L’identità del calcio italiano comincia sempre dai difensori

I nuovi centrali italiani, moderni e abili anche in fase offensiva, stanno raccogliendo l'eredità dei loro predecessori. E infatti continuano a essere premiati al Gran Galà del Calcio AIC.

«Per noi la difesa era la vita stessa. In Italia avuto alcuni tra i migliori difensori nella storia del calcio. Se si dovesse fare una classifica dei migliori 100 difensori di sempre, almeno 25 di questi sarebbero italiani». Alessandro Del Piero ha da poco compiuto 50 anni e, nel corso della sua carriera, è sempre stato quello dall’altra parte della barricata, quello che di mestiere i difensori si divertiva a metterli alla prova, talvolta “torturandoli” tecnicamente e psicologicamente. Eppure, quando recentemente è stato intervistato dai suoi amici e colleghi della CBS, non ha avuto alcun dubbio nell’identificare proprio nei grandi difensori di una volta l’elemento fondante della tradizione calcistica italiana, ciò che ci rende riconoscibili ancora oggi in un mondo in continua evoluzione. Qualcosa che oggi sembra essere andato perduto tra le pieghe tattiche di un calcio che rende sempre più difficile esprimere l’arte di difendere in quel modo che è solo nostro, in grado di esaltare ed esaltarsi nelle difficoltà: «Per certi versi è come se avessimo perso la nostra identità, come se sapessimo più come si difende. C’è un sacco di lavoro sporco dietro a tutto ciò che si vede quando arriva il pallone e noi italiani abbiamo molti segreti, siamo famosi per questo. Oggi però non puoi più difendere in un certo modo, in un’era in cui dopo cinque minuti c’è già un cartellino giallo. Dieci o quindici anni fa si facevano cose che oggi varrebbero un cartellino rosso per via dei nuovi regolamenti», ha aggiunto Del Piero. Accanto a lui, Clint Dempsey sorrideva divertito.

Questa idea di culto della difesa, anzi di culto dei difensori, è parte integrante dell’identità storica della Serie A, l’espressione delle grandi eccellenze che hanno contribuito a fare grande il calcio italiano nel mondo. Eccellenze che, ogni anno, vengono celebrate in occasione del Gran Galà del Calcio AIC, l’evento che premia e racconta tutto il meglio della stagione passata, dai calciatori agli allenatori fino agli arbitri. E infatti l’importanza dei difensori italiani continua a emergere grazie alla costante presenza dei migliori rappresentati del ruolo all’interno della squadra dell’anno, uno dei premi che vengono consegnati nel corso del galà.

Nel 2016 furono addirittura tre su quattro – Barzagli, Bonucci e Chiellini – gli italiani che componevano la linea difensiva dei migliori undici del campionato, e Bonucci fu eletto come miglior giocatore in assoluto. Ma in realtà ogni edizione del Gran Galà del Calcio AIC ha visto un difensore italiano nominato nella squadra dell’anno: Bastoni e Di Lorenzo nel 2023, ancora Di Lorenzo nel 2022, di nuovo Bastoni nel 2021, Bonucci nel 2020, Chiellini nel 2019 e nel 2018, di nuovo Bonucci nel 2017, Darmian e Rugani (ancora con Bonucci e Chiellini) nel 2015, Darmian e Barzagli nel 2014, Maggio e De Sciglio (con Barzagli e Chiellini) nel 2013, Balzaretti (con Maggio e Barzagli) nel 2012, Nesta e Ranocchia (con Maggio) nel 2012.

In attesa di sapere chi saranno i difensori scelti per l’edizione 2024, non è difficile immaginare che ci saranno alcuni rappresentanti della nuova generazione di difensori italiani, giocatori destinati a raccogliere il testimone della tradizione per portarlo in un presente che già gli appartiene. E in un futuro che fin d’ora promettere di essere dominato da Riccardo Calafiori, Giorgio Scalvini e Alessandro Buongiorno, il nuovo “mostro finale” del Napoli di Antonio Conte. Nonostante le regole più severe, gli attaccanti più veloci, gli spazi da difendere più ampi, i tempi di reazione sempre più infinitesimali.

