Durante la Seconda Guerra Mondiale a Egham, cittadina nel Surrey, sorgeva un campo di prigionia militare dove erano rinchiusi numerosi soldati italiani. Negli anni successivi la fine del conflitto erano molti i nostri connazionali in cerca di lavoro da quelle parti, tanto da creare una piccola ma nutrita comunità, con tutti i riti e i punti di aggregazione tipici delle storie di migranti. Tra questi c’era il napoletano Cipullo, negozio di alimentari e gastronomia di tipicità italiane tuttora in attività. In questo flusso di persone era presente anche la famiglia Di Bartolomeo, la cui figlia, Maria, un giorno trovò un impiego a Woking, nella sede della McLaren. Portava te e caffè negli uffici, e serviva pasti alla mensa. Piloti a parte, è stata la prima italiana a lavorare nella McLaren e lo ha fatto per 25 anni, fino alla pensione.
Le cose sono cambiate
Oggi l’Italia è di casa nella scuderia orange papaya, partendo dal team principal Andrea Stella e proseguendo con un piccolo ma corposo reggimento di ingeneri e tecnici, concentrati soprattutto nell’ambito dell’aerodinamica. Tutti protagonisti di una delle più spettacolari rinascite nella storia recente della Formula 1. Una scalata tecnica senza precedenti, nell’era dei test vietati e degli sviluppi tenuti a freno dal budget cap, che ha visto la McLaren vincere il titolo costruttori 2024 circa 600 giorni dopo essere ripartita da un foglio bianco, e dall’ultimo posto in graduatoria nelle prime uscite del Mondiale 2023, a causa di un progetto rivelatosi un completo fallimento. Una macchina da pensare e sviluppare praticamente da zero, ma in grado di fornire due anni dopo prestazioni tali da portare alla McLaren il suo primo campionato Costruttori dal 1998, al termine di una stagione dove un suo pilota, Oscar Piastri, è stato l’unico ad aver completato il 100% dei giri previsti dalle 24 tappe del Mondiale.
La McLaren rimane ovviamente una realtà multinazionale, come sottolineato da Stella in un’intervista concessa durante la consegna dei Caschi d’Oro 2024, il premio organizzato dalla rivista Autosprint in collaborazione con ACI. «Se dovessimo mettere le bandierine degli Stati accanto a tutte le entità e le individualità del nostro gruppo, ci ritroveremmo davvero con un bellissimo collettivo internazionale. Le partnership che sono alla base della McLaren sono un inno alla diversificazione, così come lo è il rapporto tra Zak Brown, uno statunitense (nonché CEO del gruppo, nda), e il sottoscritto». Tuttavia rimane singolare come sia stato proprio un italiano, oltretutto ex Ferrari, il simbolo del ritorno al successo dopo anni di declino e posizioni di secondo rango.
McLaren vs Ferrari: uno storico duello
Per decenni McLaren contro Ferrari è stata la sfida per eccellenza in Formula 1. Una rivalità anche tra Paesi e scuole motoristiche diverse. Due team nati da passioni di famiglia (Alfredo Ferrari, padre di Enzo, aveva un’officina di carpenteria meccanica; Les McLaren, genitore di Bruce, possedeva stazione di servizio e un’officina) metabolizzate e fatte proprie in maniera totalizzante, a costo di sacrifici enormi, ma capaci di generare due delle scuderie più iconiche della storia delle corse. Basta ricordare le sfide Regazzoni-Fittipaldi, Lauda-Hunt, Alboreto-Prost, Schumacher-Hakkinen, Raikkonen-Alonso, Massa-Hamilton. La stagione 2024 ha ravvivato la fiamma di uno scontro che appariva oramai consegnato agli annali, messo in soffitta prima dall’era delle power unit ibride (il dominio Mercedes), poi dalle creazioni geniali di Adrian Newey (la dittatura Red Bull).
McLaren e Ferrari sono le uniche due scuderie che non hanno mai cambiato nome. A livello di proprietà, invece, quella inglese si è caratterizzata fin da subito per la multinazionalità, a partire dal fondatore, proveniente dalla Nuova Zelanda, per proseguire con i capitali americani di Teddy Mayer, che ha salvato il team dopo la morte di McLaren in seguito a un incidente in pista, fino ad arrivare ai giorni nostri con il fondo sovrano bahrenita Bahrain Mumtakakat Holding. Nel mezzo, la lunghissima gestione Ron Dennis, prima con John Hogan della Marlboro, quindi con il franco-saudita Mansour Ojjeh della Tag.
Un periodo di luci sfavillanti, ma di cui non vanno dimenticate alcune cupissime ombre, in particolare quella riguardante lo scandalo spionaggio del 2007. Il danneggiato è la Ferrari, a cui vengono sottratti documenti tecnici da Nigel Stepney, capomeccanico della Rossa deluso da una mancata promozione, che li passa all’ingegnere McLaren Mike Coughlan.Le fotocopie vengono fatte in una copisteria di Eghan di proprietà di una famiglia italiana, che nota i fogli con ai bordi il simbolo del Cavallino e denuncia tutto. Un contrappasso per Dennis, scarso estimatore degli italiani perché ritenuti poco affidabili, eppure con le mani nella marmellata è stato pescato lui. Anche se, cliché e antipatie a parte, è sotto Dennis che inizia a svilupparsi l’enclave italiana in McLaren con Giorgio Ascanelli, tecnico di pista di Ayrton Senna, che poi porterà a Woking Luca Furbatto, anche lui progettista e strutturista, visto all’opera con Hakkinen, Coulthard, Alonso, Raikkonen, Button e Hamilton.
