Fin da quando è comparso all’improvviso sul proscenio della Serie A, era il settembre 2021 e di fatto si trattava di un centrocampista reduce da due retrocessioni con il Fulham e da due esperienze poco più che discrete con Marsiglia e Villarreal, André-Frank Zambo Anguissa ha l’abitudine di sorprendere tutti. Quasi sempre in positivo. Tre anni e mezzo fa, a pensarci bene, il nostro campionato non era ancora pienamente avvezzo a calciatori così dominanti fisicamente eppure così tecnici, e allora sembrava che gli osservatori del Napoli avessero scovato un alieno e che Giuntoli e De Laurentiis l’avessero convinto a indossare la maglia azzurra; la cosa più stupefacente di tutte fu che Anguissa impiegò pochissimi minuti della sua partita d’esordio – un Napoli-Juventus 2-1, esattamente come la gara finita poche ore fa – per dimostrare di essere un atleta fuori scala rispetto ai compagni e alla stragrande maggioranza degli avversari. Quella sensazione di superiorità debordante ha caratterizzato il rendimento di Anguissa fino alla vittoria dello scudetto, poi però il centrocampista camerunese si è fatto inghiottire dal vortice involutivo che ha travolto il Napoli per tutta la stagione 2023/24. Anche quella è stata una sorpresa, nel senso che è stato straniante rendersi conto che pure Anguissa, persino lui, non è altro che un essere umano. E quindi risente dei problemi che ci sono intorno a lui, non rende al massimo se la sua squadra non lo mette in condizioni di farlo.
Poi è arrivato Antonio Conte. A pochi giorni dal primo incontro, André-Frank Zambo Anguissa ha detto che il suo approdo a Napoli «è stata una benedizione». Oggi, otto mesi dopo, quelle parole sembrano addirittura riduttive. Perché il Napoli ha ricominciato a marciare, anzi a correre fortissimo. E perché Anguissa è tornato a essere uno dei centrocampisti più decisivi della Serie A, forse il più decisivo in assoluto. Solo che lo sta facendo in modo diverso rispetto al passato, mostrando qualcosa di nuovo. Qualcosa che non si era mai visto prima, da queste parti.
Contro la Juventus, sintetizzando al massimo, Anguissa ha segnato il gol del pareggio dopo aver, nell’ordine: avviato il pressing alto del Napoli, sradicato personalmente il pallone dai piedi di Cambiaso e Thuram, sparato una botta di sinistro dal limite, occupato l’area di rigore dopo la ribattuta, in attesa che Lukaku e Politano confezionassero il cross giusto. Poi sono arrivati un salto imperioso e un colpo di testa fortissimo, imprendibile per Di Gregorio. Anche nell’azione che porta al rigore di Lukaku c’è lo zampino di Anguissa: nel corso di una lunga manovra di accerchiamento, il centrocampista del Camerun si fa dare palla e ruota armonicamente la sua posizione con quella di Di Lorenzo, aprendo di fatto il corridoio verticale in cui transitano i passaggi verso Politano e verso Lukaku, prima che la palla arrivi in area a McTominay.
Anguissa, Anguissa ovunque
Spesso i giornalisti sportivi fanno abuso dell’aggettivo totale, soprattutto quando devono descrivere un giocatore – e molto spesso si tratta di un un centrocampista – in grado di fare molte cose diverse e a un buon livello. Nel caso di Anguissa, questo termine non è esagerato. Non lo è mai stato e non lo è adesso, oggi, dopo che Conte ha stuzzicato l’ego di Frank – «Il mister mi ha detto che devo segnare otto gol, e ci ha fatto capire che siamo veramente forti», ha raccontato Frank – e ne ha ampliato il raggio d’azione, trasformandolo in una mezzala di incursione ma anche creativa, in un tuttocampista che esplora il campo in qualsiasi direzione, che recupera il pallone e poi guarda subito in avanti, che sa scegliere i tempi giusti per inserirsi sia internamente sia esternamente, sia al posto di McTominay che accanto a McTominay. Ecco, Scott McTominay: la presenza di un centrocampista come lo scozzese, cioè di un (altro) calciatore-mezzofondista in grado di coprire ampie porzioni di prato verde, è come se avesse “sbloccato” il livello premium di Anguissa. Ora l’ex Fulham non deve più ragionare come quando c’era Zielinski, uno strepitoso inventore di giocate e passaggi illuminanti nello stretto, ma piò permettersi di muoversi e muovere la palla in modo più ambizioso, più rischioso. Tanto c’è chi ha i polmoni e il cervello per coprirgli le spalle
Sembrano tutti passaggi logici, quindi semplici. E invece raccontano un processo che resta sequenziale, ok, ma che è stato lungo e complesso. Antonio Conte, infatti, ci lavora da mesi: ha iniziato con la difesa a tre e col doble pivote, poi è passato alla difesa a quattro con due centrocampisti più statici (Lobotka-Anguissa) e con McTominay nel ruolo di guastatore offensivo. Ora sta affinando un 4-3-3 estremamente fluido, soprattutto per quanto concerne le rotazioni delle due mezzali, fondato sulla fisicità e sulla ricerca degli spazi in verticale.
Anguissa ha vissuto questa trasformazione in un crescendo rossiniano, fino a detonare nelle ultime partite. In rapida successione, sono arrivati: il gol a Udine dopo una maestosa falcata palla al piede, quello segnato al Genoa di testa, il rigore procurato a Firenze, la meravigliosa conclusione da fuori contro il Verona, i due assist precisissimi serviti a Bergamo, infine la partita da dominatore assoluto contro la Juventus. E questi sono gli eventi-chiave in fase di rifinitura e di finalizzazione, ovvero una parte soltanto parziale del contributo di Anguissa nell’economia del gioco di Conte: il camerunese, infatti, è il centrocampista del Napoli che intercetta più palloni, che tenta più volte il tackle dalla trequarti in su, che crea il maggior numero di azioni da cui scaturiscono delle conclusioni in porta. Quello di Anguissa, insomma, è un calcio totale. E questa volta la terminologia non è affatto esagerata.
Qualche giorno fa, dopo la partita vinta a Bergamo contro l’Atalanta, il Guardian – un giornale abbastanza prestigioso, per usare un eufemismo – ha scritto che «Anguissa è sottovalutato, dovrebbe essere il favorito per il titolo di MVP del campionato di Serie A: è una presenza fisica instancabile che, da quando c’è Conte, dribbla meno ma si fa vedere di più». Sono parole importanti, ma soprattutto sono parole centrate: descrivono il nuovo gioco di Anguissa e restituiscono un’immagine esaustiva del Napoli di Conte, una squadra che domina gli avversari in modo diverso rispetto al passato, con un gioco meno leggero e meno svolazzante, più cingolato, più d’impatto. In un contesto del genere, Anguissa ci sta alla perfezione. Anzi, forse si potrebbe addirittura ribaltare la prospettiva: mentre prima era una parte fondamentale di un Napoli fondato su altri giocatori, oggi Anguissa è l’anima, il cuore pulsante, il motore degli azzurri. Il leader tecnico e spirituale intorno al quale Conte ha costruito una squadra che sta diventando sempre più sua, anche se non somiglia a nessuna squadra che Conte ha allenato in passato. Anche queste, a pensarci bene, sono cose di cui sorprendersi.