Christian Pulisic è diventato il vero leader del Milan

Gol decisivi, qualità, spirito di sacrificio e di adattamento: l'attaccante americano è all'apice della maturità.

Quando, nell’estate del 2023, è arrivato in Italia, si parlava di Christian Pulisic come di un giocatore diverso da come lo conosciamo oggi. I pregi – la rapidità, il primo tocco e la tecnica nell’uno contro uno – erano noti, ma lo erano anche i suoi difetti: il limite principale dell’americano sembrava risiedere nella finalizzazione, nella gestione dell’ultima scelta, del tiro o della rifinitura. Un limite anche caratteriale, oltre che tecnico. D’altronde, fino a quel momento, la sua migliore stagione – almeno a livello realizzativo – era stata la 2019/20, nove gol nel  con la maglia del Chelsea, mentre con il Borussia Dortmund si era spinto al massimo fino a quota quattro. Ci si domandava, dunque, se il giocatore acquistato dal Milan non avesse in qualche modo già raggiunto l’apice del suo potenziale, e a 24 anni non fosse già più nel suo prime dopo un periodo in ombra.

E allora perché, poco più di un anno dopo, ci ritroviamo a considerare Christian Pulisic il miglior giocatore della rosa del Milan? Prendendo in considerazione il 2024, l’11 milanista è il migliore della Serie A in termini di gol e assist in tutte le competizioni (26: 15 reti e undici assist). Meglio di un pari ruolo come Khvicha Kvaratskhelia o di un candidato al Pallone d’Oro come Lautaro Martínez. Meglio del compagno di squadra Rafa Leão, fermo a 12 gol nell’anno solare, e al centro di un dibattito che non lo vuole più come stella principale del Milan, in favore proprio dell’americano.

La scorsa stagione è stata la prima per Pulisic chiusa in doppia cifra (12 gol) e, riflettendo anche sui costi contenuti del trasferimento dal Chelsea – 20 milioni – si poteva già parlare di affare per il Milan. Quest’anno, restando sulla fenomenologia dei suoi gol, quelli segnati fin qui rappresentano una sintesi esaustiva del suo repertorio: dai tap-in contro Parma e Lecce, passando per la rete acrobatica alla Fiorentina, fino ai più spettacolari segnati nel derby e contro il Liverpool. Per fare un paragone, in tanti hanno scomodato il suo idolo, Luís Figo. Ma forse ci piace di più – ed è più suggestivo  –accostarlo a un giocatore che non è neppure mai esistito. Il suo stile di dribbling, fondato non sull’esplosività ma sulla capacità di spostare il pallone rapidamente, ma anche la postura e il look, la capacità inconfondibile di tenere il pallone incollato ai piedi, hanno infatti qualcosa a che vedere con Holly Hutton/Tsubasa Ozora – riusciamo a immaginarci perfettamente Pulisic che corre palla al piede in uno di quei campi lunghi 20 km come il protagonista del celebre anime giapponese.

Contro il Bruges in Champions è arrivato persino un gol olimpico, direttamente da corner. Il Pulisic di oggi, si vede anche da questi momenti, si fida dei propri mezzi ed è costantemente sul pezzo. Gira anche quando la squadra non gira. La varietà che ha nel modo di incidere è un indicatore della sua evoluzione. E allora viene da chiedersi: Pulisic si sta forse trasformando in un finalizzatore puro? Il suo nuovo allenatore, Paulo Fonseca, lo ha schierato spesso come numero 10 alle spalle della punta, e i dati evidenziano come questo nuovo Pulisic non abbia depotenziato le sue doti da ispiratore di gioco. Anzi. L’americano è primo in Serie A per passaggi filtranti e primo per passaggi pericolosi.

Con Pulisic, più che con chiunque altro, è allora pertinente parlare di duttilità. Perché, oltre ad aver giocato da trequartista e da ala, quest’anno si è ritrovato anche a fare la mezzala. Contro l’Udinese, con il Milan in 10 uomini, si è abbassato a fare il centrocampista accanto a Fofana, in emergenza anche il terzino, in entrambi casi l’ha fatto garantendo equilibrio e qualità. Le rincorse all’indietro, forse ancora più dei numeri, raccontano la centralità del giocatore nel Milan di Fonseca, tecnica ma anche caratteriale.

