Partiamo da un’istantanea: Erling Haaland segna il gol del vantaggio a Stamford Bridge nella prima giornata della Premier League 2024/25, e lo fa dopo aver vinto un duello con Cucurella. Nel secondo tempo, poi, con lo spagnolo a terra per un problema fisico, l’attaccante del City gli passa accanto ridacchiando. E lo 0-2 finale, che sancisce la sconfitta dei Blues nel giorno dell’esordio in panchina di Enzo Maresca, passa quasi in secondo piano di fronte a quel momento diventato virale. Quel momento, forse, era il più immediato e il più calzante, almeno per il pubblico social, per riassumere gli ultimi tre anni del Chelsea, passato dall’essere campione d’Europa nel a squadra-meme della Premier League. Il tutto nel giro di un paio di stagioni, caratterizzate dalle folli sessioni di mercato imbastite dalla nuova proprietà Clearlake-Boehly, dalla rosa di 43 giocatori che non trova spazio sufficiente nel centro di allenamento di Cobham, dai quattro allenatori che si sono alternati sulla panchina di Stamford Bridge nel corso della stagione 2022/23, in cui il Chelsea ha concluso la Premier League al dodicesimo posto.
L’annuncio di Maresca come nuovo allenatore, arrivato lo scorso 3 giugno, non aveva fatto altro che aumentare lo scetticismo e lo scoramento intorno a Stamford Bridge. In quei giorni The Athletic raccolse i commenti di alcuni tifosi alla firma dell’allenatore italiano, reduce dalla promozione con il Leicester: «Maresca ha firmato per cinque anni, ma verrà esonerato in cinque mesi», «Questo signor nessuno non durerà sette mesi», «un’altra scelta idiota di Todd Boehly» e altre frasi erano praticamente la regola. A queste letture negative, per usare un eufemismo, si aggiungevano i pareri di ex giocatori e opinionisti come John Obi Mikel e Jamie Carragher: «I tifosi del Chelsea sono stati pazienti, ma se Maresca non inizia bene la stagione potrebbe essere una catastrofe», sosteneva l’ex centrocampista dei Blues nel suo podcast; Carragher, dopo la sconfitta nell’opening con il City, aveva detto che: «il Chelsea deve smettere di comprare giocatori, e i giocatori devono smettere di firmare per il Chelsea. Se giocassi oggi, non credo che andrei al Chelsea. Non c’è nulla lì».
Pochi giorni fa i tifosi Blues, assipeati nel settore ospiti del Tottenham Hotspur Stadium, hanno cantato il coro “Chelsea are back, Chelsea are Back”, dopo l’incredibile rimonta valsa il 3-4 nel derby con gli Spurs. Inoltre hanno scandito forte e chiaro il nome di Enzo Maresca. E allora viene da chiedersi: cosa è successo nel giro di soli quattro mesi? Intanto la classifica della Premier League dice che il Chelsea è al secondo posto, con 31 punti in 15 partite, a quattro lunghezze dal Liverpool capolista (che però ha una partita in meno). Se andiamo oltre questo risultato così inatteso, sebbene la stagione sia ancora molto lunga, ciò che colpisce è il modo in cui il Chelsea ha ricominciato a essere una squadra di calcio vera, credibile, anche competitiva: gli uomini di Maresca giocano bene, divertono, si divertono e segnano molto. Anzi, non avevano mai segnato così tanto. Nelle 24 partite disputate in stagione i Blues hanno già realizzato 64 reti, 2,66 ogni 90 minuti. E se questo dato è stato sicuramente “gonfiato” dalla partecipazione alla Conference League, torneo in cui il Chelsea ha segnato 24 gol in sette partite, l’aspetto che maggiormente va sottolineato è quello dell’identità di gioco che Maresca ha saputo trasmettere alla sua squadra in un arco di tempo così breve.
Una delle chiavi del lavoro di Maresca, infatti, è stata quella di riuscire a convincere un gruppo giovane e talentuoso a sposare i principi del sacrificio, dell’attenzione e della coralità. Del resto, le sue doti di persuasore si intuivano già nel colloquio con Boehly ed Eghbali, ai quali aveva detto che, se avessero insistito con il loro progetto, il Chelsea avrebbe dominato il calcio inglese ed europeo nel giro di cinque anni. Parole del genere, ribadite anche alla stampa ed espresse a una squadra reduce da un dodicesimo e un sesto posto, potevano essere interpretata come una manifestazione di pazzia o genialità. I proprietari del Chelsea, evidentemente, hanno creduto che fosse genialità, al punto da offrire un contratto di cinque anni al tecnico italiano. Anche questa, del resto, è un’idea solo apparentemente strana: in realtà l’assunzione di un manager a lungo termine è una scelta perfettamente in linea con il modo in cui è stata gestita la squadra, con le risorse finanziarie investite per costruire una squadra estremamente giovane – Maresca non ha concesso un solo minuto a giocatori Over-30 in questa stagione: il più anziano tra quelli schierati è il 27enne Adarabioyo – e profondissima. A cui, forse, servivano solo tempo e ordine per emergere dal caos.
