La finale di Monte Carlo è un premio alla crescita di Lorenzo Musetti

Il suo tennis continua a essere rischioso, sofisticato, ma adesso il tennista italiano riesce anche a riprendere il controllo delle partite dopo averlo perso. Ed è così che è arrivato alla sua prima finale in un Masters 1000.

La miglior sintesi di Musetti, almeno quello degli ultimi anni, è arrivata alla fine del primo set del match contro De Minaur, semifinale dell’ATP Masters 1000 di Monte Carlo. Non è un dritto, un rovescio, una volée, uno smash. È un urlo. Rivolto forse alla panchina, forse alla telecamera, più probabilmente a se stesso. «Devo fare un passo e mezzo dentro il campo», si ripeteva gridando. Forse era un modo per scaricare tutta la tensione dopo tutto un set in cui non era stato lui. Gli era già capitato nella settimana di Monte Carlo, anzi forse era stato una costante. Prima con Buz, poi con Lehecka, infine con il tre volte campione del torneo, Stefanos Tsitsipas. Tutti incontri cominciati male e poi raddrizzati.

Per una volta la testa c’entrava fino a un certo punto: la questione è sembrata prettamente tecnica. De Minaur ha martellato Mysettu fin da subito da fondo campo, lui per la prima mezz’ora non è riuscito a trovare nessuno dei suoi colpi. Se non gioca rischiando, se non conduce il punto, Lorenzo non prende ritmo. Specialmente sulla terra rossa, la superficie preferita insieme all’erba: a Wimbledon ha raggiunto le semifinali, al Roland Garros ha vinto il bronzo olimpico, adesso è arrivato alla prima finale 1000 della sua carriera. La prima centrata da un italiano dal 2019, da quando a vincere il torneo fu Fabio Fognini.

Per il tennis di Musetti, il servizio è fondamentale. Lorenzo ha piazzato solo due ace nella semifinale, ma in momenti decisivi per portare a casa il break che ha deciso la partita. Raramente è andato sopra i 150-160 km/h: quando ci è riuscito, arrivando a 209 e 215, ha chiuso il punto velocemente. Non che non sia in grado di prolungare lo scambio e lavorare sull’intensità, ma la qualità non deve mai venire meno. Non gioca a “buttarla di là”, ma vuole mettere costantemente in difficoltà l’avversario: con un passante teso di rovescio, con una risposta sulla linea, con il ritmo che si alza o si abbassa a seconda dei colpi. È soprattutto l’andatura di up and down dei game ad aver mandato in tilt il sistema operativo di De Minaur: «Abbiamo due tipi di gioco molto diversi», aveva detto in conferenza prima della partita. «Ognuno dei due ha la possibilità di dare molto fastidio all’altro. Lui per via del suo anticipo, io per le variazioni di ritmo».

Ecco, è andata esattamente così: ci ha messo quasi un’ora, Musetti, ma quando è entrato nel match non ci è più uscito. Ad aiutarlo c’è stata anche la pioggia. Gli spettatori che se ne vanno in mezzo allo scambio, l’arbitro attonito che interrompe per cinque minuti. Tempo di capire che era una nuvola passeggera e si è ricominciato. In un’atmosfera, però, completamente differente. A De Minaur era stato tolto il controllo della partita; Musetti, invece, si è riavviato. Dall’inizio del secondo set tutti hanno avuto la sensazione persistente che l’australiano, pur bravissimo a non mollare e portare la partita al tie-break, non avesse in mano il gioco. E che per vincere avesse bisogno degli errori non forzati di Musetti. Errori che non sono mancati, per carità, ma il tennis di Musetti è proprio questo: qualche passante in corridoio, qualche dritto forzato, qualche back troppo tenero. Eppure Lorenzo non ha mai perso la concentrazione, neppure quando si è fatto breakare sul 5-4, mentre serviva per il match.

La sintesi della semifinale

Ecco, questa forse è la chiave giusta per raccontare – e quindi per celebrare – la prima finale di Musetti in un torneo 1000: per quanto il suo gioco continui a essere elegante, sinuoso, rischioso, negli ultimi mesi stiamo iniziando a vedere un Musetti in grado di mantenere il controllo di sé e delle partite che disputa, o in ogni caso capace di riprenderlo dopo averlo perso. Lo sappiamo, lo diciamo da tempo: Lorenzo è un talento purissimo, aveva e ha bisogno di crescere dal punto di vista mentale ed emotivo. Questa crescita è evidente, o comunque si fa percepire nonostante i risultati arrivino a intermittenza – l’inizio di stagione non è stato certo brillantissimo. E quando si manifesta, come a Wimbledon o alle Olimpiadi di un anno fa, come a Monte Carlo 2025, in pochissimi riescono a non farsi travolgere.

Forse non è ancora il tempo di utilizzare il termine “maturità”, in questo senso la finale contro Alcaraz potrà dare delle indicazioni interessanti. Ma certe vittorie, quelle raggiunte ribaltando partite che sembravano già perdute, valgono più di tante altre. Perché, prendiamo il caso di Musetti, ti trascinano alla prima finale 1000 della carriera, ti portano alle soglie della Top 10 (un traguardo che sarà tagliato in caso di vittoria contro Alcaraz). Insomma, ti fanno entrare nell’élite del tennis. Non è poco, non è scontato. Non lo è mai.

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