Correva il 14 novembre 2021, quando la Russia disputava la sua ultima partita ufficiale (ko 1-0 per mano della Croazia). Il resto è storia. E guerra. Dal febbraio seguente in poi – almeno fino ai prossimi Mondiali – la Nazionale di Mosca è stata esclusa da ogni competizione: la risposta del calcio all’invasione dell’Ucraina era stata fulminea. Eppure ciò non significa che le confederazioni internazionali, a partire dalla stessa UEFA, abbiano tagliato i ponti con i dirigenti russi. Anzi. Un’inchiesta del Guardian sottolinea come una serie di nomi molto vicini al Cremlino faccia tuttora parte del comitato esecutivo di Nyon. Su tutti Alexander Dyukov: ex presidente dello Zenit San Pietroburgo, capo del colosso energetico Gazprom – ex sponsor della Champions League, con contratto annullato subito dopo gli attacchi su Kyiv – e fedelissimo di Putin. Con tanto di supporto operativo al fronte.
Com’è possibile un cortocircuito del genere? Tecnicamente la spiegazione è semplice: il ban nei confronti della Russia si applica al terreno di gioco, ma in termini istituzionali la Federcalcio di Mosca non è mai stata sospesa dalla UEFA. E i funzionari della Rossijskij Futbol’nyj Sojuz sono tutti approvati dal regime. L’aggravante è che il comitato esecutivo della UEFA ha rinnovato la maggior parte dei suoi membri nel 2023, oltre un anno dopo il massacro di Bucha. I loro mandati scadono nel 2027. Succede dunque che, ancora oggi, la Russia conta un cospicuo numero di rappresentanti all’interno della UEFA. Addirittura superiore ai delegati ucraini: 18 contro 14.
Secondo il quotidiano britannico, il paradosso nasce anche dal debito di riconoscenza che Aleksander Ceferin avrebbe nei confronti dei russi: la sua prima elezione ai vertici della UEFA, nel 2016, avvenne incassando il forte sostegno di Dyukov e soci. Nemmeno la geopolitica degli anni a venire avrebbe condizionato le relazioni col presidente. Così, mentre l’isolamento sportivo ed economico colpisce la Russia – e pure Dyukov: nei suoi confronti sono arrivate pesanti sanzioni da parte di Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito –, dietro le quinte il tavolo della UEFA non è mai cambiato. E come una volta, la Russia pesa sulle decisioni prese a Nyon. Con quali implicazioni per il calcio europeo, non è dato sapere.