Ammettiamolo: per anni, chi prima chi dopo, ci abbiamo creduto in tanti nella Golden Generation del Belgio. Prima abbiamo pensato all’Europeo del 2016, in cui il Belgio si è autodistrutto contro Gareth Bale e il suo Galles, poi soprattutto al Mondiale 2018. Dopo la vittoria ai quarti con il Brasile, in effetti, sembrava possibile pensare persino alla vittoria del titolo. Ma poi è arrivata la girata di testa di Umtiti, nella semifinale contro la Francia, a cambiare il corso di quella Coppa del Mondo. Da allora si sono disputati due Europei e un Mondiale, e tutte le volte il Belgio ha finito per deluderci. nel frattempo sono passati i vari Kompany, Vertoghen, Alderweireld, Vermaelen, Naingollan, Fellaini, Carrasco, Mertens e soprattutto Eden Hazard. Certo, rimane ancora qualcuno della vecchia guardia come Courtois, De Bruyne e Lukaku, ma non è la stessa cosa. Il mood è diverso, come se fosse finita una finestra temporale per vincere.
Nel 2022 il ct Roberto Martínez ha lasciato la panchina a Domenico Tedesco, ma gli Europei giocati in Germania l’estate scorsa sono stati disastrosi. E così da gennaio il nuovo commissario tecnico è Rudi Garcia, che dopo l’esperienza negativa di Napoli ha scelto di lavorare con i giovani, tentando di ricreare un’altra Golden Generation. Non è facile, perché nonostante le strutture e il sistema siano gli stessi che hanno dato vita a un gruppo di calciatori così validi, pare che manchi un po’ di talento. E, quindi, anche un po’ di appeal.
Il debutto del nuovo ct non è andato proprio benissimo, per non dire di peggio: tre schiaffi dall’Ucraina, per giunta nello spareggio per rimanere nella Lega A di Nations League. Un risultato che mette al muro il Belgio, che sarà costretto a ribaltare il punteggio nel match di ritorno. Urge trovare una soluzione, ma Garcia ha fatto fatica a trovare nuova linfa per la sua squadra. Non solo per quanto riguarda il lavoro sul campo, ma anche a livello di convocazioni: chi ha la doppia nazionalità, infatti, adesso tende a scegliere il paese d’origine. Come riportato da L’Équipe, infatti, prima della presentazione dell’ultima lista, Garcia ha incassato tre no: quello di Konstantinos Karetsas, trequartista del Genk di 17 anni, ha scelto la Grecia; quello di Chemsdine Talbi, attaccante del Club Bruges di 19 anni, che ha optato per il Marocco; quello di Ilay Camara, il centrocampista dello Standard Liegi che 22 anni ha preferito il Senegal.
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È chiaro: non è solo questione di appeal, ma anche di cambiamenti nello staff della Nazionale. La Federazione belga ha allontanato Kevin Vermeulen, ex scout dell’Anderlecht, che si occupava della ricerca dei giovani dalla doppia cittadinanza, per affidare tutti i poteri al direttore tecnico Vincent Mannaert. «In Belgio un ragazzo può firmare il suo primo contratto da professionista a 15 anni», ha spiegato Mannaert a L’Équipe. «Perché non dovrebbe poter decidere sulla sua nazionalità sportiva alla maggiore età? E perché dovrebbe avere solo 30 giorni per farlo? In alcuni paesi basta qualche mese per ottenere una nazionalità. In altri, ci vogliono cinque anni. La FIFA deve adattare i suoi regolamenti. Ma con me, non pagheremo nessuno per convincere un giocatore».
Ad attrarre un giovane sono però anche strutture e organizzazione. Non è un caso, infatti, che l’ex direttore tecnico belga dal 2015 al 2018, Chris van Puyvelde, ora lavori con il Marocco. Che, anche grazie ai calciatori di seconda generazione, in Qatar è diventata la prima squadra africana a centrare i quarti di finale di un mondiale. «La cosa più importante», ha detto Van Puyvelde a L’Equipe, «è accogliere la diversità e integrarla, la mettiamo in risalto allo stesso modo della competenza dello staff tecnico e del fatto di parlare più lingue. Abbiamo strutture eccellenti, quando un giovane ci fa visita, spieghiamo chiaramente il nostro progetto, offrendo un’esperienza internazionale tramite numerosi tornei». Regole semplici, ma efficaci, per richiamare talento, Ma al Belgio, adesso, sembra non bastare più.