In 250 pagine esatte, Lamberto Ciabatti ha scritto cinque o sei libri tutti in una volta. Ultras. Ogni maledetta domenica vincere o perdere non conta esce il 25 febbraio in libreria per SEM, ed è insieme un saggio, un romanzo, una favola nera, un lessico familiare, una raccolta di racconti, anche un poema epico, che racconta il mondo degli ultras spoglio da ogni tipo di retorica. Né quella autocelebrativa di cui i gruppi si vestono spesso e volentieri né quella dispregiativa e giudicatoria dei mezzi d’informazione che, ogni volta in cui provano a parlare di curve, si vestono da visitatori di uno zoo e si mettono a tirare le noccioline ai gorilla in gabbia. Ciabatti ha fatto un salto mortale, con tutti i rischi del caso, e ha messo gli uomini davanti a ogni cosa. Ecce Ultras, per imitare Moretti e parafrasare Nietzsche, con uno schema semplice quanto efficace. Dodici storie, dodici squadre, dodici ultras che raccontano l’esperienza di militanza in curva senza nessun filtro. In tutta la narrazione non c’è neanche una sola parola di Ciabatti in prima persona, un giudizio, o una descrizione che svirgola dall’esperienza personale; eppure, la voce dell’autore è presentissima.
«Ho incontrato ogni protagonista dal vivo», dice Ciabatti a Undici, «dopo essermi guadagnato la loro fiducia, tramite amici comuni o semplicemente contattandoli, e ho ascoltato i loro racconti registrandone le voci per non perdermi niente. Una volta tornato a casa ho scritto ogni racconto cercando di rispettare al meglio gli intenti e rendendolo letterario, avvincente, vivo. Non ho pubblicato nulla che non fosse rivisto da chi me lo ha rivelato e in tutti i casi si è creato un rapporto di fiducia saldo, senza censure, senza omissioni, accettando la versione di uomini e ultras che mi hanno affidato episodi dolorosi e felici di un’esistenza intera. Devo dire che non mi hanno mai chiesto cambiamenti se non minimi, non ci sono state censure o ripensamenti. A Salerno mi hanno accolto venti persone e siamo andati a cena, li vedevo i loro sguardi, stavano capendo se potevano fidarsi di me o meno. Le cose sono andate bene, mi hanno ospitato, addirittura avevo un motorino a disposizione per poter girare la città. Lucio Morale, uno dei fondatori dei Mods Bologna invece l’ho agganciato su Tik-Tok, e non scherzo. Il Bocia lo conoscevo già e avevo scritto anche altri racconti su di lui».
Ultras è un libro di contraddizioni continue, una sinestesia di carta che contiene anche risvolti filosofici e psicologici pesanti. «Nino Ciccarelli della curva dell’Inter», racconta Ciabatti, «mi ha ripetuto più volte che in ogni persona sono sempre contenuti sia il bene che il male, e questo è un concetto non così rivoluzionario, ma mi ha aperto gli occhi su un altro aspetto. Quando di una persona si vede solo il bene, bisogna sempre aspettarsi un doppio fondo, capire che dentro di lui può contenere anche il male e non vederlo non è una cosa sempre positiva. Nella sua storia, come in tante storie che ho raccontato invece il bene e il male sono messe sul tavolo prima di tutto, alla pari, nello stesso momento e senza paura». E questo è uno dei concetti più forti e anche stranianti del libro, che giustappone scene di agguati, di treni devastati, di furti di botte, di nasi rotti alla tenerezza di Claudio Bosotin. Che, una volta ottenuta la Coppa delle Coppe dal presidente Mantovani, della Sampdoria la porta a casa da sua madre che ogni tanto si affaccia alla finestra esultante tenendola lì due giorni interi.
