Quando Orsolini riceve palla sulla destra è isolato in uno contro uno con Akpa-Akpro, non distante dallo spigolo dell’area. Il Bologna ha ricreato una situazione di gioco vista e rivista già mille volte in questa stagione e nelle precedenti: ha sovraccaricato il lato sinistro e in tre passaggi ha cambiato fronte. Ora Orsolini può puntare, muove le gambe saltellando, fa finta di andare a destra come aveva già fatto nelle due azioni precedenti, sterza forte a sinistra e mette un cross tagliato che corre verso la porta; al limite dell’area piccola sta arrivando Santiago Castro, schiacciato in mezzo a due difensori del Monza, prende il tempo meglio di tutti e frusta la palla con un tocco minimo per mandarla sul palo lontano. Il cronometro segna 22 minuti esatti del primo tempo al Dall’Ara. È 1-1. In quel momento, la partita va tutta dalla parte del Bologna.
Il dominio territoriale della squadra di Vincenzo Italiano sul Monza è stato evidente anche prima di questo gol, anche quando la squadra ospite era in vantaggio. Lo è stato dal primo al novantesimo. Dopotutto il Monza aveva pochi strumenti per fare opposizione. Poi Maldini l’ha sbloccata subito e così la squadra di Bocchetti haa provato a speculare sul punteggio, chiusa dietro con tutti gli spazi intasati, le azioni offensive limitate a poche ripartenze. Il Bologna aveva la palla, la recuperava presto, ma non riusciva a sfondare. Sembrava una di quelle partite in cui un episodio iniziale può cambiare una storia già scritta – cambiare in negativo, s’intende. Poi è arrivata l’azione del pari, una costruzione meccanica e un po’ prevedibile illuminata dal talento dei singoli, dal lampo di Orsolini, dal tempismo di Castro. A quel punto è partito un cronometro, un conto alla rovescia. Era solo questione di tempo prima che il Bologna trovasse il gol del vantaggio, e poi un altro ancora.
Gli highlights di Bologna-Monza
La formazione di Vincenzo Italiano ha fatto tutto ciò che le riesce meglio: ha preso subito il controllo del campo, ha asfissiato l’avversario con un pressing furibondo, si è presa tutti i palloni e ha provato a fare la partita. Ma ha trovato le solite difficoltà nell’organizzazione offensiva, con pochi spunti e troppe azioni piatte, neanche eseguite benissimo. A inizio campionato si diceva che Italiano fosse andato via da Firenze solo per ricreare la Fiorentina altrove, con le stesse virtù e gli stessi difetti. Non può essere così, ma ci sono degli elementi di verità. Perché il Bologna ha un’identità chiara, riconoscibile, e l’ha avuta da subito. Italiano è stato bravissimo a ottenere ciò che chiede sempre ai suoi giocatori, lavorando sull’eredità di Thiago Motta, estremizzando alcuni principi che la squadra già conosceva: il pressing alto e aggressivo, per esempio, è diventato più alto e più aggressivo. E quindi oggi il Bologna vuol dire vivere sotto pressione: c’è sempre una frazione di secondo in meno per costruire da dietro, i limiti tecnici dei singoli vengono esposti brutalmente, i ritmi si alzano a dismisura. La costruzione è più elementare, diretta, verticale; senza Zirkzee e avendo ritrovato Lewis Ferguson solo da poco, la fase di rifinitura è affidata ai giocatori esterni, quindi Orsolini, Ndoye, Domínguez, ma anche Juan Miranda, e spesso si scommette sulla (maggiore) casualità del crossing game.
Fin qui i risultati premiano le scelte di Vincenzo Italiano. Il Bologna è settimo davanti a Milan e Roma, con 33 punti in 20 partite: il massimo punteggio mai raggiunto dai rossoblu a questo punto della stagione, un anno fa Thiago Motta, Calafiori, Zirkzee e gli altri erano a quota 32. Orsolini e compagni sono di nuovo in lotta per un posto in Champions League, a -6 dal quarto posto. E nel calcolo rientra anche la solita, comica tendenza all’autosabotaggio delle squadre di Italiano: molti punti persi negli ultimi minuti per disattenzioni banali, movimenti goffi, imprecisioni di ogni tipo. È successo contro la Roma così come contro il Verona. E a Genova a inizio stagione, dove un Pinamonti incendiario si era concesso 15 minuti da supereroe per pareggiare il doppio svantaggio.
