Come si misurano la forza e la maturità di una squadra di calcio? Chiaramente le partite vinte e i trofei sollevati al cielo sono un indicatore piuttosto affidabile, poi ci sono la qualità e il grado di innovazione del gioco espresso. Nel caso dell’Inter di Simone Inzaghi, che pure ha già vinto tanto e ha un gioco moderno e sofisticato, c’è un altro aspetto di cui tener conto: la solidità. Intesa come consapevolezza, intesa come dote essenzialmente mentale, non con accezione difensiva – in fondo i nerazzurri hanno subito tre gol in due partite, non sono pochissimi. Eppure, nonostante queste tre reti incassate in 180 minuti, l’Inter non ha mai dato l’impressione di disgregarsi, di perdere distanze o connessione con la realtà, con ciò che avveniva in campo. Anzi, paradossalmente – o forse no – i momenti in cui i calciatori di Inzaghi hanno dispiegato tutta la loro forza, tutta la loro qualità, sono stati quelli in cui dovevano reagire agli schiaffi del Bayern: il gol di Frattesi all’andata, pochi istanti dopo il pareggio di Thomas Müller; l’ondata che ha travolto qualsiasi resistenza dopo il gol di Kane a San Siro, quattro colpi secchi e potenti, Thuram-Lautaro-Darmian-Pavard, 2-1 in pochi minuti e partita rimessa sui binari giusti.
Sì, è vero: nel finale del return match l’Inter ha incassato il 2-2 e forse è rinculata un po’ per difendersi dall’assalto disperato del Bayern. Ma se andiamo a rivedere la sintesi oppure – ancora meglio – la partita in versione integrale, negli ultimi minuti Sommer non ha dovuto fare interventi particolarmente complicati. E nessun tiro scoccato dai giocatori di Kompany è andato davvero vicino ai pali della porta avversaria. La sofferenza dei nerazzurri è stata più percepita che reale. Viene quasi da dire che sia stata una sofferenza di contesto, intesa come una sensazione di disastro imminente dovuta al fatto che si stessero giocando i quarti di finale di Champions League, al fatto che al Bayern bastasse un solo gol per andare ai supplementari, al fatto che Inzaghi avesse dovuto sostituire dei giocatori davvero esausti.
Il disastro imminente non si è verificato perché l’Inter non solo ha resistito, ma perché l’Inter in fondo non ha mai perso il controllo di ciò che stava succedendo. Perché l’Inter è una squadra forte, matura, consapevole dei propri pregi e anche dei propri difetti. Consapevole, per esempio, di come si doveva giocare per battere il Bayern: sia a Monaco che a San Siro, i calciatori nerazzurri hanno lasciato un po’ più di possesso ai loro avversari, hanno cercato di colpirli con azioni di ribaltamento e/o alzando l’intensità del loro gioco, si sono adattati a un certo contesto tecnico-tattico senza snaturarsi. Hanno potuto farlo perché tutti i giocatori di Inzaghi, nessuno escluso, manifestano sempre un enorme spirito di sacrificio, una disponibilità assoluta a spremersi perché la squadra non perda equilibrio, non perda le distanze. Non è solo un discorso di coperture, che pure sono sempre puntuali, ma proprio di interpretazione tattica: Thuram e Lautaro, tanto per fare un esempio, pensano e si muovono come delle punte ma poi di fatto sono anche degli esterni, sono anche dei centrocampisti, allungano e allargano continuamente la difesa avversaria, fanno pressing, legano con i compagni per cucire il gioco. E sono pure lucidi quando c’è un gol da segnare, quando c’è un assist decisivo da servire.
Certo, le assenze del Bayern – su tutte quella di Musiala – hanno inciso sull’andamento e forse anche sull’esito del doppio confronto con l’Inter. In diversi momenti delle gare contro i nerazzurri, la squadra di Kompany ha dato l’impressione di poter/riuscire a fare solo determinate cose, sempre le stesse. Le faceva anche bene ma alla fine la manovra risultava quasi sempre prevedibile, e così diventa più semplice difendersi. A San Siro Kane è stato maggiormente incisivo rispetto alla gara di Monaco, ma anche il centravanti inglese alla fine ha restituito una chiara sensazione di incompiutezza. come se non fosse riuscito a esprimersi oltre un certo limite. E questo è un merito da ascrivere all’Inter, al suo sistema difensivo. Al fatto che Acerbi, Bastoni e Pavard formano un trio che non è esente da distrazioni, questo no, ma che alla fine offre sempre un rendimento importante. Pure perché il sistema fluido di Inzaghi valorizza e esalta i difensori – soprattutto nel caso di Bastoni – anche in fase di costruzione, come se gli desse un’ulteriore opportunità per fare bene. Per superare e quindi cancellare gli errori.
La sintesi di Inter-Bayern 2-2
La semifinale di Champions raggiunta dall’Inter, la seconda in tre stagioni, ha un significato importante. Dice tante cose: tutte quelle di cui abbiamo parlato finora, che in qualche modo vanno ricondotte al lavoro eccellente svolto da Marotta, dall’intera dirigenza, ovviamente da Inzaghi, dai giocatori; e poi c’è da fare una lettura di scenario, nel senso che questa qualificazione dimostra come certi risultati non siano una questione di modello e/o di ambiente competitivo: una squadra non è necessariamente meno forte e/o meno intensa se gioca in Serie A rispetto alla Bundesliga o rispetto alla Premier, così come non è necessariamente meno forte e/o meno intensa se non ha un giovane fenomeno di 19, 20 o 21 anni: l’Inter, in questo momento, è una delle squadre più competitive d’Europa – nonché una candidata autorevole a vincere la Champions League – anche se gioca in Serie A, anche se ha un’età media più alta rispetto a tutte le squadre che ha affrontato quest’anno in Champions, anche se in alcune partite non riesce a giocare sempre a mille all’ora.
Contro il Bayern, che si è trovato a dover rincorrere per 180 minuti più recupero, Simone Inzaghi e i suoi calciatori hanno dimostrato di sapersi difendere, di saper segnare gol bellissimi, di saper reagire dopo i gol degli avversari, di saper travolgere qualsiasi cosa quando decidono di alzare il ritmo e di raggiungere il loro picco, di sapersi compattare e soffrire quando c’è bisogno di compattarsi e soffrire. È così, a pensarci bene, che si misurano la forza e la maturità di una squadra. Perché è così, in fondo, che arrivano i risultati.
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