Sebastiano Esposito è diventato grande

Sembrava un talento perduto, poi però l'Empoli gli ha offerto l'occasione che aspettava. Per giocare da titolare, per imporsi. E lui non se la sta facendo sfuggire.

Spesso Sebastiano Esposito si ritrova in mezzo al campo a palleggiare tra i corpi dei suoi avversari. Lo fa per legare il gioco, in questo modo dà ai suoi compagni degli attimi necessari per rifiatare, per risalire. In area di rigore, invece, ama calciare di prima intenzione. Lo fa per anticipare i difensori, ruba loro l’attimo che hanno per intervenire. L’attaccante dell’Empoli, insomma, sa benissimo che cosa vuole dire distorcere il tempo, cambiarne la percezione, sia con il pallone che senza. Di solito a centrocampo, con il primo tocco, alleggerisce la palla spiovente lanciata dai piedi pesanti di Vasquez. Con il controllo, la culla e la ammorbidisce. Fa due palleggi. Poi, la lascia a mezza altezza, traendo in inganno il difensore: a quel punto basta un guizzo, uno scavetto. L’esito è sempre lo stesso: sombrero, marcatura saltata e apertura verso l’esterno. È una giocata da campetto. Controintuitiva e rischiosa. Ma lui la esegue sempre in maniera disinvolta, con istinto e spensieratezza, come se ce l’avesse iscritta nel DNA. Sono pochi attimi che lo raccontano alla perfezione. Perché per Esposito il calcio è un atto naturale: «Mi viene spontaneo», aveva già detto a 17 anni. 

Quel ragazzo adesso è cresciuto: negli ultimi due mesi ha segnato sei gol in otto partite. In questa stagione, è il quinto giocatore Under 23 nei principali campionati europei per reti segnate. Prima di lui ci sono solamente Cole Palmer, Hugo Ekitike, Jamal Musiala e Florian Wirtz. Niente male, come nomi. Esposito, dunque, è cresciuto. Si è fatto grande con la maglia dell’Empoli. È diventato adulto proprio a San Siro, segnando il suo decimo gol stagionale, l’ottavo nella Serie A 2024/25. Esattamente nel luogo in cui cinque anni prima era stato battezzato, avviato al mondo, travolto dagli applausi del popolo interista. 1856 giorni dopo aver segnato su rigore contro il Genoa, un rigore lasciatogli da Romelu Lukaku che gli aveva consegnato il pallone con un gesto quasi paterno. Il gol del 2 a 1 contro l’Inter di Inzaghi è un cocktail di talento e furbizia. Nasce da un movimento istintivo, come se l’area di rigore lo attraesse. Come se si ritrovasse lì, nel paradiso delle punte, isolato a pochi metri dalla porta, quasi fortuitamente. Ma la verità è che lui visualizza ed elabora il gioco costantemente, coglie prima degli altri gli spazi vuoti, quelli giusti da attaccare. 

Qui sembra passare attraverso i corpi dei suoi avversari

A osservarlo attentamente mentre sta in campo, si può notare che Sebastiano Esposito si guarda costantemente intorno. Scannerizza il resto del campo, volge lo sguardo lontano dal pallone. Così raccoglie infinite informazioni, poi prende le decisioni: valuta in pochi millesimi di secondo dove e come attaccare una zona specifica, senza rifletterci. Viaggiando tra gli avversari con estrema naturalezza. È una qualità innata, che ha dentro da sempre. È un sesto senso che gli permette di vedere tracce di passaggio ancora inesistenti e di orbitare nei mezzi spazi. Dove, con un controllo orientato, riesce a liberarsi dalla pressione. Oppure, più semplicemente, calcia di prima e apre il campo ai propri compagni. oppure ancora prende in controtempo il portiere avversario. Proprio come in occasione della doppietta contro l’Hellas Verona, siglata in quattro minuti.

Roberto Clerici, storico scout del Brescia che ha scoperto anche Pirlo, si era accorto di tutto ciò quando Sebastiano aveva appena otto anni. «Ha movimenti spontanei da calciatore», aveva detto nel 2011, poco dopo aver convinto l’intera famiglia Esposito a trasferirsi da Castellammare di Stabia a Brescia. In Lombardia è anche iniziata la storia di Salvatore e Francesco Pio, fratelli di Sebastiano. Tutti ispirati dal legame viscerale che c’è tra il pallone e gli Esposito, radicato alle loro origini: sia il nonno che il padre sono passati dalle giovanili del Napoli.  «Sarei un ipocrita a dire che non è stata dura: trasferirsi subito e portare via tre giovani dalla loro terra non è mai facile», ha detto papà Agostino ai tempi del Brescia. Da quel momento, soprattutto per Seba, il viaggio è stato repentino. In un attimo è passato dall’essere la speranza del calcio italiano, anche secondo l’Équipe, a rimanere seduto in panchina alla Spal e al Venezia. «Dopo l’Inter era iniziata una discesa. Alla Spal mi è crollato il mondo addosso. Siamo passati velocemente da tutto a niente», ha raccontato Sebastiano Esposito in una bella lettera pubblicata da Cronache di Spogliatoio nel 2021. 

