Con la sua intervista, Thiago Motta ha ammesso che la Juventus di quest’anno non è la squadra giusta per lui

Nella notte magica dell'Empoli parole del tecnico bianconero hanno aperto uno squarcio nella rivoluzione bianconera.

Nel corso dell’intervista rilasciata a Mediaset dopo la fine di Juventus-Empoli, lo sguardo e le parole e l’atteggiamento – un termine ricorrente – di Thiago Motta non ammettevano dubbi: al di là di tutti i discorsi sulla tattica, sulla personalità, persino sul valore assoluto della rosa che ha a disposizione, c’è qualcosa che non va nel rapporto tra l’allenatore della Juventus e i suoi calciatori. È inevitabile che un tecnico di Serie A finisca per parlare “rifugiandosi” in concetti un po’ retorici come «l’importanza della partita e della maglia che indossano», «cosa significa giocare certe gare e cosa significa giocarle con la Juventus», «pretendere senza dare», tutte frasi che dicono senza dire, che di fatto sparano nel mucchio. Ci mancherebbe, Motta non poteva fare diversamente. Allo stesso tempo, però, queste dichiarazioni – così dirette, così nette – sono impossibili da ignorare. Perché segnano un prima e un dopo in quella che, almeno in teoria, è una rivoluzione iniziata da qualche mese. Una rivoluzione che, quindi, è ancora in corso.

Ha senso pensare e scrivere queste cose perché Thiago Motta, sempre durante le interviste postgara di Juventus-Empoli, si è assunto più volte la responsabilità di questa situazione – le sue parole letterali sono state «è colpa mia». Al tempo stesso, però, l’allenatore bianconero ha lanciato delle accuse nei confronti dei suoi giocatori: «La qualità quasi sempre non è sufficiente. Servono anche altre cose per giocare a calcio, prima tra tutte l’atteggiamento». Ovviamente non è possibile interpretare questa frase in maniera chiara, univoca, nel senso che non è possibile capire di chi o di cosa sta parlando in particolare. E allora forse ha senso andare più a monte, forse bisogna iniziare a parlare di una mancata alchimia tecnico-tattica tra Motta e la sua squadra. Una condizione che poi rischia di degenerare, che spesso diventa mancanza di sintonia personale.

È già successo, nella storia della Juventus e di tante altre società di calcio, che un allenatore non riuscisse ad aver presa sulla sua squadra, sul gruppo di giocatori che gli è stato affidato. Spesso in certi casi si finisce a parlare di ambiente, di dna, di passato che si deve inevitabilmente riverberare nel presente. Molto più semplicemente, però, può succedere che un tecnico e dei calciatori non riescano a incastrarsi nel modo giusto, a trovare e parlare un linguaggio comune. La sensazione è che quello tra Motta e la Juventus, inteso come gruppo-squadra, sia un legame mai nato. O che comunque si è sgretolato, fino ad arrivare alla stasi e alla regressione, al comparire delle prime difficoltà. Perché i giocatori non sono riusciti e non riescono a recepire le direttive di Motta, perché Motta non ha capito come rapportarsi alle persone con cui lavora, sempre a livello di campo, di gioco, di interpretazioni tattiche.

Il fatto che Thiago Motta abbia detto/ammesso certe cose, in qualche modo, è una conferma di questa sensazione. La Juventus 2024/25 è stata costruita secondo le sue indicazioni e secondo il lavoro del direttore sportivo, non sappiamo in che misura le sue richieste siano state accontentate – ma questo succede in qualsiasi altra società – ma alla fine questo lavoro è risultato chiaramente fallace, sbagliato. Non ha portato e non sta portando frutti. Può succedere, alla Juventus è successo, le colpe sono da attribuire a tutti gli attori, è chiaro che le responsabilità siano soprattutto di chi ha preso le decisioni, ma è vero pure che alla fine un giocatore può rivelarsi inadatto per giocare in una certa squadra, in un certo modo. Oppure, ancora più semplicemente, può essere stato sopravvalutato e non rendere secondo le aspettative. Ecco, il senso delle parole di Thiago Motta è proprio questo: la sua Juve non è ancora la sua Juve. E il fatto che siamo praticamente a marzo, come dire, non depone a favore di niente e di nessuno. Di una rivoluzione iniziata male, della società, del direttore sportivo, dei giocatori. Neanche dello stesso allenatore, che infatti si è giustamente assunto le responsabilità di una stagione finora negativa. E di un’eliminazione meritata.

In questo senso, naturalmente, anche l’Empoli ci ha messo del suo. Tanto di suo. Soprattutto se pensiamo al momento difficile che la squadra di D’Aversa sta vivendo in campionato. Le parole dell’allenatore lo confermano in maniera chiara: «Abbiamo fatto un’impresa, abbiamo scritto una pagina storica per il club in una serata che vedeva in campo tanti ragazzi del settore giovanile. Volevo una partita di orgoglio, siamo andati anche oltre. Avevo detto loro di viverla nella giusta maniera e adesso ci godiamo questo traguardo. L’Empoli ha dimostrato di saper giocare a calcio, ora dobbiamo farci dare una spinta per il nostro percorso».