Khvicha Kvaratskhelia è stato un meteorite che ha impattato fortissimo sul Napoli e sulla Serie A. Nella storia recente del nostro calcio pochi giocatori sono stati immediatamente decisivi come lui, forse nessuno. Lo ricorderete: da Ferragosto 2022 fino a febbraio 2023, più o meno, l’attaccante georgiano era come se detonasse praticamente in ogni partita: un gioco di prestigio mai visto prima, un tiro potente e preciso, un assist arrotato oppure dolcissimo, una penetrazione dentro l’area che mandava in tilt due, tre, quattro difensori. La cosa sorprendente – o frustrante, a seconda dei punti di vista – era che spesso tutte queste cose avvenivano una dopo l’altra, nella stessa azione o in due azioni immediatamente successive, come se le gare di Kvaratskhelia fossero un infinito, accecante video-skill di YouTube.
Kvara ha continuato a giocare in questo modo anche nei mesi successivi, solo che l’ha fatto con meno continuità. Forse è andata così perché gli allenatori e i difensori della Serie A l’hanno studiato e hanno imparato a contenerlo almeno un po’, forse è andata così perché lui ha finito per impantanarsi su un certo modo di stare in campo e su un certo set di trick e di trucchi, di certo è andata così perché il Napoli 2023/24 è stata una squadra assemblata male e gestita peggio. Chissà, forse anche il lungo tira e molla sul contratto potrebbe aver inciso sul suo rendimento, anzi è persino scontato pensare che abbia influito sul suo umore. L’arrivo di Conte sembrava aver rimesso le cose a posto, ma evidentemente è andata così per tutto il Napoli, non per Kvaratskhelia. Che è già arrivato a Parigi per iniziare la sua nuova vita, ma una separazione così strana – nel bel mezzo del mercato di gennaio, con il Napoli in lotta per il titolo – porta inevitabilmente a una domanda: a parte lo scudetto, che non è certo roba da poco, cosa resterà di questi due anni e mezzo? Quale sensazione prevarrà, tra qualche tempo, quando si parlerà di Kvara al Napoli? La gioia per ciò che è stato o la malinconia per questo finale amaro?
A pensarci bene, un addio così cinematografico è del tutto coerente con l’avventura di Kvaratskhelia al Napoli. Che si potrebbe definire piena, ovvero ricca di avvenimenti, pregna di sentimenti: dopo un inizio fragoroso e indimenticabile, di cui abbiamo già detto, c’è stata la fase dell’amore puro e travolgente, Napoli che si riempie di magliette azzurre col numero 77, gruppi di tifosi georgiani accolti in città, i muri che si colorano di manifesti e di graffiti con tutte le rappresentazioni possibili di Khvicha, il pastore realizzato dai presepisti a San Gregorio Armeno, pizze e canzoni a tema. Poi sono venuti un bimestre abbondante di gioia trasmessa in mondovisione, una lunghissima e pantagruelica festa-scudetto, il riconoscimento come miglior giocatore assoluto del campionato, i primi accostamenti tra Kvara e Maradona, le inevitabili voci di mercato, le indiscrezioni sul rinnovo di un contratto troppo piccolo per un giocatore già così grande.
Tutta questa bellezza è sbiadita nel giro di pochi mesi, il Napoli ha sbagliato tutte le scelte possibili ed è precipitato in un baratro sportivo e manageriale quasi tragicomico. Kvaratskhelia ha continuato a essere l’idolo dei tifosi, anche perché nel frattempo Osimhen ha iniziato a fare diversi capricci, ma alla fine pure il suo calcio elettrico si è affievolito, è diventato meno efficace. E così il suo umore è peggiorato, in campo era meno svolazzante e più irritabile, spesso eccedeva nel cercare la giocata risolutiva in prima persona, con esiti intermittenti. Anche in questa stagione Kvara assomigliava più al buonissimo giocatore della stagione 2023/24 che all’alieno atterrato sul nostro pianeta nell’estate del 2022, nonostante il Napoli di Conte fosse di nuovo in testa alla classifica.
Ecco, appunto: Antonio Conte. Prima della partita contro il Verona, solo pochi giorni fa, il tecnico del Napoli è andato in conferenza stampa e ha raccontato che «Kvaratskhelia ha chiesto di andare via, sono deluso». Poche ore dopo, Conte ha spiegato meglio il senso di quelle parole, ha detto che «sono deluso da me stesso, sono sei mesi che parlo con Khvicha, che cerco di convincerlo a restare, ma non ci sono riuscito». Sono frasi significative, soprattutto se le mettiamo insieme al fatto che il Napoli ha presentato una buonissima offerta di rinnovo a Kvaratskhelia, si parlava di un ingaggio da sei milioni l’anno con clausola rescissoria non astronomica. Probabilmente l’ha fatto tardi, più tardi di quanto si aspettasse Kvara, secondo cui non c’era modo di ricucire lo strappo. Anzi, non c’era neanche il margine per ritardare il divorzio fino al termine di questa stagione. Oppure, più semplicemente, nella sua testa non è avvenuto nessuno strappo: forse per lui la storia è finita e basta, neanche un adeguamento del contratto e un nuovo progetto sarebbero bastati a compensare la differenza con le proposte arrivate da altri club. Dal Paris, in particolare.
E allora eccola la verità sull’esperienza di Kvaratskhelia al Napoli: questi due anni e mezzo così intensi sono bastati a Khvicha per farsi amare – in realtà come detto gli sono bastati pochi minuti in campo con la maglia azzurra – e per sentirsi amato abbastanza, lo scudetto lo ha reso un’icona più o meno immortale ma questo status non l’ha convinto a stringere un rapporto viscerale con l’ambiente, non si è fatto ammaliare e adottare da Napoli come Hamsik, come Mertens, come Koulibaly. Attenzione: non c’è niente di sbagliato o di irriconoscente in questa resistenza emotiva, forse Kvara ha soltanto una personalità diversa, più impermeabile a certe emozioni. Chissà, magari ai tifosi del Napoli sarebbe bastato che rimanesse sei mesi in più per vivere meglio il suo addio. In ogni caso, però, si è trattato di un grande amore. Di quelli che non si dimenticano e che dopo un po’ di tempo si ricordano con gioia, anche se hanno lasciato un senso di amaro, di incompiutezza.