La differenza è tutta nell’identicità di quel palo interno colpito in avvio di partita. Da Raspadori a Thuram: il Napoli s’incaglia a Venezia – lento, prevedibile, affaticato sulle gambe – mentre l’Inter detta la sua legge in casa dell’Atalanta. Senza Dimarco, senza lo strabordante furore sfoggiato nel 4-0 dell’andata. Ma con pazienza e Carlos Augusto. Con tutta quella profondità di rosa che le dirette avversarie, semplicemente, non hanno. Simone Inzaghi applaude la mentalità dei suoi ragazzi, dice che «è vietato fare calcoli». Ma al contempo ammette che «con questo spirito si possono fare importanti».
Allora sorge una domanda: perché i nerazzurri fin qui non sono riusciti a dominare un campionato che, per qualità, non vede nessuno al loro livello? Contro l’Atalanta – quest’Atalanta – hanno rischiato poco o nulla, tenendo il pallino del gioco per tutti i 90 minuti e andando più vicini a segnare il terzo gol che a subire il primo. E a proposito di reti: sempre contro l’Atalanta – vincitrice dell’Europa League in questo frangente – Lautaro e compagni ne hanno segnate 12 negli ultimi quattro incontri ufficiali senza incassarne alcuno. Sintomo di un mismatch impressionante, di un divario che però scompare classifica alla mano. Se nel posticipo di domenica l’Inter avesse perso a Bergamo, staremmo raccontando tutt’altra Serie A, con tre squadre appaiate a quota 61 punti. Non è successo, senza mai avere la sensazione che potesse succedere. E in termini di prestazione nemmeno a Napoli, nell’altro scontro diretto che aveva visto comandare i campioni in carica.
Eppure, a nove giornate dal termine, teoricamente la corsa scudetto è ancora apertissima. La squadra di Inzaghi sembra aver messo il turbo, ha tutta l’inerzia dalla sua rispetto alle altre. Ma fin qui ha tenuto aperti i giochi soprattutto per propri demeriti, rallentando troppo spesso – lo score è ancora sotto il 50% di vittorie – e incappando in qualche inusuale blackout – il derby due volte, Firenze. Senza far tanti mea culpa, tutto si riduce all’inevitabile prezzo fisico da pagare per riuscire ad essere ancora in corsa su tutti i fronti: campionato, Coppa Italia, Champions League – dove per freschezza, forza e lucidità, l’abisso col resto delle italiane si è palesato brutale nella fase a eliminazione diretta. L’Inter ha poi dovuto fare i conti con la fisiologica flessione dei suoi protagonisti: ieri Lautaro, oggi Thuram, a tratti Calhanoglu. Da menzionare anche il conto degli infortuni, l’inevitabile rilassamento inconscio dopo lo stradominio della scorsa Serie A.
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Ecco. Comunque vada a finire – è già aritmeticamente impossibile – l’Inter non ripeterà l’assolo dell’ultimo scudetto. Anzi, il rush di queste ultime nove partite si preannuncia serrato e soltanto l’Inter potrà invece metterlo in discesa: il calendario in questo senso aiuta, con appena il Bologna e le due romane rimaste sul cammino nerazzurro da oggi al 25 maggio. Ma il verdetto del Gewiss Stadium va ben oltre i tre punti in palio e il peso specifico di un primo tentativo di allungo: ancora una volta, il tricolore, dipenderà da Inzaghi e dai suoi giocatori. L’illusione di un equilibrio totale al vertice è durata fin troppo.