Nessuno può sapere quanto dura un sentimento ma il 29 gennaio del 2024 la paura di Jannik Sinner è andata avanti due set interi, per la precisione i primi due della sua prima finale in un torneo del Grande Slam. L’incastro del destino ha voluto che – come spesso succede nel tennis – i timori che poi fortunatamente gli sono scivolati via siano finiti tutti dall’altra parte della rete e siano caduti sulla fronte stempiata di Daniil Medvedev. Il russo aveva già perso una finale Slam avanti di due set, proprio sullo stesso campo, e deve averci pensato per un bel po’ perché se nel tennis c’è una cosa resistente, sono i brutti pensieri. L’ultimo atto degli Australian Open 2024 è stato una magistrale fotografia della vita e dello sport, con due uomini che hanno dovuto fare i conti con i loro fantasmi.
Nel 2024, l’effetto Sinner ha fatto del tennis uno degli sport più popolari d’Italia. Un anno più tardi, l’attenzione su Jannik e gli altri protagonisti della racchetta è ancora più alta: per seguire tutta la stagione di tennis, Sky Sport offrirà per tutto l’anno un’ampia copertura, con tutti i tornei degli Slam (Wimbledon, Us Open, Australian Open e Roland Garros, questi ultimi due sui canali Eurosport visibili su Sky), tutti i tornei ATP Masters 1000 e WTA 1000, gli ATP e i WTA 500 e 250, inclusi gli Internazionali BNL d’Italia e le Nitto ATP Finals di Torino.
La finale di quasi un anno fa a Melbourne è stata la partita di tennis è stata la partita di tennis più importante della storia italiana fino a quel momento e in quella limpida e fredda mattina di gennaio chiunque nel nostro Paese stava guardando Sinner. Chi non poteva farlo sbirciava il risultato, chiedeva, partecipava. Sinner non ha la fragilità poetica di Pantani ma si avvicina a lui nel suo essere ecumenico. Alla fine degli anni Novanta tutti guardavano il ciclismo per il Pirata, adesso tutti guardano il tennis per Jannik. E quella di fine gennaio fu una mattina di cui tantissimi ricorderanno ogni dettaglio: dov’erano, con chi erano e soprattutto cosa stavano facendo. Cosa stavamo facendo mentre l’Italia vinceva i Mondiali contro la Francia o gli Europei contro l’Inghilterra? Niente, stavamo guardando la partita. Una finale di tennis invece dura un tempo così ampio e soprattutto imprevedibile che la stragrande maggioranza delle persone la segue facendo altro, specialmente chi non ne è uno spettatore assiduo. È una delle forze del tennis, l’essere evento tirannico ma anche di sottofondo, uno sport che sottovoce può farti innamorare per tutta una vita. La prima vittoria di Sinner in un torneo del Grande Slam è stata ancora più memorabile perché ha accompagnato la domenica mattina di tanti, magari con uno smartphone al centro commerciale, a pranzare davanti al mare d’inverno o semplicemente fuori per una passeggiata.
I primi due set di Sinner sono stati una tragedia. Se qualcuno cercava il momento migliore per cominciare a volergli bene, eccolo accontentato. Anche Jannik può avere il braccino, girare per il campo spaesato, teso, impacciato, quasi paralizzato. Per la prima volta pare rendersi conto di quello che sta facendo, di dove si trova, della dimensione enorme del suo talento. Non sembra neanche lui dopo la semifinale vinta contro Djokovic senza concedere una palla break. Medvedev è l’uomo peggiore per sottolineare e accentuare tutto questo perché in forma è forse il miglior giocatore al mondo sul cemento, perché tira come un ossesso e ha la capacità intangibile e sopraffina di saper sopravvivere. Un modo per cavarsela lo trova sempre, anche di furbizia, di nervi.
