Ci sono tre diverse strade per diventare un dirigente dell’Arsenal. Puoi esserne stato una leggenda (ok, complicato), puoi aver svolto corsi e master ad alto livello ed esserti affermato a livello manageriale, oppure puoi essere partito da una banca di Pievedizio, frazione di Mairano, a una quindicina di chilometri da Brescia. Pievedizio è il classico paese della provincia italiana, con al centro la chiesa (di Sant’Antonio Abate) e tanti campi di papaveri intorno. Andrea Berta, in procinto di diventare il nuovo direttore sportivo dei Gunners, arriva da lì, dalla filiale della Bcc con sede a Pompiano Franciacorta. Come sia finito a essere uno dei manager calcistici più richiesti d’Europa, tanto da essere inserito nella lista per il ruolo di ds del Milan, assomiglia più a una storia americana che bresciana. Un mix di bravura, fortuna e contingenze.
Andrea Berta ha iniziato al Carpenedolo, mentre faceva il direttore di banca
Oltre al direttore di banca, infatti, Berta fa anche il dirigente nel Carpenedolo, che nel 1999 gioca tra i dilettanti. «Dopo aver vinto due o tre tornei, avevamo bisogno di un direttore sportivo», racconta l’allora vicepresidente Viola in un reportage di Marca. «L’allenatore allora ci parla di un ragazzo molto giovane, di soli 27 anni, che aveva incontrato ai tornei notturni estivi che organizzavano per guadagnare un po’ di soldi». In quattro anni il Carpenedolo di Berta è in Serie C2 e due anni dopo sfiora lo storico doppio salto, fermandosi solo nella finale playoff contro l’Ivrea, senza neanche perdere. Nonostante i due pareggi per 1-1, sono i piemontesi a salire di categoria, per via di un miglior piazzamento nella stagione regolare. «Aveva un fiuto speciale, capiva le esigenze della squadra, le caratteristiche dei giocatori», rivela Viola. «Eravamo un gruppo di imprenditori e con lui siamo riusciti a vincere e ad avere sostenibilità, ci ha portato dei giovani bravi e a buon mercato».
In quel Carpenedolo, infatti, ci sono giocatori che negli anni successivi faranno carriera in Serie A e B, come Manuel Iori e Massimo Volta. Segno di investimenti importanti per la categoria, segno di una proprietà forte. Non a caso tra i patron c’è Tommaso Ghirardi, che qualche mese dopo acquisterà il Parma – allora gestito dall’amministratore straordinario Enrico Bondi, che aveva guidato il lungo processo di galleggiamento dopo il fallimento della Parmalat. E proprio Ghirardi chiama Berta a Parma nel 2008, in Serie B.
«È uno che ne capisce di calcio», racconta a Undici Alessandro Budel, che lo ha avuto come ds proprio quell’anno. «Di solito i dirigenti si dividono in due categorie: chi è più riservato e bada al campo e chi invece lavora più sulle relazioni. Ecco, lui è del primo tipo», prosegue l’ex centrocampista. Che racconta anche un aneddoto: «Venivamo da una retrocessione, ma Ghirardi aveva allestito una rosa molto competitiva, con quasi 700 partite complessive in A. Siamo partiti male, a metà ottobre avevamo otto punti in classifica. Berta però non ha mai perso la calma e la compostezza, ci ha trasmesso fiducia e positività, nonostante non fosse semplice neanche per lui, alla prima esperienza in un club importante. Dalla settimana dopo abbiamo iniziato a vincere e non ci siamo più fermati, andando in Serie A».
La (ri)costruzione del Parma, poi il Genoa. Infine, Jorge Mendes
Berta si fa apprezzare come osservatore e sviluppatore di talenti, completando delle ottime operazioni. Per esempio quella di Mariga, comprato dall’Helsinborgs a meno di due milioni e rivenduto a dieci. Grazie a lui il Parma ha preso anche Galloppa, Mirante e Alessandro Lucarelli: dei veri e propri simboli per il club emiliano. Gli insider gialloblù confessano, però, che i contrasti con Ghirardi in merito ad alcune operazioni – Reginaldo e Cristiano Lucarelli su tutti – hanno sancito l’allontanamento di Berta. Che da parte sua, alla prima occasione utile, ha scelto un altro percorso.
La chiamata arriva da Genova, sponda rossoblù. Dal 2010 al 2013 arrivano Kucka, visto in un match di Europa League e conteso per mesi al Palermo, e poi Birsa, Veloso e Granqvist. L’ottimo lavoro di scouting e le relazioni che tesse in giro per l’Europa fanno avvicinare Berta a Jorge Mendes, il superagente portoghese che lo consiglia all’Atlético Madrid quando si libera il posto di direttore tecnico. «Quello che si sa di lui è che ama i crostacei e che è approdato all’Atlético perché l’amministratore delegato Miguel Ángel Gil lo ha conosciuto tramite Peter Kenyon, ex direttore generale del Manchester United e socio di Jorge Mendes, consigliere del club biancorosso», scrive su Berta El Pais al momento del passaggio in Spagna.
