Al fischio finale di Inter-Roma 0-1, il rumore di San Siro è stato molto simile al primo quarto d’ora: un silenzio dettato dal senso di sconcerto, di smarrimento, di sballottamento, da ciò che resta di una decina di giorni vissuti sulle montagne russe. I nerazzurri partivano dalla possibilità – sussurrata, per carità – di vincere tutti i titoli stagionali e sono arrivati a quota tre sconfitte consecutive. Capitan Lautaro, qualche minuto dopo la fine della partita contro la Roma, ha chiamato la squadra sotto la curva. I tifosi hanno incitato i giocatori, hanno capito il momento dell’Inter. Ma forse è l’Inter che non sta capendo il momento in cui è.
Dopo le due sconfitte in tre giorni, a Bologna e contro il Milan, San Siro quasi si aspettava un rimbalzo emotivo: un match da azzannare fin dall’inizio, con quell’intensità abbinata alla precisione tecnica che i nerazzurri stanno mostrato da un anno a questa parte. Invece la squadra di Inzaghi ha cominciato con le marce basse, quasi a voler imprimere un proprio ritmo, non troppo alto, per non andare fuori giri. Troppo importante il pensiero della sfida al Barcellona. Ma un avvio così guardingo è stato quasi un boomerang, perché l’Inter è un gruppo che ha bisogno di andare veloce per trovare le proprie soluzioni offensive.
Questo passo compassato in costruzione ha finito per rendere prevedibile la fase offensiva e per mandare in crisi anche quella difensiva: il gol decisivo di Soulé, arrivato al minuto 21′, è stato precedeuto da un piccolo spoiler tattico: un paio di minuti prima, dopo un rapido cambio di gioco della Roma sulla destra ha trovato l’Inter schiacciata in 16 metri, Frattesi che non scala davanti ai centrali e così si è determinato uno spazio al limite dell’area; Koné ha calciato poco sopra la traversa, ma nell’azione successiva la palla è finita tra i piedi di Soulè, bravo a infilare Sommer sul secondo palo. «Abbiamo lavorato male come gruppo», ha spiegato Inzaghi nel post partita a Dazn. «Abbiamo effettuato troppe pressioni individuali e non d’insieme».
Nella ripresa l’Inter ci ha provato tanto, ma più con il cuore che con la testa. Alla Roma è bastato solo rimanere ordinata, mettere Ndicka su Dumfries – l’unico innesto che ha dato un po’ di vigore alla manovra nerazzurra – e leggere correttamente le linee di passaggio per portare a casa il risultato. Certo, i nerazzurri possono recriminare per una trattenuta proprio del difensore francese su Bisseck, ma l’arbitro Fabbri dal campo ha valutato che non l’intervento non fosse così rilevante.
La verità è che l’Inter è stanca nelle gambe ed è logora nella testa. Più che normale alla 52esima partita stagionale, più di tutti in Italia. Quella forza mentale vista contro il Bayern, soprattutto dopo il gol di Kane che poteva significare supplementari, ora sembra un po’ esaurita, anche se non sono passati neanche dieci giorni. Guardando le facce di giocatori, allenatori e staff nel post partita, si leggeva non solo delusione, ma anche un po’ di sbigottimento. Esattamente come in quelle presenti tra le tribune del Meazza. Stanchezza, infortuni ed episodi che girano male sono tutti ragioni valide per analizzare questo periodo negativo. Ma paradossalmente l’Inter potrebbe non averne bisogno.
Certo, gli errori contro la Roma vanno studiati, lo ha ricordato anche Inzaghi, ma anche staccare un attimo la mente, liberarla dalle brutte vibrazioni degli ultimi giorni potrebbe dare sollievo. In fondo mancano ancora quattro giornate di campionato e le semifinali di Champions League sono ancora tutte da giocare. Il Barcellona, si è visto ieri, ti costringe a interpretare più partite dentro la partita, viaggia di parziali e controparziali, cede e recupera il flusso di una gara. L’Inter in questo momento non è in grado di reggere il livello dei catalani dal punto di vista atletico, ma può farlo nella testa. A patto, però, di ritrovare ordine e distanze adeguate. Quando l’Inter è disordinata si smarrisce, lo abbiamo visto negli ultimi dieci giorni.
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