A Barcellona, tutti si aggrappano a Robert Lewandowski. Che sia per un gol, come succede da più di un decennio ovunque abbia giocato, o per un movimento in profondità a portare via gli avversari: a quasi 36 anni, il centravanti polacco continua a confermarsi inossidabile ad alti livelli. La sua carriera è una maratona – partenza contenuta, a 22 anni era ancora nel campionato polacco – fatta di metodo e continue capacità di adattamento. Facendo anche i conti con l’età, senza per questo farne un problema. Un dato su tutti: mai come nelle ultime due stagioni al Barça, Lewa si è defilato, nel senso che non è più il fulcro della manovra. Circa 18 passaggi a partita, contro gli almeno 22 (con picchi di 26-27) rispetto alla lunga esperienza in Germania. Eppure, se i blaugrana hanno le mani sulla Liga e si scatenano in zona gol, molto lo devono al lavoro sporco del loro veterano.
Da quando insomma Lewandowski è sbarcato in Catalogna, tre anni fa, il Barcellona è tornato a essere una mostruosa macchina realizzativa: 350 reti all’attivo, di cui 97 da parte dell’attaccante che vi aggiunge pure una ventina di assist. Ma il contributo offensivo dell’ex Bayern e Dortmund non si limita ai numeri – per quanto notevoli: in un centro su tre del Barça di Flick c’è il suo zampino a referto. Lewa è certamente un highlander dell’area di rigore – 38 marcature anche quest’anno – e continua ad avere la media reti impressionante tenuta per tutto il corso della sua carriera: praticamente mai meno di un centro ogni due partite, per sei stagioni al ritmo di uno ogni 90 minuti, toccando addirittura quota 1,5 nel 2020/21. Una costanza di rendimento quasi ventennale, sempre più rara nel calcio moderno.
E il bello è che Lewandowski ci è riuscito cambiando sempre versione di sé stesso. Dapprima centravanti puro, per poi trasformarsi in un jolly – soprattutto sotto la gestione Guardiola, al Bayern – capace di interpretare i numeri nove e dieci allo stesso tempo. Un leader totale. Era questa forse la sua versione più dominante, che cinque anni fa avrebbe certamente meritato il Pallone d’Oro – se a France Football, vicenda nota, non fossero andati in tilt di fronte alla pandemia. Passati i 30 però, le doti fisiche di un top player vanno maneggiate con cura. E una volta approdato al Barça – The Athletic ne ha fatto un dettagliato approfondimento tattico – Lewa ha fatto progressivamente di necessità virtù. Tornando un attaccante classico, ma con molta più duttilità rispetto all’inizio della sua carriera.
Il processo è stato graduale, tant’è vero che durante il primo anno con Xavi il nuovo acquisto continuava a viaggiare a quota 24 passaggi a partita. Poi il numero di tocchi è sensibilmente diminuito, raggiungendo il culmine oggi con Flick in panchina. E consuete valanghe di gol a parte, il lavoro oscuro di Lewandowski ha iniziato a focalizzarsi su un sistematico attacco degli spazi e della profondità: ringraziano Yamal, Raphinha, Ferran Torres. Perché nessuno ha l’esperienza e la prontezza di spirito di leggere le difese avversarie come Lewa, portandole via con sé al momento opportuno. Se prende la palla segna, se non la prende segnano gli altri. E il Barcellona, anche se ormai è un over 35, è sempre più suo.