebbero sostenerla almeno tutte le big. Per alcune società come l’Udinese, che non possono vantare disponibilità finanziarie pari a quelle che dominano il calcio mondiale, è l’asset principale da cui ottenere vantaggi competitivi.