L’ossessione batte il talento. È la frase cult di Hustle, film di riferimento per gli appassionati di riscatto sportivo (e non solo). È la storia, più o meno classica, di un talent scout che attraversa un periodo complicato della propria esistenza e dell’incontro con un ragazzo dal talento smisurato e dal passato problematico. Ecco, per raccontare Federica Brignone e la sua lezione di sport e di vita, si può partire dalla frase di Hustle. Con qualche accorgimento. Perché nel suo caso il termine ossessione è troppo. Mal si adatta a un’atleta che ama lo sport, non solo lo sci, e lo ha sempre vissuto in maniera spontanea, naturale, giocosa, forse anche soffrendo le pressioni che la competizione ad altissimo livello comporta. Per lei suona meglio: “L’abnegazione e la ricerca battono il talento”. O meglio “esaltano il talento”. Questa è secondo noi la chiave.
Perché al di là dei mille numeri e dei mille record che accompagnano l’esaltante stagione di Federica, la sua straordinaria forza è di essere andata oltre se stessa. Di aver reso carta straccia le etichette giornalistiche che ci ostiniamo a sbandierare come se la realtà fosse immutabile. Perché siamo innamorati delle confezioni, delle categorie.
Federica Brignone andrebbe raccontata per quella che è. La sua è una lezione per i più giovani ma anche per gli adulti. La dimostrazione che ci si può sempre migliorare. Che abbiamo sempre steccati da abbattere. Anche quando hai vinto una Coppa del Mondo, un oro mondiale, un argento olimpico, tre Coppe del Mondo di disciplina e tutto il circo bianco ti riconosce che hai la sciata più bella, più rotonda da vedere. Sono gabbie. Ogni etichetta è una gabbia. Ciascuno ha limiti che può superare. Ci sono sempre terreni sconosciuti da esplorare. Nello sport italiano c’è un precedente: è quello di Francesco Moser, che in tarda età esplose e vinse quello che non era riuscito a vincere quando era più giovane. I puristi potrebbero storcere il naso perché in quel caso ci fu anche l’intuizione di essere un pioniere dell’utilizzo della tecnologia. Per Federica è diverso. Non ha usato sci o attrezzature avveniristiche. Ha semplicemente lavorato su se stessa. E ha avuto l’intelligenza di circondarsi di professionisti che conoscevano il suo smisurato talento e, rispettando i suoi tempi, hanno saputo spingerla ogni giorno un centimetro più in là.
Perché lo sport a livelli d’eccellenza è sempre un lavoro di squadra. È la continua ricerca della perfezione. Ed è anche l’ostinazione a difendere le proprie idee. Nei giorni di festa non va dimenticata la coraggiosa battaglia che Federica ha condotto per difendere la sua decisione di allenarsi con il fratello Davide. Figura chiave nel percorso di maturazione agonistica della sorella. Nel 2021, Federica dichiarò al Corriere dello Sport: «Mi allenerò con mio fratello Davide e sarò seguita dal mio skiman di fiducia, Mauro Sbardellotto. Non mi sono staccata, ma non potevo far parte del Team Élite con mio fratello. Per cui ho fatto una scelta, ovvero avere lui al mio fianco, e questo ha portato ad allenarmi con altre persone. Sono l’unica italiana nella top 30 in quattro discipline differenti. Volevo fare un lavoro mirato perché, ad alto livello, fare un programma per tre non è la cosa migliore per il singolo. In più, volevo mio fratello al mio fianco perché è un progetto su cui investo da 4 anni e i risultati ci danno ragione».
Qualche giorno dopo il fratello Davide al Corriere della Sera dichiarò: «A Federica avevano detto che non sarei dovuto venire alle gare: la mia presenza e il mio ruolo sono sempre mal visti anche se poi, con gli allenatori, ho buone relazioni. Sono a libro paga di mia sorella: uno sforzo non da poco per lei, non sono assunto dalla Fisi. Ma collaboro con gli altri tecnici. Federica, io e lo skiman Mauro Sbardellotto formiamo una piccola squadra che si aggrega ai vari gruppi federali. Abbiamo indipendenza nelle scelte, ed era quello che Fede chiedeva, ma se vogliamo andare in un posto per i fatti nostri, le spese sono a nostro carico».
Non è polemica. È cronaca. È storia. Il circo mediatico (ci siamo anche noi, sia chiaro) è un insieme di piranha che triturano belle storie. Le edulcorano, le sminuzzano, le rielaborano. Col paradosso che poi le portano a tavola. Impiattate magnificamente. Ma non è così. Dietro i successi, dietro i grandi successi come quelli raggiunti da Brignone, ci sono sacrifici, ostacoli da superare, mille interrogativi, momenti in cui pensi di aver scelto la strada sbagliata. I tormenti dell’atleta non vengono raccontati. Brignone ha avuto coraggio. A difendere le sue idee. A non bearsi del suo talento e dei suoi eccellenti risultati già raggiunti. E a impegnarsi per imparare cose nuove. Quest’anno ha vinto la Coppa del Mondo generale. La seconda. Più di Tomba, che ne ha vinta una. Solo Gustav Thoeni ne ha vinte di più (quattro). Ha vinto la coppa di gigante (ma non è una notizia, l’aveva già vinta). Non aveva mai vinto, invece, la coppa di discesa libera. A 34 anni. A luglio ne compirà 35.
Repubblica in settimana ha pubblicato un’illuminante intervista a Federico Colli, definito preparatore dalle mille vite. L’uomo che cura i muscoli (e non solo) di Federica. Un viaggio nella palestra improvvisata, vicino a Courmayeur, ribattezzata la Tana delle Tigri. Dov’è nata l’idea di customizzare la tigre sul casco di Brignone. Tigre che è diventata ormai il suo marchio di fabbrica. Colli racconta: «Federica l’avevo incrociata al suo primo anno in Nazionale, si è allenata un po’ con me, poi le nostre strade si sono separate. Nel 2015 mi ha richiamato, aveva una caviglia a pezzi, se uno confronta le foto di quel periodo e quelle di adesso sembrano due donne diverse. Sapevo che aveva dei piedi incredibili sugli sci, ma fisicamente c’era tanto da costruire. Lei si è fidata di me».
Anno 2015. Dieci anni fa. Lei si è fidata di me. C’è tutto. C’è il percorso. C’è il lavoro. C’è il concetto di durata. È questo, secondo noi, il motivo per cui Brignone è una storia da raccontare. Perché fa a pezzi quella stupida semplificazione giornalistica di genio e sregolatezza. Parliamo di un’atleta che nel 2009, a nemmeno 19 anni, vinse l’oro ai Mondiali juniores di Garmisch-Partenkirchen. È pieno il mondo di chi dice “sono fatto così” e amen. E infatti non è pieno il mondo di chi vince due coppe del mondo di sci in un Paese – l’Italia – in cui nessuna sciatrice c’era riuscita.
Per gli amanti dei numeri, possiamo anche ricordare che nessuna aveva totalizzato 1.594 punti in Coppa del Mondo. Che quest’anno ha vinto dieci gare. Che nella sua carriera è salita sul podio 85 volte. Un certo Alberto Tomba è a quota 88. Potremmo continuare all’infinito. Abbiamo preferito ricordare che cosa c’è dietro l’evento che si terrà domenica nella sua Courmayeur quando la pista numero 14 diventerà la pista “Federica Brignone”. Le vittorie non sono mai frutto del caso.