Dopo Germania-Italia, Spalletti deve ripartire da Kean e da un gioco propositivo

Un primo tempo da incubo, una buonissima ripresa e la gara d'andata contro i tedeschi hanno dato dei segnali chiari: gli Azzurri sono ancora una squadra in costruzione, ma hanno dei margini di crescita.

Alla fine del primo tempo di Germaia-Italia, gli attacchi durissimi e le critiche totalizzanti – nei confronti dei giocatori, del commissario tecnico, dei vertici federali, del sistema, dei club, di qualsiasi istituzione o entità che avesse a che fare con il calcio italiana – scritte e lette un po’ dappertutto erano francamente giustificate, oltreché inevitabili. Con lo stesso metro, però, anche la prestazione espressa dalla Germania nella ripresa – tre gol subiti, errori grossolani, mancanza di intensità e di qualità – meriterebbe lo stesso identico atteggiamento distruttivo. Sì certo, la rete del 2-0 segnata da Musiala nel primo tempo è frutto di un’ingenuità imperdonabile, su questo non c’è dubbio. Ma va anche derubricata per quello che è: un avvenimento francamente assurdo, praticamente irripetibile. E allora, come dire: se le colpe per un un primo tempo terrificante vanno necessariamente addebitate ai problemi del sistema-calcio italiano, un gran secondo tempo è merito di quello stesso sistema. Oppure, molto più semplicemente, le cose e i problemi di campo vanno analizzate guardando soprattutto al campo.

Tutto questo serve a dire che il doppio confronto tra Germania e Italia, guardandolo ovviamente dal lato degli Azzurri, ha prodotto inquietudine e disseminato dubbi, è evidente. Ma ha anche fatto percepire delle cose molto interessanti. Dei margini di profitto, per utilizzare una definizione mutuata dal linguaggio economico. Nel secondo tempo di Dortmund, per esempio, si è visto/capito che l’Italia ha trovato una prima punta intorno a cui costruire il reparto d’attacco in vista delle qualificazioni ai Mondiali: oggi come oggi, se messo nelle condizioni giuste, Moise Kean è un realizzatore efficientissimo, è freddo, scaltro, scattante, ha un tiro e una tecnica non banali ma al tempo stesso sa sacrificarsi per la squadra, allunga e allarga il campo, fa tranquillamente a sportellate con dei centrali che sono molto più grossi di lui e spesso esce anche vincitore da questi duelli. Insomma, è una risorsa importante, di qualità. Considerando che c’è anche Retegui, almeno Spalletti non avrà troppi problemi a schierare un centravanti di alto livello.

La sintesi

Ecco, appunto: Spalletti e le sue scelte. A Dortmund, nel primo più che nel secondo tempo, si è visto/capito che l’Italia di oggi non può prescindere da un atteggiamento audace, da un approccio al gioco di tipo proattivo, non difensivo. L’inserimento di Gatti al posto di Politano – con conseguente scalata di Di Lorenzo nel ruolo di quinto – ha tolto qualità e imprevedibilità all’uscita dal basso, ha reso ancora più efficace il pressing della Germania sulla primo costruzione degli Azzurri, di fatto ha permesso alla squadra di Nagelsmann di imporre la sua maggiore fisicità.

Con il 3-5-2 puro schierato all’inizio, in pratica, è come se l’Italia avesse volontariamente rinunciato a sfruttare una delle sue migliori doti, ovvero una certa fluidità nel giropalla e nella prima impostazione. Tutte cose che poi si sono riviste nella ripresa, con Di Lorenzo nel ruolo di braccetto, con Politano nel ruolo di esterno, con Frattesi/Barella – e poi con Raspadori – al posto di Maldini. È chiaro, la colpa di un primo tempo così deludente non può e non deve ricadere tutta su Gatti e su Maldini. Ma resta il fatto che, al netto della prestazione altalenante offerta dalla Germania, la migliore Italia vista ai quarti di Nations League sia stata quella del primo tempo di San Siro e del secondo tempo di Dortmund. Con Politano, con Raspadori, con Di Lorenzo schierato in difesa.

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In virtù di tutto questo, si può dire che Luciano Spalletti, a Dortmund, abbia pasticciato un po’ con la formazione iniziale. Certo, il ct doveva far ruotare gli uomini e doveva anche provare/trovare nuove alternative, dopotutto si è ritrovato senza Dimarco, senza Cambiaso, poi anche senza Calafiori. Ha fatto dei tentativi, ha fatto degli errori. Magari gli sono serviti e/o gli serviranno per capire a cosa non può assolutamente rinunciare in vista delle partite che conteranno.

In questo senso, dopo Germania-Italia non ci sono più dubbi: la Nazionale di Spalletti non avrà la quantità di talento della Spagna, della Francia, dell’Inghilterra o della stessa Germania, non avrà un’identità tattica che guidi e armonizzi l’intero movimento come succede in altri Paesi europei, ma resta una squadra con delle caratteristiche chiare. Che deve proporre un calcio fresco, aggressivo, sofisticato, anche rischioso se vogliamo. Non potrà reggere il confronto fisico con molte delle avversarie che incontrerà, e allora a maggior ragione dovrà cercare di costruirsi dei vantaggi attraverso la fluidità, la qualità delle giocate tra le linee, le imbucate, le sovrapposizioni, un pressing ordinato ma anche intenso. Insomma, deve provare a risolvere i problemi di campo guardando soprattutto al campo. Non c’è altra strada, come disse una volta un uomo innamorato delle frasi a effetto.