Le madri sono un tema ricorrente del libro, figure amorevoli e sofferenti, preoccupate per i figli in giro per l’Italia, madri pasoliniane e sempre amatissime. Ultras è anche un racconto della provincia degli anni Settanta, Ottanta e Novanta. «Gli ultras sono sempre restii a parlare con giornalisti e scrittori, è una parte importante del loro codice di comportamento», rivela Ciabatti. «Questo mi è sempre spiaciuto perché con il tempo si rischia di perdere un patrimonio storico importante e prezioso. La maggior parte dei racconti sono ambientati negli anni Ottanta, parlano di un tempo irripetibile in ogni senso: l’eroina, le trasferte da far west, molti che entravano allo stadio gratis, un clima di curva che viveva nell’impunità e nello scarso controllo. Sono fotografie di un mondo, condizioni che hanno reso i gruppi quello che sono e li hanno fatti nascere, un paniere da cui è uscito tutto quello che vediamo adesso ma che i più giovani non potranno più vivere. È un peccato che venga perso, e spero che questo libro contribuisca a tenere viva una parte di memoria».
Il libro di Ciabatti ha anche un grande pregio che lo eleva dal semplice reportage o libro di interviste perché pone una grandissima attenzione al montaggio. I racconti sono spesso concatenati, i personaggi ritornano anche a sorpresa, l’inizio con la storia più di nicchia degli ultras dell’Ascoli, il finale con la Sampdoria, il modo di rileggere in chiave nuova personaggi noti come il Barone, storico ultras del Milan e personaggio molto mediatico. «Io ho messo in pagina quello che mi hanno raccontato e non ho mai forzato niente», dice Ciabatti. «Credo che gli episodi siano fuori dal racconto classico perché c’è stata sintonia. Ho impiegato un anno a intervistarli e a incontrarli cercando di immergermi in un mondo per me affascinante. Sono un appassionato di calcio ma non un vero tifoso, tantomeno un ultras. Da ragazzo per via degli amici ho frequentato la curva della Roma e ancora di più la curva della Lazio e questo mi è rimasto dentro per sempre».
Ciabatti è affascinato anche dal concetto di difesa del territorio e della città, sentimenti primordiali che rendono l’argomento del libro sia qualcosa di ancestrale che di moderno, senza mai perdere lucidità. «So bene come siano cambiati i tempi e le curve», spiega. «Sono conscio della violenza che viene raccontata nel mio libro, anche dei reati, ma penso che il centro della vicenda sia altro. È affascinante pensare a gruppi nati dal niente per difendere una città, al concetto di appartenenza, a una passione che da vita a forte identità, a coesione. Le curve sono espressione anche di contestazione a volte e trovo esagerati alcuni strumenti repressivi utilizzati. Sono luoghi sia antichissimi, con codici e regole che vengono da lontano, sia molto moderni. C’è fermento, su Tik Tok è nato un profilo che si chiama “Il corista” che è presente anche su Instagram e commenta in anonimato attualità e vicende del tifo facendo anche pubblicità al mio libro. Tantissime persone ci si stanno avvicinando, e i social sono sempre un grande termometro del paese».
L’impressione alla fine del libro è che si potesse andare avanti ancora e ancora, e Ciabatti non chiude la porta a un altro capitolo. «Ci sono tantissime altre storie che vorrei raccontare. Alcune non sono riuscito a inserirle, altre le sto scoprendo adesso e credo che ne scoverò sempre più perché questo libro è anche una chiave di svolta. C’è una storia a cui tengo molto ed è quella degli Ultras del Pisa, una curva molto numerosa e di sinistra. Li ho incontrati, avevo anche già scritto il capitolo ma loro hanno un’organizzazione profondamente paritaria e democratica e visto che una persona si è opposta non mi hanno dato l’autorizzazione a pubblicare il racconto. Mi è dispiaciuto dal punto di vista letterario, ma l’ho trovata una cosa bella».
Lamberto Ciabatti ha scattato una grande fotografia, un paesaggio a volte anche desolato, urbano e sterminato, di miseria umani, di generosità, di sangue, di vita. Il libro lascia con una domanda, a cui ognuno risponderà poi come vuole: ma gli stadi che tanto amiamo frequentare, che posti diventerebbero senza gli ultras? Se migliori o peggiori, quello lo può decidere ognuno in coscienza.