Daniil serve senza una sbavatura e in risposta si piazza con i piedi sulla linea di fondo togliendo tempo materiale e morale a un avversario in grande confusione. La partita del russo è un conto alla rovescia contro il ticchettio della fatica perché deve vincere in fretta e furia dopo essere rimasto in campo più di venti ore per arrivare in finale. Ha un piano ben preciso, lo ha studiato, e ha capito come metterlo in pratica davanti a un Sinner frastornato e impotente sia dal punto di vista mentale che dal punto di vista tecnico-tattico. Il doppio 6-3 nel giro di novanta minuti è l’inizio del delitto perfetto e intanto c’è una nazione che sta guardando una partita e che in questo momento prende in mano lo smartphone per scrivere che sta volta Sinner non ce la fa o magari si gira sul divano e pensa che forse una domenica mattina così era meglio dormirla.
L’atmosfera che avvolge una partita di tennis può essere allo stesso tempo inscalfibile e sottilissima. Bisogna fare attenzione a ogni piccolo dettaglio perché ogni piccolo dettaglio può cambiare tutto. Sul finire del secondo set, Sinner ha cominciato a rubare campo, ad avanzare, a conquistare un po’ di terreno dentro una guerra che però sembra già persa. Poi, il primo game del quarto set lo vince tenendo il servizio a zero. Chi ha giocato anche solo un po’ a tennis – dagli nc fino a chi lo fa per davvero – sa meglio di tutti che il dio delle piccole cose è proprio il dio del tennis, nel bene e nel male. Il terzo set finisce 6-4 per Sinner con un un solo e chirurgico break nel momento più doloroso.
Sul 4-4 Jannik consegna alle telecamere e alla storia un momento destinato a rimanere iconico quando si gira verso il suo angolo e scuote la testa dicendo sono morto. E invece, dentro questa partita, non è mai stato così vivo. Nel tennis non conta giocare alla perfezione ma conta rendersi conto di quello che si ha in quel preciso momento, provando a difenderlo e a farlo germogliare. Sinner sotto di due set e sul 4-4 del terzo è morto ma che lui lo sappia fa tutta la differenza del mondo. Nel quarto parziale c’è una nuova partita partita, in tutta la sua bellissima crudeltà. Prima Sinner deve difendersi su un match point travestito da palla break e lo fa con un ace, poi Medvedev cade ancora sul 4-5 e il punteggio simmetrico di 3-6, 3-6, 6-4, 6-4 consegna a tutti un inatteso atto finale.
Come cambia il mondo in due set, due break e scoppia la rivoluzione. Adesso tutta la Rod Laver Arena e tutte le persone appese ai televisori sanno che Sinner vincerà. Perché è risorto, perché Medvedev è esausto e ha già perso una finale da due set avanti nello stesso torneo e sullo stesso campo, perché forse la prima vittoria di un italiano agli Australian Open poteva e doveva essere solo così. Tremenda, sofferta, devastante, violenta. Sinner prima di giocare questa partita era già un campione ma in tanti dubitavano del suo talento fino in fondo. Si era sempre fermato lì, per un acciacco, una mezza palla, una palla break di troppo. Aveva già vinto molto – prima Coppa Davis compresa – ma non aveva ancora raggiunto nemmeno la finale in un torneo del Grande Slam portandosi dietro una piccola aura di incompiutezza. Sinner in Italia è sempre stato giudicato con una severità mai mostrata con altri tennisti – cosa si dovrebbe dire allora di Tsitsipas e Zverev? – e serviva un’impresa così per far sparire ogni nuvola grigia sul suo carattere e sul suo talento.
Il quinto set è stato solo il sipario che si è chiuso in maniera affascinante e bastava farsi un giro sui profili Instagram di mezzo mondo per capire la portata di quello che era appena successo. Jannik Sinner ha fermato il tempo per sempre con l’ultima accelerazione di dritto prima di stendersi sul campo. Un uomo felice dentro al blu di Kandinskij, meglio di un’opera d’arte.
Questo contenuto è in collaborazione con Sky Sport