E Maresca, che l’ordine era abituato a metterlo da centrocampista, ha studiato come farlo da allenatore nei due anni da secondo di Pep Guardiola, che si sono conclusi con lo storico Triplete del Manchester City. «Ho vissuto come se fossi una spugna», ha raccontato Maresca riferendosi alla sua esperienza con Guardiola, di cui ha cercato di assorbire i metodi, il modo di comunicare con i giocatori e convincerli delle proprie idee. È bastata poi una stagione in Championship con il Leicester, campionato vinto con 97 punti, a fargli spiccare il volo. Perché gli venisse affidato un progetto, quello del Chelsea, in cui far crescere i calciatori e in cui crescere come allenatore.

Maresca ha illustrato da subito alla squadra i suoi principi di gioco: 4-2-3-1 basato su un centrocampo equilibrato, due esterni molto abili nell’uno contro uno, e il talento di Cole Palmer attorno a cui costruire la fase offensiva. Lo stesso Palmer che lo scorso anno si era preso sulle spalle le responsabilità offensive del caotico Chelsea di Pochettino, che Maresca aveva avuto modo di allenare quando era ancora una giovane promessa del Manchester City. E che è stato gestito per giocare tutte le partite di Premier, non essendo stato inserito nella lista per la prima fase della Conference League. Il suo rendimento, del resto, sta dimostrando tutta la bontà di questa scelta: undici gol e sei assist in quindici presenze.
Ridurre però le fortune offensive del Chelsea al “Cold Boy” è un errore da non commettere: un altro aspetto fondamentale della filosofia di Maresca è infatti quello di ruotare spesso e volentieri i giocatori che compongono l’undici titolare. «Decido chi va in campo in base a come vanno gli allenamenti durante la settimana», ha detto il manager dei Blues in una conferenza stampa. «Chi lavora duro ha la chance di giocare, chi non lo fa resta fuori. E vale per tutti, dai nuovi a chi era qui da tempo». E questo meccanismo sta portando risultati: che giochino Sancho o Madueke, João Félix o Nkunku, l’attacco del Chelsea è sempre produttivo. Ma se in attacco, si trattava trovare la miglior formula per valorizzare gli importanti valori tecnici già presenti in rosa e incastrare al meglio i pezzi del puzzle, la vera sfida era rappresentata dalla fase difensiva: nella scorsa stagione, infatti, i Blues avevano subito qualcosa come 63 gol in 38 partite di campionato. Anche in questo caso, Maresca sta vincendo la sua sfida. Come? Partendo dal lavoro sul centrocampo: i due acquisti più onerosi della gestione americana, Moisés Caicedo ed Enzo Fernández, sono passati dall’essere due pesci fuor d’acqua a formare un duo perfettamente integrato per tecnica e dinamismo, che garantisce uno schermo efficace ai quattro di difesa e un supporto significativo alla manovra offensiva.
A tutto ciò va aggiunta la valorizzazione di una coppia di difensori centrali giovani, fisici e veloci come Fofana e Colwill. Il risultato è che, nonostante nell’arco delle partite il Chelsea conceda diverse occasioni agli avversari, il reparto arretrato riesce a reggere l’urto: pur con le tre reti subite dagli Spurs – due delle quali dovute a due episodici scivoloni di Cucurella, sempre lui – i Blues sono la terza miglior difesa della Premier – 18 gol subiti in 15 partite. E la partita giocata contro il Tottenham è un manifesto molto chiaro di questo nuovo Chelsea, fluido ed elettrico come il pattern della divisa di quest’anno. Può anche concedere due gol nei primi quindici minuti, ma continua a seguire il suo spartito e a produrre più degli avversari, perché il talento concentrato nel reparto offensivo è tra i più elevati in Europa. E se è vero che la stagione è ancora molto lunga, cantare “Chelsea are back” è più che lecito, perché in pochi mesi Maresca ha messo ordine, valorizzato i singoli ed esaltato la coralità. I Blues, oggi, sono i migliori entertainer in Europa, e il dominio che Maresca aveva previsto nel giro di cinque anni appare decisamente meno utopico.