L’enclave italiana della McLaren
Nell’infornata da italiani di Furbatto è presente anche Pino Pesce, attualmente Director of Aerodynamics & Chief of Staff, che una volta ha dichiarato, tra il serio e il faceto: «Credo che nel comparto aerodinamica ci siano più italiani qui che in Ferrari». Qualche nome? Marco Scavanini, Dario Scarfò, Luca Crosetta, Leonardo Palma, Luigi De Martino Norante, Francesco De Cola, Jakob Mercanti. Un tricolore che ai giorni nostri si estende fino alla Academy piloti, con il figlio d’arte Brando Badoer e l’italo-americano Ugo Ugochukwu in pista per raggiungere quel sedile occupato nella storia solo da tre nostri connazionali, tutti senza particolare fortuna: Andrea De Adamich, Bruno Giacomelli e Andrea De Cesaris.
Melbourne 2014-Baku 2024: ha impiegato meno tempo la McLaren a tornare in vetta alla classifica Costruttori che la Nazionale italiana di calcio a partecipare nuovamente alla fase finale di un Mondiale. Un evento tutt’altro che scontato per una scuderia che era scivolata sempre più in basso nelle gerarchie dei team, arrivando addirittura a classificarsi nona in due occasioni, fino a giungere a un passo dal fallimento con l’arrivo della pandemia. Momenti difficilissimi, con la fuga degli sponsor rappresentata da una livrea arancio-blu piena di spazi vuoti, la necessità di tagliare costi un po’ ovunque, personale incluso, e la scelta di mettere in vendita la propria sede, il McLaren Technology Center, acquistato dall’immobiliare Global Net Lease per 170 milioni di sterline e un contratto di locazione ventennale a favore della McLaren.
Nel tappare le falle e ridare ossigeno a livello finanziario alla scuderia il lavoro di Zak Brown è stato altrettanto importante di quello compiuto da Stella a livello tecnico e progettuale. Dice l’ingegnere aerospaziale umbro: «Aggiungo solo che non abbiamo un title sponsor (unico team in Formula 1, nda). La nostra competitività in pista ha viaggiato in parallelo con quella dimostrata dal punto di vista commerciale. Il nostro reparto marketing è riuscito a mettere a segno colpi molto importanti e significativi, ottenendo l’apporto di tanti partner».
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A livello organizzativo, Stella ha ampliato e reso più efficace il concetto di struttura orizzontale introdotto dal suo predecessore Andreas Seidl, passato a fine 2022 alla Sauber futura Audi. Il tutto partendo dalla singola persona. «C’è sempre un punto di partenza ispiratore di ogni procedimento complesso. Il nostro è stato e resta caratterizzato di mettere la persona, il rispetto dell’individuo, al centro di tutto. Gioco di squadra, correttezza, fiducia reciproca, non accettazione di comportamenti attitudinalmente disfunzionali e potenzialmente in grado di minare la coesione e l’efficacia del lavoro di equipe. Quando siamo al tavolo di lavoro, voglio che ciascuna esponga idee e intuizioni. Se esce qualcosa di buono ne prendiamo atto, lo elaboriamo e lo facciamo nostro. Alla fine del meeting non c’è stata una persona che ha fatto migliore figura rispetto agli altri, ma solo e semplicemente una squadra coralmente migliore e cresciuta in confronto all’inizio di riunione. Lo scopo è quello si sentirci un organismo unico e unito nel pieno rispetto delle individualità».
Matteo Novembrini su Autosprint ha definito quella della McLaren una “organizzazione olistica”. Idee condivise, libertà di esprimere le proprie opinioni senza problemi di gerarchia, riunioni allargate per rendere costante il flusso di informazioni in tutti i sensi, ma anche piccole cose come il cambio dei layout degli uffici per migliorare il benessere dei dipendenti, l’introduzione di una maggiore flessibilità oraria e il potenziamento dello smart working.
Come funziona la McLaren, oggi
Nel cruciale inverno 2022-23, quello del progetto affossato perché non andava da nessuna parte, Stella si è trovato a dover gestire un doppio cambio di strategia: progettuale, con lo sviluppo della MCL60 totalmente ripensato, a costo di presentarsi ai primi Gran Premi dell’anno da ultimi della classe, con competitività pari a zero; organizzativo-gestionale, con l’annunciata partenza di Seidl (a cui è subentrato) e del direttore James Key, che non ha sostituito tenendo per sé le deleghe e, di fatto, accorciando la catena di comando. Una struttura organizzativa sempre verticale ma che assomiglia più a uno ziggurat che a una piramide.
L’efficacia di una simile impostazione la si è vista nella capacità di smentire la teorica cristallizzazione delle posizioni dovuta alle limitazioni dello sviluppo nel ciclo tecnico della vettura, perché se è vero che da un lato queste limitazioni colpiscono in misura maggiore i team di vertice (ad esempio le minori ore concesse nella galleria del vento), va anche detto che passare dalla quinta alla prima posizione in due stagioni non è un evento che si verifica di frequente. Anzi.
Rispetto alle rivali, la McLaren ha mostrato di aver sempre avuto sotto controllo la situazione tecnica, portando soluzioni e aggiornamenti che non hanno mai creato problemi di correlazione, né alla guidabilità della vettura. Uno spirito che tende sempre al miglioramento, a guardare in avanti anche assumendosi rischi, mettendoci la faccia in prima persona, come quando Stella si presentò all’inizio del Mondiale 2023 dicendo che la macchina sarebbe stata pronta non prima di giugno. Filosofia e concetti alla base anche della nuova MCL39. Perché, come dice Stella: «Mai fermarsi nella contemplazione di sé stessi. Pensare di avercela fatta vuol dire essere già all’inizio del declino».