In quel periodo l’Atlético sta studiando per diventare un top club, gli manca solo il grande successo. Simeone è in panchina da un paio d’anni e i tempi sembrano maturi. Giunto nell’élite del calcio spagnolo, Berta ha la capacità di ascoltare e imparare. Cresce all’ombra di una colonna dell’Atletì, José Luis Pérez Caminero, seguendone ogni sua mossa. Rifiuta pure due ottime offerte per entrare nell’organigramma di Manchester United e Paris Saint-Germain. Si fa trovare pronto nel 2017, quando Caminero lascia i Colchoneros. Viene premiato per la fedeltà, nel senso che viene nominato direttore sportivo nonché «responsabile di cinque gruppi di lavoro», come recita il comunicato dei biancorossi: lo staff tecnico, gli assistenti, l’area di coordinamento, la squadra B e il team di scouting e analisi.
Come lavora Andrea Berta
Qualche flash del suo mercato in undici anni a Madrid: ingaggia Griezmann dalla Real Sociedad per 30 milioni di euro nel 2014, lo vende al Barcellona per 120 milioni nel 2019 e se lo riprende due anni dopo a 40. Acquista Rodri dal Villarreal nel 2018 per 25 milioni di euro e lo cede al Manchester City un anno dopo per 62,6 milioni di sterline. Forse non crede tanto in Diogo Jota, spedito di fretta al Wolverhampton, ma ci vede lungo su Oblak per il dopo-Courtois. Luís Suárez, poi, di fatto gli ha portato una Liga.
L’ultima sessione estiva di calciomercato è stata il suo ultimo tocco di classe: sono arrivati quattro big come Julián Álvarez, Conor Gallagher, Robin Le Normand e Alexander Sorloth. Una rivoluzione che ha permesso all’Atlético di arrivare a marzo e di essere ancora in corsa per tutte le competizioni: terzo in Liga a due punti da Real e Barcellona, agli ottavi di Champions League e in semifinale di Copa del Rey. La separazione dall’Atletico è arrivata con il seguente palmarés: due titoli spagnoli, un Europa League, una Supercoppa europea e una di Spagna.
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All’Arsenal, Berta garantirà esperienza e abilità negli affari. È improbabile, come sottolinea anche The Athletic, che gli inglesi possano dargli carta bianca. Da quelle parti i monarchi assoluti non sono mai piaciuti e una struttura definita il club di Londra ce l’ha già. A partire dai proprietari, i Kroenke, di solito abbastanza silenziosi ma sempre molto aggiornati e dai Director of Football Operations, Richard Garlick e James King, per cui devono passare tutte le decisioni più o meno di campo. Dopo l’addio di Edu, trasferitosi al Nottingham Forrest, il ruolo di direttore sportivo è stato ricoperto ad interim da Jason Ayto, ex capo scout. Una mossa che sapeva di temporeggiamento, in attesa di individuare e nominare un direttore sportivo dalle ampie deleghe. Un altro nodo da chiarire sarà il rapporto con Arteta. Il manager basco, infatti, è abituato ad avere un grosso peso nella scelta dei giocatori, nella pianificazione della pre stagione e nelle eventuali modifiche di staff.
Non giriamoci troppo intorno: il posto scotta. A gennaio Ayto è stato criticato per non aver trattato e comprato un attaccante. Non dipendeva neanche troppo da lui, ma fatto sta che l’Arsenal ha pagato la decisione: a stretto giro si sono infortunati Saka, Martinelli e Havertz, e così Arteta si è dovuto inventare un centrocampista, Miguel Merino, come falso nove. Berta comincerà in questo clima e dovrà subito affrontare quattro rinnovi spinosi: Saka, Gabriel, Saliba e Martinelli, infatti, hanno solo due anni di contratto. Nwaneri e Lewis-Skelly, poi, dopo le buone prestazioni delle ultime settimane, vorrebbero ritoccare lo stipendio. Sarà interessante capire come supervisionerà l’Arsenal Women e un’Academy piena di ragazzi talentuosi. Berta dovrà pure incassare di più, ma come? Vendendo al momento giusto e per somme alte, un aspetto in cui nel nord di Londra non hanno sempre brillato. Ma almeno su quello i tifosi dei Gunners possono dormire tranquilli: Berta è un ex direttore di banca, è sempre stato abituato a far tornare i conti.