Quanto può durare l’impatto devastante di Kolo Muani sulla Serie A?

L'attaccante francese ci ha messo meno di un mese per prendersi la Juve. E per diventare uno degli attaccanti più letali del campionato.

Nelle ore successive alla sofferta vittoria della Juventus in casa del Como, le principali testate online hanno rilanciato una statistica per certi versi surreale: nei primi 262 minuti giocati con la sua nuova squadra, Randal Kolo Muani ha realizzato cinque gol con sei tiri. Anzi, a voler essere precisi, con sei tiri dentro l’area di rigore. Al momento, quindi, la sua shot conversion rate – secondo il portale Kickest – supera l’83%. Per dare una dimensione di cosa significhi questo dato in proporzione basta considerare che Mateo Retegui, il capocannoniere del campionato, non arriva al 31%; e che Moise Kean, all’apice della migliore annata della sua carriera in termini realizzativi, sfiora appena il 21%. Certo, il campione di partite di Kolo Muani è ancora troppo ridotto per immaginare che possa tenere certi ritmi da qui alla fine della stagione: questa overperformance è comunque destinata a normalizzarsi con il passare delle settimane e dei mesi. Ma si tratta comunque di numeri che si pongono in contrapposizione alla narrazione che circonda un giocatore che, nell’immaginario collettivo, resta colui che si è fatto parare il tiro decisivo dei Mondiali 2022. Era l’ultimo minuto di recupero dei supplementari della finale, era la palla che ogni bambino che inizia a giocare a calcio sogna per una vita intera. È entrata nella storia come la palla che Kolo Muani si fece invece intercettare dal Dibu Martinéz, assottigliando ancora di più la linea di confine che separa l’errore dell’attaccante dalla grande parata del portiere. «Sarò per sempre colui che ha sbagliato quell’occasione. Anche quando la mia carriera sarà finita la gente continuerà a parlarne: se avessi segnato avremmo vinto la Coppa del Mondo. Sono ancora disgustato da quel fallimento» disse un anno fa in una lunga intervista a Onze.

L’impatto devastante che Kolo Muani sta avendo sulla Juventus, e sul calcio italiano in generale, prescinde però dai suoi numeri da record. E va anche oltre l’idea di un ipotetico redemption arc che dovrebbe riportarlo al tempo in cui era considerato uno degli attaccanti più promettenti d’Europa prima che il Paris Saint-Germain spendesse 90 milioni milioni di euro per portarlo via da Francoforte. Il riferimento è a quella superiorità ontologica e antropologica che lo accomuna a Romelu Lukaku (in particolare la prima versione interista) e Victor Osimhen, gli altri due grandi attaccanti stranieri che in tempi più o meno recenti hanno ribaltato la Serie A grazie a una dimensione fisica e atletica fuori scala. Nel caso di Kolo Muani questa visione è stata ulteriormente accentuata dalla disfunzionalità del contesto Juventus, in cui la necessità di un approccio più diretto e radicale in fase di possesso si è scontrata con i principi del calcio relazionale che Thiago Motta aveva cercato – e sta ancora cercando – di implementare all’inizio della stagione: l’ibridazione tra due modelli così diversi, per non dire antitetici, ha finito con il generare un cortocircuito tecnico per cui, oggi, i giocatori non riescono mai a mantenere le giuste distanze tra i reparti o la necessaria intensità sulla riaggressione, finendo inevitabilmente nel rifugiarsi nella comfort zone del giro palla fine a sé stesso o della difesa posizionale per blocchi medio-bassi in attesa di azionare gli esterni offensivi sulla transizione. Non a caso, alla vigilia del debutto contro il Napoli, proprio il tecnico bianconero aveva parlato della possibilità che Kolo Muani si alternasse con uno degli esterni. Dopo la vittoria contro l’Empoli aveva indicato nell’ «equilibrio tra attacco e difesa» la condizione indispensabile per poter pensare di impiegare stabilmente l’ex PSG insieme a Vlahovic.