Giorgio Chiellini è il difensore che è stato nominato più volte nella squadra dell’anno del Gran Galà del Calcio AIC, cinque; come lui, considerando tutti i ruoli, solo Gianluigi Buffon e Nicolò Barella, (Filippo Monteforte/AFP/Getty Images)

Bastoni, per esempio, è l’incarnazione del concetto stesso di modernità: struttura fisica imponente (1,90 m per quasi 80 kg), mezzi tecnici che gli permettono di dribblare Dybala come farebbe Dybala, una versatilità tale da permettergli di interpretare con uguale efficacia il ruolo di braccetto di una difesa a tre o il centrale di una difesa a quattro. Sempre con coraggio e aggressività, guardando in avanti e (quasi) mai indietro, così come viene imposto da un calcio in cui le grandi squadre affrontano i famigerati blocchi bassi portando nella metà campo quanti più uomini possibile, tanto che persino un sistema considerato statico come il 3-5-2 si è affrancato dalle connotazioni esclusivamente speculative e reattive, trasformandosi nel rifugio felice degli allenatori che sono alla ricerca del compromesso perfetta tra solidità difensiva e continuità offensiva. E, in questo senso, il difensore dell’Inter è stato tra i principali interpreti della fluidità che ha caratterizzato la squadra di Simone Inzaghi, vincitrice del ventesimo scudetto della propria storia sbriciolando ogni tipo di record: a parte un gol e tre assist decisivi, stando ai dati riportati da Whoscored Bastoni ha messo insieme quasi un passaggio chiave di media a partita, una precisione negli appoggi che per tutta la stagione ha sfiorato il 90% sui quasi 65 tocchi di palla effettuati ogni 90′. Praticamente schierare Bastoni come avere una mezzala in più in grado di consolidare e far progredire il possesso nella metà campo offensiva: «In due anni e mezzo da quando sono qui avrà sbagliato una partita o al massimo due. È un giocatore di un’intelligenza mostruosa», disse Simone Inzaghi lo scorso 28 febbraio al termine di Inter-Atalanta 4-0, una partita in cui Bastoni annientò praticamente da solo l’intera catena di destra dei bergamaschi.

Di Bastoni ha parlato recentemente anche Luciano Spalletti che, in occasione della conferenza stampa che ha preceduto gli ultimi impegni di Nations League contro Belgio e Francia, ha sottolineato come il giocatore dell’Inter sappia essere «un attaccante aggiunto, proprio come fa vedere Calafiori quando gioca in quel ruolo lì». Il riferimento al difensore dell’Arsenal non è stato ovviamente casuale e non era legato solo alla situazione d’emergenza causata dall’infortunio rimediato durante la partita di Champions League contro lo Shaktar Donetsk: Spalletti si riferiva a un fondamentale che Calafiori ha imparato a padroneggiare come pochi altri grazie a Thiago Motta e che si è cristallizzato nell‘assist per il gol di Zaccagni contro la Croazia agli ultimi Europei. «Dipende tutto dalla libertà che ti concede l’allenatore», ha detto Calafiori s Sportweek alla fine dell’ultima stagione. «Thiago Motta mi ha impostato subito anche come centrale difensivo e grazie a lui ho imparato tantissime cose. La sua filosofia è occupare e aggredire sempre lo spazio, non importa con chi, e farlo senza paura e con personalità». Questo modo di giocare ha convinto l’Arsenal e Mikel Arteta a puntare su di lui senza aspettare il consolidamento di uno status che non è comunque stato messo in discussione nemmeno nei primi mesi in Premier League, il campionato più difficile e competitivo al mondo.

Alessandro Del Piero, quindi, può stare tranquillo. Magari sì, non si può più difendere in  quel modo che ci ha regalato fama, gloria e trofei. Ma questo non significa che i difensori italiani abbiano dimenticato come si fa solo perché si sono dovuti adattare a un calcio che chiede loro di essere anche altro e non solo dei formidabili marcatori; anzi si può dire che Bastoni e Calafiori – ma anche Buongiorno, Scalvini, Comuzzo, Okoli – rappresentino quella sintesi tra tradizione e innovazione che fa parte della nostra storia tanto quanto l’iconografia legata ai grandi difensori di ieri, oggi e domani. E la presenza costante di almeno uno di loro nella squadra dell’anno del Gran Galà del Calcio AIC sta lì a dimostrarlo, edizione dopo edizione.