«Se parliamo di identità del sistema calciatori, credo che mai come in questo periodo storico abbiamo raggiunto una situazione di unità condivisa all’interno del movimento». Umberto Calcagno, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, non ha dubbi. E lo ribadisce in un’intervista esclusiva a Undici concessa a poche ore dal Gran Galà del Calcio AIC, l’esclusivo appuntamento organizzato dall’Assocalciatori – in collaborazione con l’agenzia di sport marketing ed eventi DA di Demetrio Albertini – che celebra i migliori giocatori e le migliori giocatrici dell’ultima stagione di Serie A. Per Calcagno, stiamo vivendo l’apice di un percorso di unione tra i giocatori, sempre più compatti su temi molto importanti, come per esempio la preoccupazione genralizzata per l’intasamento di un calendario sempre più fitto.
«Ci troviamo in un momento decisivo», commenta Calcagno, «in cui si discute da un lato della salute dei grandi calciatori, che in questo momento hanno un calendario fitto che grava sulle loro spalle, mentre dall’altra parte ci sono i calciatori di squadre che non partecipano a coppe europee, o di Serie B e Lega Pro, che hanno a cuore l’identità del sistema e la salvaguardia dei campionati nazionali, con i conseguenti interessi economici» E questo scenario, di conseguenza, spinge i giocatori a confrontarsi sui loro problemi, alimentando la sensazione che, all’interno del sistema, stia nascendo una nuova identità condivisa: «Ci sono ragazzi che giocano tantissime partite ai massimi livelli, e che oggi ci pongono un grande problema che si riverbera verso il basso. Lo scenario futuro peggiore è quello in cui il nostro calcio, per i problemi di cui abbiamo detto, possa valere meno non solo a livello di spettacolo ma anche a livello economico. Questo è uno dei temi centrali su cui cerchiamo di lavorare quotidianamente. Se a tutto questo si aggiunge che siamo riusciti, negli ultimi due anni, a inserire i lavoratori sportivi nel dilettantismo e ad introdurre il professionismo nella Serie A femminile, si può dire che abbiamo un po’ chiuso il cerchio. Mai come in questo momento riscontro unità d’intenti nel nostro movimento e anche un’identità nelle tutele durante lo svolgimento dell’attività sportiva professionistica e dilettantistica».
Non solo solo i temi più delicati ad avvicinare tra loro i calciatori. Eventi come il Gran Galà del Calcio AIC, che permette proprio ai giocatori di eleggere i migliori tra loro, contribuiscono a plasmare questo sentimento di unità: «Il fatto che loro, i giocatori, ci tengano così tanto è l’aspetto più bello di questo premio. È un concetto che allarga al massimo il valore del gruppo, e acquisisce ancora più importanza, visto che a votare un determinato calciatore sono soprattutto gli avversari. Di conseguenza, avere la loro considerazione ed essere quello col maggior numero di apprezzamenti comporta un riconoscimento molto grande. Riceviamo diverse telefonate dai ragazzi, soprattutto da quelli che sperano di essere nella Top 11, e questo è il segnale più bello di ciò che abbiamo creato con il Gran Galà del Calcio AIC».
Il percorso che ha portato alla costruzione di una nuova identità è partito da lontano. Ed è stato caratterizzato da numerosi cambiamenti, da trasformazioni che hanno modificato nel corso degli anni il contesto in cui si muovono i calciatori. In questo senso, Calcagno individua una diversificazione del ruolo non tanto all’interno della pura pratica sportiva, ma in ciò che succede fuori dal campo: «Posso dire che essere calciatore oggi è diverso rispetto ai miei tempi, ma è diverso perché è cambiato il nostro mondo. Quando però si dice che la nostra attività si svolge in maniera diversa non è correttissimo: il contratto di lavoro sportivo, con obblighi e doveri che ne derivano, è rimasto pressoché invariato. Ciò che è cambiato è il contorno, ovvero le prestazioni accessorie, che rappresentano qualcosa di diverso. Mi riferisco ad attività pubblicitarie, alla cessazione dei diritti d’immagine, agli obblighi verso le televisioni. I calciatori e le calciatrici oggi sono perfettamente consapevoli del valore e dell’importanza che hanno, ed è qualcosa di differente rispetto al passato. Hanno contratti a parte per lo sfruttamento d’immagine, contratti che col tempo sono stati integrati nel nostro mondo, ma che formalmente rimangono qualcosa di separato».