Tuttavia la sensazione è che Thiago Motta non abbia ancora capito come usare davvero Kolo Muani. E non solo perché non incarna l’archetipo del suo centravanti ideale, in grado cioè di creare connessioni attraverso un’interpretazione collettiva del ruolo più individualista del calcio; paradossalmente si potrebbe persino dire che nell’inconsistenza offensiva della Juventus attuale Kolo Muani risalti ancora di più e che le difficoltà (degli altri) in termini di creazione e finalizzazione contribuiscano a farlo apparire molto più forte di quanto sia in realtà; un trend rilevato anche da Calcio Datato che ha evidenziato come la vena realizzativa di Kolo Muani rappresenti il tappeto sotto cui si sta nascondendo la polvere di una squadra che non ha ancora deciso – o non ha ancora capito – cosa vuole essere

Nei giorni successivi alla chiusura della trattativa che lo ha portato a Torino, le analisi di campo si sono concentrate su come e quanto Kolo Muani potesse aiutare Thiago Motta a esplorare l’opzione dell’attacco della profondità, uno dei tanti fondamentali che Dusan Vlahovic non riesce più a padroneggiare come dovrebbe fare. In effetti, due dei quattro gol che il francese realizza contro Empoli e Como nascono da interpretazioni che Vlahovic non è mai riuscito a fare in questa stagione. In realtà, se scomponiamo le due azioni, ci accorgiamo come Kolo Muani si crei letteralmente da solo i presupposti per andare a calciare in porta con un ragionevole margine di successo, senza che ci sia una precisa volontà di assecondare le sue caratteristiche di base: nel gol dell’1-1 contro l’Empoli il lancio di Koopmeiners non è sulla sua direttrice di corsa e lo costringe ad andare a contrasto con Goglichidze – che viene spazzato via, ma non è questo il punto – prima ancora di poter controllare il pallone; nell’1-0 contro il Como, dopo il comprensibile stupore per un tiro che si incastra nella spazio compreso tra la traversa e la testa di Butez, ci si accorge facilmente come al momento della conclusione nessuno degli altri quattro giocatori offensivi della Juve fosse riuscito ad occupare l’area di rigore, lasciando Kolo Muani in mezzo a quattro avversari. E quindi la statistica con cui abbiamo aperto questo pezzo va aggiornata o, meglio, riletta attraverso un filtro diverso: tre partite, cinque gol, di cui uno sfruttando uno dei rari errori di lettura di Anguissa, uno alla Inzaghi versione “Atene 2007” – a proposito di finali – e due creati dal nulla e nel nulla. Più uno su rigore.

A pensarci bene, Kolo Muani ha fatto grandi cose anche in Bundesliga

Intervistato da Sky dopo il match del Sinigaglia, Thiago Motta ha detto che «ci sono tante altre cose che un attaccante deve saper fare». E che proprio per questo Kolo Muani «può fare meglio» indipendentemente dal numero di gol che ha già segnato e che segnerà nelle prossime partite. In quel tante altre cose c’è forse tutto il senso di precarietà di una Juventus legata a doppio filo a un centravanti in stato di grazia che, però, non potrà fisiologicamente continuare così fino al termine della stagione. Non fosse altro perché, e questo lo hanno sperimentato anche i predetti Lukaku e Osimhen, se c’è una cosa che le difese della Serie A sanno fare, è riuscire presto o tardi a prendere le misure anche a quegli attaccanti che all’inizio sembrano buggati. E che, quindi, devono trovare altri modi per incidere, per ripristinare quello status quo che li rendeva apparentemente ingiocabili per chiunque.

Per questo la vera domanda da porsi non è fino a quando Kolo Muani possa continuare a mantenere queste medie disumane, ma cosa accadrà quando l’effetto sorpresa lascerà il posto al bisogno di trovare soluzioni meno estemporanee e più coerenti al percorso di crescita di una squadra che fa ancora tanta fatica a comprendere, processare e risolvere i problemi. Non dipende soltanto da lui. Anche se, mai come in questo momento la Juventus è lui e lui è la Juventus. E non è arrivato neanche un mese fa.