I palleggi di Dibu Martínez in faccia al Brasile sono l’onda lunga dell’Argentina campione del Mondo

Il portiere della Selección, contro i rivali di sempre, si è reso protagonista dell'ennesimo gesto provocatorio del suo curriculum: anche Scaloni lo rimprovera, ma a lui non importa e il suo paese lo adora.

C’è soltanto una cosa che può far impazzire gli argentini più di una vittoria per 4-1 sul Brasile al Monumental: una vittoria per 4-1 sul Brasile, con Emiliano Martínez che dileggia i rivali di sempre. Mezz’ora della ripresa, l’Albiceleste ha appena calato il poker con Giuliano Simeone, al suo primo gol in Nazionale. Il gioco rallenta. La difesa si appoggia al portiere, che ha tempo di gestire senza alcuna pressione avversaria. Ed ecco l’ennesima bricconata del “Dibu”: si alza il pallone e hop, uno, due, tre palleggi di coscia prima di riappoggiare la sfera a terra con tutta la calma del mondo. Volano gli “Oléééé” del pubblico. I sorrisi dei compagni. Le sfuriate di Lionel Scaloni, che ben conosce i fuoriprogramma del proprio numero 23 ma stavolta fa capire che ha oltrepassato il limite del rispetto sportivo. Minaccia di sostituirlo, il ct. Allora il Dibu si calma. Fine della storia. E inizio di un’altra leggenda, che gli argentini rievocheranno per generazioni.

La dimensione simbolica del momento in effetti è notevole. Non solo questo successo – ottenuto senza Messi e senza Lautaro Martínez, tra l’altro ha consentito alla Selección di sbrigare la formalità del pass per i Mondiali del 2026 con quattro giornate d’anticipo. Ma era da 12 anni che l’Argentina non segnava quattro gol al Brasile. Da 62 che non batteva la Seleção con tre reti di scarto. E dal dicembre 1959 che non lo faceva per 4-1. All’epoca però i brasiliani avevano appena vinto il Mondiale ed erano pronti a dominare il decennio successivo, conquistandone altri due. Oggi invece il momento è diametralmente opposto. La sbornia è totale, lato Buenos Aires: i campioni del Mondo sono loro e non si sono affatto stancati di ribadirlo, di fronte a una delle Nazionali brasiliane più appannate di sempre.

Di questo sentimento collettivo, dopo anni di delusioni, rivalsa, sfogo? Locura, la chiamerebbero gli autori di Boris – il Dibu Martínez è l’interprete più acclamato. L’Argentina in Qatar ha trionfato non solo per le sue parate tatuaggio nazionale, quella su Kolo Muani al 120esimo – ma anche grazie alla sua martellante irriverenza: balletti sulla linea di porta, trash talking, battaglie psicologiche. Qualcuno le chiamerebbe sceneggiate. Magari lo sono, ma hanno segnato il destino di una Nazionale di calcio. Quindi di un Paese.

Martínez ha scelto di essere un profanatore del calcio, una volta per tutte, quando alla cerimonia di premiazione a Doha ha tramutato il trofeo in un simbolo fallico alzato al cielo. Da lì in poi è stato un susseguirsi di azioni polarizzanti. Durante l’ultima Coppa America ha scatenato un polverone coi giornalisti. Nella riedizione della finale contro la Francia, l’anno scorso, ha dileggiato i Blues con gesti (e gesta) ben sopra le righe. Fuori dall’Argentina, quasi nessuno oltre l’Aston Villa – la squadra di cui continua a difendere i pali egregiamente – riesce a sopportarlo. In patria invece è un idolo. Incarna tutte quelle pulsioni che i tifosi pensano, ma non avevano mai osato trasformare in realtà.

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Figurarsi allora se il Dibu non coglieva l’occasione contro il Brasile, nel corso di una sfida tecnicamente senza storia. Perfino Vini Jr. e compagni se l’aspettavano, tant’è che nel momento dei palleggi derisori nessuno della Seleçao ha nemmeno abbozzato una protesta. E d’altronde, gli sfottò tra le due squadre sono all’ordine del giorno. Aveva iniziato Raphinha, nel prepartita, postando via social il conto dei Mondiali vinti dalle due Nazionali (5-3), dichiarando parole invecchiate malissimo che certamente lui e i suoi compagni avrebbero battuto l’Argentina. Poi Rodrygo, che durante il match ha dato dello «scarso» a Paredes. Risposta del centrocampista della Roma: “Io ho vinto un Mondiale e due Coppe America, tu sei a zero”. Sipario, con accenni di rissa e tradizionali tensioni. Al resto ci ha pensato il Dibu. La notte in cui l’Argentina ha schiantato il Brasile, e gli ha pure palleggiato in faccia.