Il Bournemouth attrae calciatori di talento perché gioca in Premier, ma anche perché gli promette di rivenderli

Il modello del club inglese si fonda sulla valorizzazione del talento e sulla sostenibilità economica. Ed è così che adesso le Cherries sono in lotta per un posto nelle coppe europee.

Nel cosrso degli ultimi mesi e soprattutto delle ultime due settimane, Dean Huijsen è stato un grande protagonista del calcio europeo. In rapida successione: è diventato titolare inamovibile del Bournemouth, si è imposto come uno dei difensori centrali più completi e raffinati della Premier League, è stato convocato e ha esordito nella Nazionale spagnola, sollevando una specie di caso diplomatico. E ora si parla di lui per un potenziale trasferimento in uno dei tanti top club che avrebbero già manifestato un forte interesse per lui, Real Madrid in testa. Ecco, proprio quest’ultimo aspetto ha un peso importante sull’attuale stagione del Bournemouth e sul futuro del club, ma soprattutto definisce il suo modello di business, la sua identità: Huijsen, infatti, è uno dei tanti giocatori di talento che sono stati avvicinati e acquistati dalla società inglese negli ultimi anni. E che, di fatto, sono stati attratti e hanno accettato questa offerta perché faceva presagire un trasferimento in una squadra più forte, più ricca, più ambiziosa.

Per capire cosa vogliono dire queste frasi, è importante leggere questo articolo del Telegraph. A cominciare dal titolo: “Bournemouth attract top talents by promising to sell them… and it is working”. In pratica, uno dei più prestigiosi quotidiani inglesi ha rilevato come la squadra di proprietà di Bill Foley, 80enne businessman americano, sia diventata competitiva ai massimi livelli – al momento è a soli quattro punti dalla zona-Champions e si appresta a giocare i quarti di finale di FA Cup contro il Manchester City – proponendosi ai suoi stessi giocatori come un club che possa fungere da trampolino di lancio. Nel caso di Huijsen, questa strategia si è materializzata attraverso l’inserimento di una clausola rescissoria da 60 milioni di sterline nel contratto firmato l’estate scorsa. Tanto per fare due conti e raccontare anche la plusvalenza potenziale: l’operazione che ha portato il giocatore in Inghilterra, via Juventus, ha avuto un costo di 15 milioni.

Non tutti i giocatori della rosa del Bournemouth hanno questo tipo di clausola nel contratto, ma a tutti vengono proposti degli stipendi non troppo onerosi per gli standard extraterrestri della Premier League – l’ingaggio più alto della rosa resta sotto i sette milioni di euro a stagione. Di conseguenza, la prospettiva – anzi: l’auspicio del Bournemouth – è che arrivino delle offerte importanti al termine di un periodo di valorizzazione sul campo. Nel caso di Huijsen, la crescita di valore del giocatore è stata velocissima ed esponenziale. Con altri talenti passati da Bournemouth e/o ancora presenti in rosa, il tempo di sviluppo è stato diverso.

In questo modo, il Bournemouth ha creato una sorta di modello economicamente sostenibile e quindi virtuoso. Naturalmente un lavoro di questo tipo passa dal fatto che il club militi ormai stabilmente in Premier League, e quindi abbia un fatturato elevato grazie alle cifre incassate dalle televisioni. Se un club di queste dimensioni – il Vitality Stadium non va oltre gli 11mila posti, la stessa città di Bournemouth non arriva a 184mila abitanti – giocasse in Spagna o in Italia, di certo non potrebbe permettersi di acquistare Justin Kluivert e Milos Kerkez, di assumere Tiago Pinto – ex direttore sportivo di Benfica e Roma – per guidare il calciomercato accanto al direttore tecnico Simon Francis.

Prima di Huijsen, i più grandi colpi fatti dal Bournemouth sul mercato sono stati quelli relativi a Dominic Solanke, venduto al Tottehnam per 65 milioni di euro dopo averlo acquistato per 21 milioni, e a Nathan Aké, comprato per 22 milioni dal Chelsea e rivenduto al Manchester City per il doppio della cifra investita. Tutto questo, però, non deve far pensare che il Bournemouth sia esclusivamente un club venditore: dal suo arrivo, Foley ha investito oltre 350 milioni di euro sul mercato in entrata, ha costruito un centro di allenamento costato 35 milioni di euro. Contestualmente, la squadra mercato non cede mai più di uno o al massimo due giocatori per sessione trasferimenti, in modo da mantenere alta la competitività della rosa. Insomma, per dirla brutalmente: i migliori giocatori del Bournemouth lasciano il Bournemouth quando arriva un’offerta irrinunciabile. Oppure quando i tempi sono maturi e sono già stati individuati dei potenziali sostituti. Anche i procuratori sono consapevoli di tutto questo, eppure continuano a portare i loro assistiti nel Sud dell’Inghilterra.

Anche la scelta dell’allenatore rispecchia questa filosofia: Andoni Iraola è stato scelto e confermato perché è un manager che lavora sullo sviluppo individuale dei giocatori, che pratica un calcio in grado di valorizzare il loro talento, non di mortificarlo. Il fatto che stia facendo grandi risultati – e che per questo si parli di un suo possibile passaggio al Tottenham – conferma l’efficacia del modello di business calcistico allestito da Foley, Francis e Tiago Pinto. E allora l’esplosione di Dean Huijsen deve essere considerata come un evento cercato, non certo casuale, come il frutto di un lavoro che va avanti da anni. Che funziona bene, anzi benissimo, nonostante ogni nuovo arrivo dal mercato sia automaticamente proiettato all’addio.

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