Se torniamo indietro con la mente, solo sei mesi fa sembrava impossibile ripetere i risultati della scorsa stagione. In estate il Bologna ha perso Joshua Zirkzee, il suo miglior attaccante, Riccardo Calafiori, il miglior difensore, e Thiago Motta, l’allenatore che aveva costruito la squadra più interessante del 2023/24 e riportato il club in Champions League dopo sessant’anni. Anzi, apparentemente c’erano le condizioni per un fallimento totale: rosa impoverita, automatismi da ricostruire e un calendario ingolfato dalle otto partite di Champions. Col senno di poi, la scelta di chiamare di Italiano al posto di Motta è stata meno traumatica del previsto. Perché, ed è questo il nocciolo della questione, il vero punto di forza del club, al centro sportivo di Casteldebole c’erano già le condizioni per far funzionare questo passaggio di consegne. Dietro le scrivanie, c’è un’idea chiara di cosa serve alla squadra, a che punto del suo sviluppo e della sua storia è il Bologna. Significa che il progetto funziona, significa aver costruito qualcosa di duraturo e solido che non dipende dai singoli o da certi nomi. Non completamente, almeno
Il primo riferimento deve essere quello di Giovanni Sartori, «l’Hans Christian Andersen del calcio italiano», come ha scritto James Horncastle su The Athletic. Stiamo parlando di un dirigente diventato famoso perché crea favole, perché porta degli improbabili underdog in Champions League, a giocare contro le stelle del calcio mondiale. Ci era riuscito con il Chievo Verona, ci era riuscito con l’Atalanta. Ora si sta ripetendo a Bologna, da responsabile dell’area tecnica. Quella di Sartori, oggi uno dei migliori in Italia nel suo lavoro, è anche una storia molto bolognese: il padre Camillo era tifoso del Bologna e lo portava alle partite a San Siro, lo stadio più facilmente raggiungibile dalla loro casa nel Lodigiano. Andavano a vedere il mitico Bologna degli anni Sessanta, quello con Giacomo Bulgarelli e del settimo scudetto. Con Sartori e con Marco Di Vaio, altra bandiera rossoblu e direttore sportivo da giugno 2022, il Bologna ha trasformato un club di metà classifica in uno che cerca costantemente un posto in Europa. Tra il 2019 e il 2020 il progetto societario si è evoluto, gettando le basi per quello che è oggi. «Abbiamo cambiato approccio e così abbiamo iniziato a investire di più su calciatori giovani e di prospettiva, su talenti che secondo noi avevano delle potenzialità importanti e potevano essere valorizzati. Poi abbiamo deciso di portare avanti questa strategia guardando soprattutto all’estero. Fuori dall’Italia ci sono tantissime occasioni di mercato, però bisogna studiare, bisogna valutare bene tutti i profili. Bisogna conoscere i campionati e i Paesi che si vanno a esplorare», aveva detto proprio Di Vaio in un’intervista a Undici un anno fa.

Non è che il centro sportivo di Casteldebole sia improvvisamente diventato Harvard, non c’è rocket science né magia nera in questo percorso. Al club vedono questa trasformazione come un’evoluzione naturale. La dirigenza si è data nuove linee guida, nuovi parametri, un modo di fare mercato, business e calcio più sostenibile. Si battono i campionati meno battuti, dalla Scozia alla Svizzera, poi anche il Nord Europa, alla ricerca dei migliori giovani. A questi va aggiunta esperienza, uno spessore che dia stabilità allo spogliatoio, alla squadra in campo, durante il lavoro in settimana. Per questo è arrivato Remo Freuler dal Nottingham Forest, e sono ancora figure chiave Lorenzo De Silvestri e Łukasz Skorupski, i due elementi più anziani in rosa.
In un sistema efficiente e integrato è più facile individuare l’allenatore giusto e i giocatori giusti, introdurli a Casteldebole, far funzionare le cose. Anche le decisioni meno riuscite, perché ci sono anche quelle – l’acquisto di Casale, l’inserimento difficile di Dallinga, l’assenza di giocatori brillanti nella rifinitura sulla trequarti – sembrano pesare meno. E comunque non interrompono il percorso di crescita globale di squadra e società. In questa prospettiva, il lavoro di Vincenzo Italiano è solo una conseguenza. O comunque poggia su una base già solida.
In questa stagione sarà difficilissimo tornare in Champions League, nonostante il record di punti dopo 20 giornate: Napoli, Inter e Atalanta sembrano destinate a lottare per il titolo, quindi rimane un posto solo, forse due. E il Bologna è dentro una corsa a cui sono iscritte Juventus, Lazio, Fiorentina e Milan. Già riuscire a qualificarsi per l’Europa League sarebbe un risultato eccellente. Peccato solo che con il nuovo format delle competizioni europee non sia possibile retrocedere dalla Champions League: quest’anno ci sarebbe stato da divertirsi, ancora di più.