Il calcio inglese ha un problema con l’abuso di sonniferi da parte dei giocatori

L'ultima testimonianza di Christian Norgaard, capitano del Brentford, ha riacceso i riflettori sui problemi del sonno che colpiscono gli atleti professionisti.

Il capitano del Brentford, Christian Norgaard, l’ha ammesso piuttosto candidamente durante un’intervista rilasciata alla BBC: «Ho temuto di diventare dipendente dai sonniferi. Ho iniziato a prenderne quando giocavo in Danimarca, al Brondby: prima di una partita importante ho dormito male, poi mi sono chiesto se avrei disputato una brutta gara a causa della nottata difficile. Così ho iniziato a usare le pillole, in modo da evitare alla radice questo problema». L’esperienza raccontata da Norgaard è dolorosa ma a lieto fine, visto che l’intervento di una coach del sonno – Anna West, che lavora da otto anni con il Brentford – gli ha permesso di uscire da questo circolo vizioso. Il punto, però, è che il caso di Norgaard è meno isolato di quanto si creda.

Dele Alli, tra tutti i giocatori professionisti, è stato uno dei primi a parlare di dipendenza da sonniferi nel corso della carriera. Lo ha fatto nel 2023 in una memorabile intervista rilasciata a The Overlap, il canale/programma di Youtube creato da Gary Neville, in cui aveva spiegato che «questo problema è molto diffuso». Prima di lui, anche Ryan Cresswell – ex difensore dello Sheffield United con una lunga carriera nelle serie minori inglesi – e l’ex portiere del Liverpool Chris Kirkland si erano autodenunciati, avevano ammesso la loro dipendenza. Al di là dei casi singoli, anche le statistiche confermano una tendenza in crescita: nel 2020, la Professional Footballers’ Association ha pubblicato i risultati di un sondaggio sui problemi di salute mentale nel mondo del calcio, e il 9% dei giocatori intervistati ha confessato di avere – o di avere avuto – problemi di dipendenza.

In un reportage pubblicato da The Spectator nel 2023, si legge che «i calciatori sono gli sportivi più a rischio per quanto riguarda l’abuso di sostanza: tra gli atleti d’élite, sono tra quelli che provengono dagli strati sociali meno benestanti, poi si ritrovano a essere estirpati dal loro contesto familiare quando sono giovanissimi. Infine, sono stritolati da ritmi frenetici tra allenamenti e partite». Sono tutte condizioni che, in qualche modo, li rendono più esposti all’abuso di sostanze. Se poi aggiungiamo l’adrenalina per le partite, la pressione dei media e dei procuratori, è praticamente inevitabile che sviluppino problemi relativi al sonno.

Infine, un altro aspetto non secondario riguarda il denaro: i calciatori sono ricchi e quindi hanno un accesso facilitato all’assistenza sanitaria privata, un ambiente in cui i medici sono inevitabilmente più propensi ad assecondare le richieste di prescrizioni da parte dei pazienti. È chiaro che, come nel caso del Brentford con Norgaard, i club possono e devono fare da presidio, sono l’istituzione che più di ogni altra è in grado di prevenire problemi di questo tipo, oppure di aiutare i giocatori che hanno già sviluppato una dipendenza. In questo senso, i coach del sonno sono delle figure sempre più importanti, come se non più rispetto ai nutrizionisti e ai fisioterapisti. Le parole di Norgaard, come dire, non lasciano dubbi.