Casadei in Nazionale è la dimostrazione che giocare all’estero fa bene

Dopo un ottimo inizio al Torino, l'ex centrocampista del Chelsea ha trovato la prima chiamata in azzurro. E sui 25 giocatori convocati da Spalletti per la Nations League, ben nove hanno giocato o giocano fuori dall'Italia.

Il primo gol in Serie A, di rabbia e potenza contro il Monza, è stato il miglior biglietto da visita. Tempo un mese dal suo arrivo a Torino e Cesare Casadei è già entrato nel giro della Nazionale: c’è anche il centrocampista granata, fra i convocati di Spalletti per i prossimi impegni di Nations League. Merito di un impatto immediato e significativo sul campionato: Casadei ha anche un assist all’attivo, e da quando è arrivato il Torino ha perso una sola gara su sei. Casadei si dice «contento, consapevole di essere cresciuto sia dal punto di vista tecnico sia umano durante la mia esperienza in Premier League». E proprio di questo si tratta: il calcio italiano ha esportato una giovane promessa all’estero e oggi la riaccoglie pronta ad affrontare il presente. Con un po’ di know-how in più. Perché, per fisicità e intensità di gioco, l’ex Inter – non soltanto per meriti propri –  è superiore rispetto a molti dei suoi coetanei cresciuti in casa.

Casadei in azzurro non è un caso isolato. Oltre un terzo dei giocatori scelti di Spalletti per affrontare la Germania gioca o ha giocato lontano dalla nostra Serie A. Donnarumma trascina il Psg. Vicario e Udogie vestono la maglia del Tottenham. Tonali è al Newcastle, Calafiori all’Arsenal. Kean e Lucca sono rientrati in Serie Adopo le rispettive esperienze all’estero, esattamente come Casadei. E poi c’è Retegui, che come sappiamo ha una storia a parte ma è comunque cresciuto lontano dall’Italia. A tutti questi nomi vanno aggiunti quelli degli infortunati Dimarco e Scamacca: sono dei punti fissi nelle gerarchie del commissario tecnico e anche loro hanno vissuto delle stagioni in altri campionati. E se consideriamo anche chi – dopo l’era Mancini – è finito un po’ fuori dal giro della Nazionale, la lista si allunga ancora: Gnonto, Pafundi, Grifo. In origine c’era soltanto l’assordante eccezione di Marco Verratti, pilastro dell’Italia per un decennio senza aver mai debuttato in Serie A. Ora, ormai, farsi le ossa altrove fa tendenza.

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Al contempo, la proverbiale autarchia italiana sta cominciando a venire messa in discussione. Non è ancora decadente – la maggior parte dei giovani continua a non uscire dall’ovile, preferendo un prestito nelle nostre serie minori al posto del salto nel buio verso altre latitudini – ma non è nemmeno più l’unica opzione possibile. E la dinamica non si spiega soltanto con l’inevitabile sudditanza della Serie A rispetto ad altri campionati, primo tra tutti la Premier League: sarà vero per i migliori – sette dei nove convocati di Spalletti con esperienze all’estero sono passati dal campionato inglese – ma esiste un folto sostrato di giocatori che, dalla Spagna ai Paesi Bassi, trova notevoli vantaggi competitivi nel mettersi alla prova lontano da casa. Anche perché qui, spesso, non c’è spazio. Come molti compagni di vivaio all’Inter, Casadei non ne aveva trovato. Gli sono bastati due anni e 11 presenze in Premier per tornare molto più forte di prima. E più completo, probabilmente, di qualunque altra traiettoria entro i confini nazionali. Appunti per l’Italia che verrà.