Come d’un tratto, si è spenta subito l’esaltazione generata dall’esordio in Champions League. Spazzata via dall’urgenza di vittoria dell’Inter. Dunque, come tanti altri, è finito in un limbo: un esodo temporaneo, destinazione ignota e biglietto di ritorno già pronto, Ferrara e Venezia in prestito secco. Finché non ha deciso di cambiare rotta. Ha scelto l’estero: prima il Basilea, in Svizzera. Poi, nel luglio 2022, l’Anderlecht, in Belgio. Eppure, ogni volta, il ritorno ad Appiano Gentile era già scritto. Quella di lasciare l’Italia è parsa una decisione avventata, presa per sfuggire al vortice di attese, pressioni e aspettative che il nostro calcio offre crudelmente ai propri talenti. Ma in realtà si è rivelata azzeccata. «È stata un’esperienza decisamente formativa: pensavo di incontrare maggiori difficoltà, invece ho fatto più presenze al Basilea che in Serie B. Sono migliorato tanto. […] Sono stato accolto bene, sono stato tutelato», ha detto una volta tornato a casa.  

Andando all’estero, si è messo alla prova ogni giorno, concentrandosi solo su sé stesso. Senza più scudi né paracadute, ha dovuto rispondere in prima persona di ogni scelta, dentro e fuori dal campo. Lontano dalle protezioni di casa. E non è un caso che sempre più talenti italiani stiano facendo lo stesso Come Esposito, anche Dimarco, Calafiori e Gnonto hanno trovato la propria strada proprio in Svizzera; Scamacca, Lucca e Oristanio ci hanno provato nei Paesi Bassi, Kean tra Inghilterra e Francia. Tra Basilea e Bruxelles ha aggiunto spessore al suo istinto, dando senso e concretezza anche agli sprazzi di talento che aveva sempre dimostrato di possedere. Per poi tornare in Italia, in Serie B, chiamato da club storici come Bari e Sampdoria. Ha ascoltato la sua vocazione più focosa e passionale per il gioco, evidente fin dallo sguardo con cui fissa le telecamere. Un lato meravigliosamente umano, dichiarato apertamente allo scadere della finale playoff persa a Bari contro il Cagliari, quando è scoppiato in un pianto sincero e fragile al centro del San Nicola. Oppure, quando ha scosso indemoniato ed esaltato Andrea Pirlo, suo allenatore alla Samp.  

Per Sebastiano Esposito, giocare è come vivere un’esperienza spirituale. «Io do sempre l’anima. Ogni partita, ogni gara, ogni allenamento», aveva detto dopo una doppietta con la primavera dell’Inter. In ogni stadio, conserva con sé la stessa vivacità con cui passava interminabili ore al campetto del Rione Cicerone, il suo quartiere a Castellammare di Stabia. Gioca liberamente, in maniera autentica, con sterzate e dribbling. Lo ha fatto vedere nel gol contro il Cagliari: si lascia andare a colpi di calcio da strada che gli vengono naturali, come la croqueta con cui ha guadagnato il rigore contro la Roma. 

Anche qui, stessa sensazione di prima

Nella stessa azione, prima di eludere Paredes, è proprio lui a rubargli il pallone: Esposito è il migliore attaccante della Serie A per numero di intercetti e contrasti. «Ha qualità indiscutibili. Oltre a essere molto tecnico, corre anche tanto. Non deve avere limiti», ha detto di lui Roberto D’Aversa, tecnico dell’Empoli. Non solo: Sebastiano oscilla per tutta la zona offensiva del campo, sia in rifinitura – secondo i dati di FBref è nel 94 percentile per passaggi progressivi riusciti tra gli attaccanti in Europa – che in area di rigore, come evidenziano le reti fatte. Luciano Spalletti, ai tempi dell’Inter, aveva detto: «C’è da mettere Esposito nella condizione di crearsi quella corazza che serve per diventare campioni. Deve crearsi l’armatura che lo difenda dalle insidie». Adesso Esposito quella corazza ce l’ha. Si è fatto grande, si è preso l’Empoli e lo vuole trascinare verso la salvezza. È pronto a diventare un campione. E tutto ciò, probabilmente, non è sfuggito agli occhi del mister della Nazionale.