Un giocatore decisivo

Pulisic è nato a Hershey, cittadina dello Stato della Pennsylvania. L’infanzia è proseguita in Inghilterra, dalle parti di Oxford, dove sua madre Kelley – che era una calciatrice a livello universitario – vinse una borsa di studio per insegnare. Poi il ritorno in USA, a Detroit, dove il padre Mark allenava una squadra di futsal (gioco che ha ispirato lo stile calcistico di Pulisic), quindi il trasferimento in Florida e il ritorno in Europa. Al Borussia Dortmund dai 15 anni dopo un provino alla Masía col Barcellona, in prima squadra con Klopp dai 16, l’esordio a 17 con Tuchel. Poi l’ascesa rapida, il trasferimento al Chelsea (per 62 milioni, quota che ha fatto di lui il calciatore americano più costoso di sempre) e la vittoria della Champions League da protagonista (con gol e assist in semifinale contro il Real Madrid), diventando il primo calciatore statunitense a giocare una finale nella storia della massima competizione europea. 

Capitano della sua Nazionale da quando aveva vent’anni, ma anche simbolo del soccer e del movimento calcistico statunitense, Pulisic è stato per anni la next big thing del calcio d’oltreoceano. Ogni americano che guarda il calcio oggi ha una maglia di Pulisic – ne aveva una persino il suo idolo del basket, LeBron James e la sua influenza in patria lo rende un giocatore fondamentale, anche in chiave marketing, per il Milan. Potremmo dire che Pulisic ha sfondato in Europa prima che ci riuscisse Ted Lasso, l’allenatore americano di football (americano) trapiantato fortuitamente nel calcio della Premier League, protagonista dell’omonima e fortunata serie tv che ha spopolato negli ultimi anni. Il motto di Ted (interpretato da Jason Sudeikis), inguaribile ottimista dal cuore d’oro, era Believe, cioè “Crediamoci”. Così recitava il poster affisso dal manager nello spogliatoio dell’AFC Richmond, squadra fittizia al centro della storia. Un mantra un po’ naif, sicuramente molto americano, che però sembra aderire al percorso nel calcio di Pulisic, uno che sicuramente, nonostante i momenti bui, ci ha sempre creduto. E dai momenti bui ci è uscito.

Prima di venire svenduto al Milan, Pulisic era finito ai margini del Chelsea, si era intristito e anche infortunato. E prima del Chelsea, a Dortmund, l’esplosione di Sancho lo aveva confinato a un malinconico ruolo da comprimario. Ha sempre avuto sprazzi di supremazia, ma sono stati appunto solo sprazzi. È stato a lungo lontano, insomma, dal ruolo e dall’immagine di leader che oggi esercita in Italia. E parlando di leadership, non bisogna immaginarsi un giocatore dall’indole prepotente:  Pulisic è un trascinatore silenzioso, il più vicino a essere un capitano in una squadra che un capitano vero e proprio non ce l’ha. Per spirito e attitudine, l’americano è l’antitesi di Leåo.

Chi lo vive da vicino, racconta di un ragazzo riservato e gentile. Da tempo studia la nostra lingua e dopo la partita contro l’Udinese, ai microfoni di Dazn, ha parlato per la prima volta in italiano, altro segno di immersione totale nell’universo Milan. L’affermazione definitiva di Pulisic passerà dal mantenere intatto l’attuale status di giocatore maturo, senza inciampare più in involuzioni e senza incupirsi come gli è accaduto soprattutto in Inghilterra. Per citare Ted Lasso (ops, di nuovo lui), bisogna saper dimenticare in fretta tutte le cose negative. Come fanno i pesci rossi, che sono gli animali più felici al mondo perché hanno una memoria di 10 secondi. Pulisic, nei momenti difficili, dovrà essere come un pesce rosso (se volete, rossonero).  E continuare a fare quello che ha sempre fatto: continuare a crederci.