E Calcagno si augura che i calciatori si rendano conto, sempre più, delle possibilità che il nuovo contesto mette a loro disposizione: «Per molti aspetti, la professione del calciatore è rimasta quello che era all’interno del campo. Ciò che è cambiato il contorno, e credo sia diventato più bello. Forse i calciatori potrebbero partecipare di più allo spettacolo, garantire un maggiore coinvolgimento, in modo da rendere il prodotto ancora più apprezzabile per i tifosi e gli spettatori». E uno degli aspetti che rappresentano maggiormente il cambiamento è rappresentato dallo sviluppo del mondo social. Il presidente riconosce l’importanza di questi strumenti comunicativi, nonostante la loro natura di arma a doppio taglio per persone che hanno una risonanza mediatica superiore come i calciatori e le calciatrici: «Nel bene e nel male, i social sono una nuova modalità di stare insieme. Sotto questo aspetto, la comunità del calcio è molto unita: un determinato uso dei social è fondamentale nella formazione di un’identità condivisa, perché i calciatori possono usare la loro voce per far passare messaggi importanti. Allo stesso tempo, però, questi strumenti possono essere fonte di rischio: rispetto ai miei tempi, infatti, bisogna essere molto più attenti e strutturati, perché tutto ciò che si fa e dice diventa subito virale, specie se si è sovraesposti come calciatori di alto livello. Sotto questo punto di vista, cerchiamo di fare formazione alle squadre e di istruire i giocatori su quale può essere l’utilizzo migliore dei loro social. Perché il passo con cui la comunicazione sui social può ritorcersi contro i calciatori è molto breve».
In termini di esposizione, poi, il discorso si sposta verso il movimento femminile, che rappresenta forse quello maggiormente cresciuto in termini di identità: l’aspetto fondamentale, secondo Calcagno, è che l’unità delle calciatrici derivi dalle battaglie che hanno combattuto insieme per raggiungere determinati obiettivi: «Penso che l’identità condivisa nel calcio femminile, al momento, sia anche più sviluppata rispetto a quella dei colleghi maschi. Per un semplice motivo: per loro è stato un momento di conquista. Nella mia generazione, e ovviamente anche in quella attuale, i calciatori si sono trovati con tutele e contratti che non hanno dovuto conquistare. La generazione di ragazze diventata professionista, invece, è dovuta passare attraverso battaglie molto forti, scioperi, mancanza di considerazione nel sistema, in un periodo anche molto recente, e questo ha contribuito a creare un legame ancora maggiore». Calcagno sottolinea dunque come, raggiunta questa consapevolezza, le calciatrici rivolgano lo sguardo verso il basso, in modo da rendere la struttura del calcio femminile sempre più solida. «Dopo aver raggiunto questo traguardo, la parte apicale del movimento si sta guardando molto indietro, interessandosi a tutta la filiera, considerando i campionati di Serie B, di Serie C e dei settori giovanili. Le calciatrici si rendono conto che c’è bisogno di creare una base solida, per estendere a tutti ciò che è stato ottenuto dal movimento nella sua parte apicale».
Se quindi il bilancio generale tende a una direzione positiva, per Calcagno c’è un aspetto nel quale il movimento italiano continua ad incontrare difficoltà. Si tratta della crescita e valorizzazione dei giovani: «Per me è un tasto dolente», afferma il presidente, «perché il nostro sistema non mette i giovani calciatori nelle condizioni ideali per essere valorizzati. Abbiamo grandi risultati nelle Nazionali giovanili, ma un minutaggio quasi pari allo zero dei selezionabili in Serie A: osservando i dati, infatti, stanno giocando molto di più gli Under 21 stranieri che quelli italiani. Ed è forse il più grande problema del nostro movimento oggi». Un problema di difficile soluzione, soprattutto dal punto di vista burocratico e legislativo: non ci sono infatti norme che impongano l’utilizzo dei calciatori italiani: «È un mercato che valorizza la libera circolazione dei professionisti», dice Calcagno, «quindi non c’è un regolamento che fissa delle obbligazioni per le società nello schierare giovani italiani». Di conseguenza, l’unico spiraglio individuato da Calcagno per cercare di invertire la rotta va ricercato nella sensibilità delle società: «Sta ai club», secondo il presidente, «avere una sensibilità maggiore nel far crescere i giovani. Sicuramente le seconde squadre possono aiutare in questo senso, ma siamo ancora lontanissimi dalla Spagna, che viene presa come modello di riferimento. A livello numerico, ad esempio, i settori giovanili producono un minutaggio dell’8% per giocatori che giocano in Serie A, mentre in Spagna è il 60%. Anche il flusso di giocatori acquistati dai club di Serie A provenienti da Serie B e Serie C è quasi azzerato, mentre ai miei tempi produceva cifre vicine agli attuali 60 milioni di euro. Per questo, l’unica cosa che posso auspicarmi è che le società investano tempo e risorse per valorizzare i giovani, ed è una spinta che può partire in una sensibilità diversa dei club di Serie A verso i settori giovanili, ma anche verso le serie inferiori».